Africa Nord e Occidentale, Mali, Germania, Francia
Gfp 120320/28
– Il tentativo della Germania di rafforzare la propria influenza nel Sahel approfittando delle tensioni sociali nell’area (vedi Nigeria) è complicato dal putsch del 21 marzo di una parte dei militari in Mali,
o causa immediata lo scontento dei ranghi militari medio-inferiori per la strategia del governo nel conflitto con i Tuareg nel Nord, che li avrebbe mandati allo sbaraglio.
o Forze di opposizione in Mali non escludono la possibilità di un intervento militare diretto dei paesi occidentali, su spinta della Francia, giustificato dal putsch, che avvantaggerebbe soprattutto la Francia a discapito della Germania.
– Espresse preoccupazioni per il rischio di destabilizzazione del Sahel, a causa
o dell’aggravamento del conflitto tra Tuareg e i vari paesi, con il rientro dei mercenari tuareg dalla Libia;
o l’aumentato utilizzo della regione per il contrabbando di droga in Europa e nella penisola araba;
o il terrorismo islamista.
o Timori di aggravamento dei conflitti armati anche nei paesi confinanti, Nigeria, Chad e Sudan.
– Il putch militare è stato ufficialmente condannato da Onu, UE e Unione Africana, Berlino compresa, che chiedono l’immediato ristabilimento del governo,
– Sullo sfondo ci sono però forti divergenze tra i paesi occidentali per la loro influenza geostrategica nella regione del Sahel, soprattutto tra Germania e Francia.
o La Francia ha mantenuto una posizione di forza nelle sue ex colonie e cerca di mantenerla con una linea unilaterale di intervento politico e militare.
o La Germania invece cerca di migliorare la propria posizione con una maggiore cooperazione con i vari paesi e con le associazioni sovrarregionali, a scapito di Parigi. Berlino cerca di porsi come presunta alternativa di cooperazione alla politica neocoloniale francese.
– Il Mali ha importanza più che per motivi economici per la sua posizione geostrategica:
o confina con i paesi del Nord e dell’Africa occidentale ricchi di risorse naturali.
– Negli anni passati Berlino ha intensificato la cooperazione politico-militare con i paesi dell’Africa Occidentale, anche con militari
o in Mali ha fornito finanziamenti e addestramento militare alla “scuola di Peacekeeping” creata su mandato dell’Unione Africana e di ECOWAS, con l’obiettivo di preparare forze armate africane per operazioni nel continente, in cooperazione ad es. con i battle group della UE o con la Responce Force della Nato;
o Questa scuola è collegata al Kofi Annan International Peacekeeping Centre in Ghana, che addestra le cosiddette truppe di pace di vari paesi africani; KAS, la fondazione tedesca CDU (Konrad-Adenauer-Stiftung), offre regolarmente seminari per alti militari dell’area. Berlino utilizza anche progetti della cosiddetta politica di sviluppo per influire sugli apparati di repressione regionali.
– La Francia invece ha iniziato a intervenire nel Nord del Mali con proprie truppe e con quelle della Mauritania, bypassando il governo di Amadou Toumani Touré, che sembrava voler integrare i Tuareg nelle istituzioni statali; i tuareg hanno ad esempio ottenuto importanti posizioni nell’apparato militare
– Il conflitto tra i ribelli tuareg e le forze armate del Mali, si è inasprito da metà gennaio e sta assumendo contorni di guerra civile; causa scatenante della ripresa del conflitto, pacificato sommariamente nel 2009, il rientro di migliaia di mercenari dalla Libia, che nella loro regione hanno trovato condizioni di vita molto precarie e dagli arsenali libici hanno portato nuovi armamenti e know-how bellici aggiornati …;
– A inizio febbraio la Germania ha creato una Task Force per il Sahel, per questioni umanitarie, politiche, di politica di sicurezza e economiche. Dopo i primi colloqui a livello governativo, con il Niger, sulla situazione nel Sahel, sarebbe prevista una visita del ministro Esteri tedesco in Niger e Burkina Faso.
– Si sono occupate della questione Sahel anche diverse agenzie; i documenti pubblicati da KAS (Konrad Adenauer Stiftung, CDU) e SWP (Stiftung Wissenschaft und Politik) hanno avanzato consigli al governo.
