Beirut, assedio al palazzo del governo

Francesco Battistini

Siniora si difende:
Nasrallah vuole solo evitare il tribunale Onu sull’omicidio Hariri, di cui è
ritenuta responsabile Damasco


In migliaia rispondono
all’appello dell’Hezbollah e invadono la capitale: «Via il premier»

BEIRUT — Dimezzato, contestato, blindato e probabilmente un
po’ spaventato, alle quattro un omino pallido e lontano sposta una tenda
chiara, al primo piano del Gran Serraglio. Fa per affacciarsi. Quasi un milione
di persone lo vede, la distesa immensa degli Hezbollah Boys calati su Beirut
giura di riconoscerlo nella luce del tramonto: è lui, indica qualcuno, è il
premier Fouad Siniora. Il Gran Corrotto. Il Venduto all’Occidente. Il Servo di
Bush e peggio ancora del suo ambasciatore Jeffrey Feltman.
Parte un tenorile buuuuuuu, seguito dal coro dei fischi. E l’omino laggiù
sparisce subito dietro la tenda. S’allontana dalla finestra. Si rinchiude,
prigioniero del suo palazzo.
Ostaggio d’una folla che minaccia di assediarlo e lo vuole fuori di lì, ma
senza potere: «Nessuno entra e nessuno esce! Resteremo qui finché non cadrà il
governo! Ce ne andremo quando se ne andrà Siniora!».
Bomba o non bomba, sono arrivati a Beirut. Un libanese su quattro raccoglie
l’appello tv di Hassan Nasrallah, invade le grandi piazze dei Martiri e di Riad
al-Sohl, distribuisce cibo e sedie e coperte, pianta le tende bianche a 150
metri dal filo spinato dell’esercito, poco lontano dalla sede dell’Onu e dalla
tomba di Rafik Hariri.

«Comincia l’intifada per salvare il Libano», annunciano
i giornali siriani, e la prima forma di disobbedienza civile è questa qui: un
sit-in senza fine, un assedio permanente al palazzo del governo dove Siniora e
i ministri superstiti vivono e dormono, senza famiglie, da quando sei colleghi
filosiriani si sono dimessi e l’antisiriano Pierre Gemayel è stato ammazzato,
dieci giorni fa
. «Il governo Feltman a casa!». «Il Libano non si vende!».
«Morte a Israele!». Sciiti e sunniti, comunisti e panarabi. È una massa che
impressiona, molto più di quella che aveva seguito i funerali di Gemayel
:
qualche sciarpa giallo Hezbollah, i cappellini verdi dei filosiriani di Nabil
Berri, i drappi arancioni dei cristiani amici di Michel Aoun e di Damasco, ma
soprattutto un grande sventolio di bandiere col Cedro libanese, le musiche
dell’inno nazionale, l’attenta regìa d’una forza che contesta rimprovera a
Siniora le debolezze nella guerra contro Israele e adesso si propone più di
governo che di lotta
.
Dietro un vetro antiproiettile, l’arringa è di Aoun, questo generale che un
tempo odiava Assad e ora, tornato da 15 anni d’esilio in Francia, forte di 21
deputati, sta con gli Hezbollah ed è più filosiriano di loro
. Irride
Siniora, «se è vero che il popolo è con lui, non ha bisogno di barricarsi
dietro i carri armati», gli dà del corrotto, «non è un governo d’unità
nazionale ed è incostituzionale», poi fa eco alla piazza: dimissioni. Si canta,
si balla, le ragazzine velate si tengono per mano, i brutti ceffi sono pochi.
Niente spari in aria, niente sfilate di truci kamikaze: l’ordine è di
manifestare pacifici, dimostrare che una protesta democratica è possibile.
Nessun accenno ai morti di questi mesi, così, nessuno slogan sull’inchiesta Onu

(convalidata sabato scorso da Siniora) che accusa la Siria d’avere
destabilizzato il Libano dall’assassinio di Hariri in poi. Eppure «questa
manifestazione è un chiaro tentativo di colpo di stato ispirato da Teheran e
Damasco», accusa dal Palazzo di Vetro l’ambasciatore americano, John Bolton
.
La parola golpe l’ha usata anche Siniora, quando giovedì sera è apparso
a reti unificate per ripetere che lui non molla, e torna nelle parole di
Walid Jumblatt, il leader druso
: «La domanda è: che cosa vogliono dimostrare?
La risposta è una sola: Nasrallah vuole solo evitare il tribunale
internazionale sul caso Hariri. Ma può resistere uno, due mesi: alla fine dovrà
trattare con noi».
Trattare, non sembra un’idea che cova nei turbanti del Sud. Sfila davanti al
Gran Serraglio una bara nera, appeso un rosario fatto con le bustine di tè: è
l’allusione alle «scandalose immagini» trasmesse da Al-Manar tv, in agosto,
d’un generale libanese beccato sotto le bombe a sorseggiare una tazza calda con
un sottufficiale israeliano. È sera, quando qualche tenda è tolta e l’assedio
allentato. Ma Ségolène Royal, la candidata all’Eliseo che ha deciso di
debuttare qui col suo primo tour all’estero, suggeriscono cortesi e fermi di
prendere al più presto un aereo per Amman. E anche i soldati italiani
dell’Unifil, che domani volevano partecipare alla Maratona di Beirut, ci hanno
ripensato: la pace non è una corsetta.

 

La crisi

DIMISSIONI La crisi politica è iniziata quando sei
ministri del governo Siniora ( foto) hanno dato le dimissioni per ordine dei
loro referenti politici: gli sciiti di Hezbollah e i cristiani di Michel Aoun,
ovvero il fronte «filo-siriano»
LE RICHIESTE La richiesta di Nasrallah e Aoun: «Governo di unità
nazionale o elezioni». Contano su una crescita in caso di elezioni o sperano
nel governo di unità nazionale, ovvero 10 ministri su 24, sufficienti per una
«minoranza di blocco» per fermare provvedimenti non graditi
IL NO DI SINIORA Il premier dice no alle richieste in nome della
Costituzione che assegna ai gruppi religiosi peso politico pari al peso
demografico. Ma il presidente Lahoud, cristiano, accetta le dimissioni dei
ministri dichiarando il governo Siniora «non più legittimo»

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