– Kas propone strategie per rafforzare la posizione tedesca nei confronti dei concorrenti Usa e Francia:
o dato che Usa e Francia operano ricorrendo fortemente ai militari, Berlino deve profilarsi come potenza di pace. La questione della sicurezza nel Sahel non è risolvibile per via militare, dato che le cause dei conflitti sociali sono la povertà, la disoccupazione e la fame.
o Occorre aiutare la smobilitazione o l’integrazione dei guerriglieri tornati dalla Libia, rafforzare la cooperazione regionale (propone SWP, ad inizio 2011), al centro di questa proposta di cooperazione il regime autoritario algerino che cerca di assumere un ruolo guida nella regione del Sahel. SWP ascrive ad Algeri un ruolo di primo piano dato che dispone delle maggiori capacità per la sicurezza nella regione.
o Dal 2004 Algeri ha il Centre Africain d’Études et de Recherche sur le Terrorisme (CAERT), che deve coordinare per l’Unione Africana la lotta al terrorismo dei paesi africani, ed è appoggiato da Berlino e dalla UE dal 2007.
o Dal 2010 Algeri ha istituito un centro di commando nella Sud del paese, in cooperazione con Mauritania, Mali e Niger, per rafforzare la coopera zone nella politica di sicurezza nella regione del Sahel.
o KAS, ci vuole un programma congiunturale per il Mali, per sottrarre il terreno di coltura al terrorismo.
o Finora non hanno avuto grande successo nella regione le strategie di Usa e UE, a guida francese – rafforzamento di apparati polizieschi e militari e intervento militare diretto.
– In realtà anche le strategia tedesche si basano su elementi militari, e su una stretta cooperazione con il regime militare algerino.
o Negli ultimi anni la Germania ha intensificato le relazioni bilaterali con Algeri; in un primo tempo si è trattato di progetti per la marina, ora di progetto a livello degli apparati di repressione che riguardano il Sud Algeria, per impedire “flussi di profughi”;
o al progetto – come auspicato dalla Cancelliera Merkel in un incontro di fine 2010 con il presidente algerino – partecipano diversi gruppi tedeschi, tra cu la filiale di Eads Cassidian, che sta rafforzando i confini anche nel deserto saudita.
o Berlino pensa inoltre di fornire armamenti tedeschi in grande quantità alle forze armate algerine; nel 2011 si è saputo di un progetto di armamenti tedesco-algerino per €10MD per l’esportazione nei paesi arabi, in particolare in Algeria.
Nonostante le dichiarazioni al contrario, le iniziative tedesche hanno un carattere chiaramente militare, mirano al controllo del Sahara e della regione del Sahel con l’aiuto di Algeri e l’esclusione di USA e Francia.
Kämpfe im Sahel (I)
– (Eigener Bericht) – Anlässlich anhaltender bewaffneter Auseinandersetzungen in der Sahel-Region leitet Berlin Schritte zur Ausweitung seines Einflusses in dem Gebiet ein. Seit Mitte Januar eskalieren die Kämpfe zwischen staatlichen Repressionskräften und rebellierenden Tuareg zusehends. Insbesondere Mali ist von dieser Entwicklung betroffen. Im nördlichen Teil des Landes befinden sich mittlerweile über 170.000 Menschen auf der Flucht. Die Bundesregierung hat kürzlich eine "Sahel Task Force" eingerichtet, die sich mit humanitären, aber auch mit "politischen, sicherheitspolitischen und wirtschaftlichen Fragestellungen für die Sahel-Region" befasst.
– Einflussreiche außenpolitische Think Tanks entwickeln derweil Strategien, wie Deutschland seine Position im Sahel gegenüber seinen westlichen Konkurrenten stärken kann.
– Man müsse sich, heißt es, gegenüber den USA und Frankreich, die unter starkem Rückgriff auf das Militär operierten, als "friedliche" Macht profilieren. Tatsächlich stützen sich auch die Berliner Strategien auf militärische Elemente – und auf eine enge Kooperation mit dem Militärregime in Algerien.
– Seit Mitte Januar eskalieren gewalttätige Auseinandersetzungen zwischen rebellierenden Tuareg und den Streitkräften Malis. Unmittelbarer Auslöser des Konflikts ist die Rückkehr tausender Tuareg aus Libyen; dort standen sie seit Jahren in den Diensten der Armee, kämpften zuletzt auf Seiten Muammar al Gaddafis und mussten nach dem Ende des Bürgerkrieges in ihre Heimatregionen in der Sahelzone zurückkehren, in denen prekärste Lebensbedingungen herrschen.
– Insbesondere im Norden Malis kam es daraufhin zu massiven sozialen Unruhen; der seit 2009 notdürftig befriedete Konflikt zwischen der Regierung und den um größere Eigenständigkeit kämpfenden Tuareg flammte wieder auf. Im Norden Malis hat er mittlerweile das Ausmaß eines Bürgerkrieges angenommen.
– Mitte März brachten Rebellen dort einen Militärstützpunkt der Armee unter ihre Kontrolle. Aufgrund der Eskalation des Konflikts befinden sich Angaben der UNO zufolge inzwischen mehr als 170.000 Menschen auf der Flucht. Betroffen sind neben Mali vor allem Niger und Mauretanien.
– Deutschland sucht den Konflikt zu nutzen, um seinen Einfluss in der Sahel-Region auszuweiten. Anfang Februar richtete die Bundesregierung eine "Sahel Task Force" ein. Diese soll, abgesehen von sogenannter humanitärer Unterstützung, die "ressortübergreifende Abstimmung zu politischen, sicherheitspolitischen und wirtschaftlichen Fragestellungen für die Sahel-Region" ermöglichen – ein klarer Hinweis darauf, dass Berlin umfassendere Aktivitäten, auch sogenannte sicherheitspolitische, in dem Gebiet plant.[1] Erste Gespräche auf Regierungsebene finden mittlerweile statt. Anfang März empfing Bundesaußenminister Guido Westerwelle seinen nigrischen Amtskollegen Mohamed Bazoum. Thema des Treffens war insbesondere die Situation in der Sahelzone. Aus dem Auswärtigen Amt hieß es zwischenzeitlich, Besuche von Außenminister Westerwelle in Niger und Burkina Faso seien noch für diesen Monat geplant.[2] Die Pressestelle des Ministeriums dementiert dies allerdings auf Anfrage.
Eine Folge des Libyen-Krieges
– Zum politischen Vorgehen in der Sahel-Region haben sich inzwischen mehrfach Agenturen der bundesdeutschen Politikberatung zu Wort gemeldet. Zuletzt veröffentlichten die CDU-nahe Konrad-Adenauer-Stiftung (KAS) und die Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) Papiere, die sich mit der Situation im Sahel befassen und Handlungsempfehlungen für die Bundesregierung ausgeben.
– Beide Papiere äußern die Befürchtung, die Sahelzone könne sich zunehmend zu einem rechtsfreien Raum entwickeln. Als wesentliche Momente der politischen Destabilisierung werden dabei
o der sich verschärfende Konflikt zwischen den Tuareg und den jeweiligen Nationalstaaten,
o die gestiegene Nutzung der Region für den Schmuggel von Drogen nach Europa und auf die arabische Halbinsel
o sowie islamistischer Terrorismus ausgemacht.
o Zudem habe die Rückkehr der Tuareg-Kämpfer aus Libyen "die ohnehin fragilen Sahelstaaten weiter destabilisiert", heißt es bei der SWP, zumal in Libyen – eine Folge auch des NATO-Krieges – zahlreiche "Waffenarsenale unkontrolliert geöffnet" worden seien.[3]
– Die Autoren befürchten eine weitere Eskalation bewaffneter Konflikte auch in an den Sahel angrenzenden Staaten, etwa in Nigeria, Tschad oder Sudan. In Nigeria nehmen die gewalttätigen Auseinandersetzungen bereits zu (german-foreign-policy.com berichtete [4]).
Militär: "Keine Lösung"
– Wie die Autoren schreiben, könne sich Deutschland in der Region wohl am besten als stabilitäts- und friedensstiftende Kraft in Stellung bringen.
– Von geringem Erfolg seien die bisherigen Strategien der USA sowie der EU unter Führung Frankreichs gekrönt, die die Sahel-Region durch den Ausbau der Polizei- und Militärapparate sowie durch direkte militärische Intervention unter Kontrolle zu bringen suchten. Die Argumentation richtet sich gegen die regelmäßigen Militärmanöver unter US-Führung [5], aber auch gegen militärische Aktionen Frankreichs wie die Befreiung von Geiseln in Niger, die "die Spannungen zwischen den Ländern noch verschärft" hätten.
– "Militärisch" sei "die Sicherheitsfrage im Sahel aber nicht zu lösen", urteilt die Konrad-Adenauer-Stiftung, da schließlich "Armut, Arbeitslosigkeit und regelmäßige Hungersnöte" die Ursachen der sozialen Konflikte in den Sahel-Staaten seien.[6]
– Das Scheitern der US-amerikanischen und französischen Militärstrategien biete der Bundesrepublik die Möglichkeit, sich mit alternativen Konzepten zu profilieren. So sei etwa die "Demobilisierung oder Integration (aus Libyen, d. Red.) zurückgekehrter Kämpfer" [7] zu unterstützen, schlägt die SWP vor.
– Die Konrad-Adenauer-Stiftung plädiert im Falle Malis für Konjunkturprogramme, durch die "dem Terrorismus der Nährboden genommen werden" soll.[8]
– Dabei solle vor allem die regionale Kooperation gestärkt werden, heißt es bei der SWP. Im Zentrum steht dabei für Berlin das autoritäre Regime Algeriens, das sich seit geraumer Zeit bemüht, in der Sahara- und Sahel-Region eine regionale Führungsrolle zu übernehmen. Den Gedanken, Berlin solle zur Kontrolle des Sahel enger mit Algier kooperieren, vertritt die SWP seit geraumer Zeit.
– So hieß es in einem Papier des Think Tanks bereits Anfang 2011, die bisherigen Interventionen des Westens zur Kontrolle der sozialen Unruhen im Sahel seien gescheitert; zu empfehlen sei nun eine Strategie, welche "die Staaten der Region zu intensiverer Kooperation" bewege. Die SWP wies damals ebenfalls Algerien eine führende Rolle zu; schließlich verfüge das Land über "die bei weitem größten Kapazitäten im Sicherheitsbereich" in der Region.[9]
– In der Tat beherbergt Algier seit 2004 das Centre Africain d’Études et de Recherche sur le Terrorisme (CAERT), das für die AU die Terrorismusbekämpfung der afrikanischen Staaten koordinieren soll und zunächst von Berlin, seit 2007 von der EU unterstützt wird.
– Im April 2010 hat Algerien in Kooperation mit Mauretanien, Mali und Niger in der südalgerischen Stadt Tamanrasset ein Kommandozentrum eingerichtet, das die "sicherheitspolitische" Kooperation speziell in der Sahel-Region verstärken soll.
Militär: Teil der Lösung
– Vor allem auf der Ebene der Repressionsapparate hat Deutschland in den letzten Jahren seine bilateralen Beziehungen zu Algier deutlich intensiviert. Ging es dabei zunächst um Marineprojekte [10], stehen inzwischen Vorhaben im Mittelpunkt, die nach Südalgerien reichen. Im Rahmen eines Treffens mit dem algerischen Staatspräsidenten Ende 2010 ließ Bundeskanzlerin Merkel verlauten, Berlin sei interessiert, sich "mit deutschen Firmen" an einem algerischen Grenzsicherungsprojekt zu beteiligen. Es diene der Unterbindung von "Flüchtlingsströmen".[11]
– Anfang 2011 wurde bekannt, dass mehrere deutsche Firmen daran beteiligt sind, darunter die EADS-Tochter Cassidian, die auch in der saudischen Wüste die Hochrüstung der Grenzen durchführt.
– Zudem plant Berlin, die algerischen Streitkräfte in großem Maßstab mit deutschen Rüstungsgütern auszustatten; letztes Jahr wurde ein deutsch-algerisches Rüstungsprojekt im Volumen von zehn Milliarden Euro bekannt, das die Produktion unter anderem von Unimogs und Transportpanzern vom Typ Fuchs in Algerien vorsieht – für den Export in arabische Länder, vor allem aber für die algerische Armee (german-foreign-policy.com berichtete [12]). Der Vorgang zeigt, dass auch die deutschen Aktivitäten, die in Abgrenzung gegenüber den USA und Frankreich mit algerischer Hilfe auf die Kontrolle der Sahara und der Sahel-Region zielen, trotz anderslautender Bekenntnisse klar militärisch ausgerichtet sind.
[1] Bundesregierung intensiviert Hilfe für die Sahel-Zone; www.bmz.de 07.02.2012
[2] Bundesregierung will drohende Hungerkatastrophe in der Sahelzone abwenden; www.bundestag.de 29.02.2012
[3] Denis M. Tull/Wolfram Lacher: Die Folgen des Libyen-Konflikts für Afrika. Gräben zwischen der AU und dem Westen, Destabilisierung der Sahelzone, SWP-Studie März 2012
[4] s. dazu Am Rande des Bürgerkriegs
[5] Die Vereinigten Staaten führen seit dem Jahr 2002 in wechselnden Formaten ("Pan Sahel Initiative", "Trans-Sahara Counterterrorism Partnership") Militärmanöver mit den Ländern der Sahara- und der Sahel-Region durch.
[6] Maria Zandt: Im rechtsfreien Raum: Neue Sicherheitsherausforderungen im Sahel; www.kas.de 09.03.2012
[7] Denis M. Tull/Wolfram Lacher: Die Folgen des Libyen-Konflikts für Afrika. Gräben zwischen der AU und dem Westen, Destabilisierung der Sahelzone, SWP-Studie März 2012
[8] Maria Zandt: Im rechtsfreien Raum: Neue Sicherheitsherausforderungen im Sahel; www.kas.de 09.03.2012
[9] Wolfram Lacher: Organisierte Kriminalität und Terrorismus im Sahel, SWP-Aktuell Januar 2011
[10] s. dazu Jederzeit aktivierbar und Kriegsgerät für Öl
[11] Pressestatements von Bundeskanzlerin Angela Merkel und dem Staatspräsidenten der Demokratischen Volksrepublik Algerien Abdelaziz Bouteflika am 8. Dezember 2010 in Berlin. S. auch Nutznießer der Repression (II)
[12] s. dazu Hoflieferant autoritärer Regime
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Kämpfe im Sahel (II)
– (Eigener Bericht) – Mit dem Putsch in Mali verkomplizieren sich die Bemühungen Berlins um stärkere Einflussnahme auf die strategisch wichtige Sahel-Region. Am vergangenen Mittwoch haben in der malischen Hauptstadt Bamako Teile des Militärs geputscht und die Regierung von Staatspräsident Amadou Toumani Touré abgesetzt. Unmittelbarer Auslöser war die Unzufriedenheit vieler einfacher Soldaten mit der Strategie der malischen Regierung im Konflikt mit den Tuareg im Norden des Landes.
– Berlin hat in den vergangenen Jahren eng mit dem malischen Militär kooperiert. Frankreich hingegen ist dazu übergegangen, im Norden Malis mit eigenen Truppen zu intervenieren – unter Umgehung der Regierung in Bamako. Kritische Stimmen aus Mali befürchten nun, westliche Staaten, etwa Frankreich, könnten den Putsch als Vorwand für eine umfassendere militärische Intervention in ihrem Land nutzen. Gleichzeitig verschärft sich die Konkurrenz zwischen Deutschland und Frankreich um geostrategischen und ökonomischen Einfluss in der Sahel-Region.
– Am vergangenen Mittwoch putschten in Mali Teile der Armee und stürzten im Namen eines "Nationalen Komitees für die Wiederbelebung der Demokratie und die Wiederherstellung des Staates" die bisherige Regierung von Staatspräsident Amadou Toumani Touré. Die Offiziere setzten die Verfassung vorläufig außer Kraft, lösten alle staatlichen Institutionen auf und sagten die für April vorgesehenen Präsidentschaftswahlen ab. Der gewaltsame Sturz der Regierung geht offenbar in erster Linie vom Druck der mittleren und niederen Ränge des Militärs aus; aus diesem Milieu erhob sich am 21. März eine Meuterei in einer Kaserne in einem Außenbezirk der Hauptstadt Bamako, von wo die Meuterer zum Sitz des Präsidenten zogen, wobei sie unter anderem ein Fahrzeug der bundeseigenen Gesellschaft für internationale Zusammenarbeit und Entwicklung (GIZ) beschlagnahmten. Vor dem Sitz des Präsidenten kam es dann zu stundenlangen Gefechten mit der Präsidialgarde.
Folgen des Libyen-Kriegs
– Hintergrund des Putsches ist der seit Anfang des Jahres eskalierende bewaffnete Tuareg-Konflikt im Norden Malis. Nach dem Ende des libyschen Bürgerkrieges sind viele Tuareg, die zuvor in Diensten von Gaddafis Armee gestanden hatten, in ihre Heimatregionen in der Sahelzone zurückgekehrt – unter anderem nach Mali. Dank der Rückkehrer mit neuer militärischer Ausrüstung und aktuellem Kriegs-Know-How versehen, starteten die Tuareg eine neue Offensive und nahmen verschiedene Ortschaften im Norden Malis ein.
– Mittlerweile sollen sie kurz vor der Eroberung von Kidal stehen, der strategisch wichtigsten Stadt im Norden des Landes.
– Die Soldaten der malischen Armee fühlen sich in diesem Konflikt von der malischen Regierung verheizt; die Armee scheint zu schwach, um den gut ausgerüsteten und organisierten Tuareg-Rebellen Einhalt gebieten zu können. Der Sprecher der Putschisten, Leutnant Amadou Konaré, nannte als Grund für den Aufstand "die Unfähigkeit der Regierung, wirksam gegen die Terroristen im Norden des Landes vorzugehen".[1]
Deutsch-französische Konkurrenz
– Offiziell haben die Vereinten Nationen (UN), die Europäische Union[e] (EU) sowie die Afrikanische Union[e] (AU) die gewaltsame Machtübernahme durch Teile des Militärs unisono verurteilt und die sofortige Wiedereinsetzung der Regierung gefordert. Auch Berlin verlangt die "umgehende Rückkehr zur verfassungsmäßigen Ordnung".[2]
– Im Hintergrund bestehen allerdings seit einiger Zeit erhebliche Differenzen zwischen den westlichen Staaten im Hinblick auf ihre geostrategische Einflussnahme in der Sahelregion – insbesondere zwischen Deutschland und Frankreich.
o Frankreich hält seit jeher in seinen ehemaligen Kolonien eine starke Stellung und versucht diese zum Teil durch einen unilateralen Kurs direkter politischer wie militärischer Intervention aufrechtzuerhalten.
o Deutschland hingegen bemüht sich, seinen Einfluss durch verstärkte Kooperation mit den jeweiligen Staaten und mit überregionalen Staatenbündnissen auszuweiten – auf Kosten von Paris.
– Mali ist dabei für den Westen weniger unter ökonomischen Gesichtspunkten als vielmehr aufgrund seiner geostrategischen Lage von Bedeutung: Es grenzt sowohl an die ökonomisch interessanteren Ressourcenstaaten Nordafrikas als auch an das ressourcenreiche Westafrika und gilt als Drehscheibe für die wirtschaftliche und politische Einflussnahme in der Region. In Bamako heißt es zugespitzt, Experten verträten die Ansicht, von Mali aus könne letztlich "ganz Afrika" regiert werden.[3]
Einflussnahme im Militär
– Im Rahmen seines Versuchs, sich als vermeintlich kooperationsbereite Alternative zur neokolonial geprägten Politik Frankreichs zu profilieren, hat die Bundesrepublik in den letzten Jahren unter anderem ihre militärpolitische Zusammenarbeit mit den westafrikanischen Staaten deutlich intensiviert.
– In Mali unterstützt sie sowohl finanziell als auch durch deutsche "Militärberater" die Bamako Peacekeeping School. Das Zentrum ist im Auftrag der AU und des westafrikanischen Staatenbündnisses ECOWAS tätig und soll afrikanische Armeen für Militäroperationen auf dem Kontinent vorbereiten – zum Beispiel für Kooperationen mit den EU Battle Groups oder mit der NATO Response Force.
– Die Bamako Peacekeeping School ist ihrerseits eng verbunden mit dem Kofi Annan International Peacekeeping Centre in Ghana, das sogenannte Friedenstruppen aus verschiedenen Ländern Afrikas ausbildet. Seit seinem Bestehen unterstützt Berlin die Einrichtung mit Millionensummen.[4]
– Kolloquien und Seminare für hochrangige Militärs aus den Staaten Westafrikas bietet regelmäßig auch die CDU-nahe Konrad-Adenauer-Stiftung an. Um Einfluss im Milieu von Militär und Repressionsbehörden zu erlangen, nutzt die Bundesrepublik auch Projekte der sogenannten Entwicklungspolitik. So unterstützt zum Beispiel die bundeseigene Gesellschaft für internationale Zusammenarbeit (GIZ) das "African Union[e] Border Programme" der AU. Im Rahmen dieses Programms geht es um "die Festlegung und Markierung von Grenzen" und im Zusammenhang damit auch um "die grenzüberschreitende Zusammenarbeit, den Aufbau von Institutionen und Kapazitätsentwicklung sowie die Mobilisierung von Ressourcen" in Afrika südlich der Sahara.[5] An dem Programm sind bislang zehn afrikanische Staaten beteiligt – auch Mali.
An der Regierung vorbei
– Während Berlin in Sachen Militär eng mit der Regierung Malis zusammengearbeitet hat, gilt es in Bamako als offenes Geheimnis, dass vor allem Frankreich sich schon länger an Tourés "weicher" Strategie im Umgang mit den Tuareg-Rebellen stört.
– Touré schien in der jüngeren Vergangenheit eher einen Ansatz zu verfolgen, der auf die Integration der Tuareg in die Institutionen des malischen Staates setzte. So erhielten Tuareg etwa hohe Positionen im militärischen Apparat, um sie mittels Einbindung zu befrieden. Nun wird Touré vorgeworfen, er habe mit dieser Politik das Land nur weiter destabilisiert. Offen brachte Frankreich seine Ablehnung zum Ausdruck: Es intervenierte zuletzt mehrfach gemeinsam mit Mauretanien militärisch im Norden Malis – an der Regierung des Landes vorbei, unter anderem, um französische Geiseln zu befreien.
– Die jüngste Zuspitzung der politischen Krise in Mali verkompliziert die Bemühungen Berlins um stärkere Einflussnahme in der strategisch wichtigen Sahel-Region, in der ohnehin gewaltsame soziale Auseinandersetzungen eskalieren – zuletzt in Nigeria (german-foreign-policy.com berichtete [6]).
– Kritische Stimmen aus Mali schließen mittlerweile die Möglichkeit eines direkten militärischen Eingreifens westlicher Staaten, etwa auf Drängen Frankreichs, nicht aus: Der Putsch könne "als Vorwand für eine Militärintervention dienen", warnt ein Oppositioneller aus Mali.[7] Eine direkte Intervention könnte jedoch vor allem der ehemaligen Kolonialmacht zugute kommen und die deutschen Bestrebungen konterkarieren, die eigene Position mit einer Strategie vorgeblich "gleichberechtigter" Partnerschaft und der Zusammenarbeit mit regionalen Militärinstitutionen zu stärken. Angesichts der Zuspitzung der Lage im Sahel hat die Bundesregierung kürzlich eine "Sahel Task Force" aufgebaut, die sich mit "politischen, sicherheitspolitischen und wirtschaftlichen Fragestellungen für die Sahel-Region" befasst.[8] Sie wird sich in den nächsten Monaten über einen Mangel an Arbeit kaum zu beklagen haben.
[1] Militärputsch gegen Präsident Touré; www.faz.net 22.03.2012
[2] Bundesregierung verurteilt Militärputsch in Mali; www.auswaertiges-amt.de 22.03.2012
[3] Militärputsch kann Vorwand für Intervention bieten; www.jungewelt.de 26.03.2012
[4] s. dazu Militär für Afrika (II)
[5] Unterstützung des Grenzprogramms der Afrikanischen Union; www.gtz.de
[6] s. dazu Am Rande des Bürgerkriegs
[7] Militärputsch kann Vorwand für Intervention bieten; www.jungewelt.de 26.03.2012
[8] Bundesregierung intensiviert Hilfe für die Sahel-Zone; www.bmz.de 07.02.2012. S. auch Kämpfe im Sahel
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