Da giorni tiene banco sui giornali l’inchiesta sulla cosiddetta Mafia capitale, l’organizzazione criminale che manipolava la vita economica dell’urbe fra commesse clientelari, mazzette e legami malavitosi.
Ciò che sorprende non è tanto la presenza del malaffare nella politica: da diverso tempo le inchieste su rimborsi elettorali, tangenti per le opere pubbliche e tesseramenti falsi che mascherano finanziamenti occulti ci hanno abituato alla simbiosi fra illegalità e politica borghese.
Casomai colpisce l’estensione e la penetrazione nel mondo della politica di questa “società per azioni a delinquere” che aveva i propri referenti un po’ in tutti i partiti e che era sempre pronta a saltare da uno schieramento all’altro a seconda di chi fosse il vincitore nella competizione elettorale. Infatti se le principali accuse si concentrano sulla passata gestione del comune – quella della giunta di destra guidata dell’ex missino Gianni Alemanno – fra arrestati e indagati non mancano certo esponenti locali del Partito Democratico (l’assessore alla Casa Daniele Ozzimo, il responsabile della direzione Trasparenza Italo Walter Politano – alla faccia della trasparenza! –, Luca Odevaine, ex capo di gabinetto dell’allora sindaco Walter Veltroni…). Colpisce che ai vertici della “cupola imprenditoriale” ci fossero due criminali riciclati, l’omicida Salvatore Buzzi, ma soprattutto l’ex terrorista nero Massimo Carminati, uomo passato per i NAR e la Banda della Magliana, usato da apparati dello stato per i lavori sporchi.
Quello che però è più significativo è la particolarità di una organizzazione mafiosa che agisce non solo nell’illegalità ma spesso ai suoi confini: se non disdegna l’usura e l’estorsione, il suo business principale è la gestione dei servizi pubblici e sociali, dei campi nomadi, dei centri di accoglienza per gli immigrati. Come diceva Buzzi al telefono coi suoi “compari” (o coi suoi soci d’affari, che dir si voglia): “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.
E per la protezione di questo business che dipende strettamente dalle commesse pubbliche, i membri della cupola non risparmiano soldi: uomini politici su libro paga, ma anche a dirigenti delle partecipate; infatti da un vero e proprio libro mastro di Salvatore Buzzi sarebbero emersi 15.000 euro al mese per l’amministratore delegato dell’AMA Franco Panzironi, 5.000 per il dirigente Eur SpA Carlo Pucci, altrettanti per Luca Odevaine, 10.000 euro una tantum per il consigliere regionale PD Eugenio Patanè, 75.000 euro in cene elettorali per Gianni Alemanno, e così via. Ma anche finanziamenti a fondazioni e comitati elettorali: 40.000 euro alla fondazione Nuova Italia di Gianni Alemanno, 30.000 per la Fondazione Alcide De Gasperi presieduta da Angelino Alfano, 10.000 al comitato elettorale di Emma Bonino che si era candidata alla presidenza della Regione Lazio. Una vera e propria attività di lobby per la difesa dei propri interessi economici, per coltivare e ampliare quei legami con la politica che garantivano accesso privilegiato a lavori che avrebbero dovuto ridurre il disagio sociale ma che fruttavano milioni a danno delle casse dello stato.
Una foto del 2010 ritrae il ministro del Lavoro Gianni Poletti a cena con Buzzi, Alemanno, Panzaroni e Ozzimo, cena che secondo Umberto Croppi, ex assessore alla Cultura nella giunta Alemanno, era stata organizzata per festeggiare un nuovo sistema di finanziamento che permettesse di pagare le cooperative (in questo caso, la coop “29 giugno” di Buzzi) nonostante il comune avesse le casse vuote. Poletti, presente in quanto Presidente della Lega delle cooperative, a cui aderisce la “29 giugno”, si difende: “se fai il presidente delle Coop o di Confindustria e della Confartigianato o di qualsiasi associazione di qualche rilievo, è ovvio che partecipi a tante iniziative e incontri tante persone […] inevitabilmente partecipi a migliaia di incontri e di certo non puoi conoscere tutti quelli che aderiscono alla stessa iniziativa”.
Quella foto è solo l’aspetto di maggiore rilevanza mediatica riguardo alla collusione fra il mondo delle cooperative e quello del crimine. Come sanno bene i compagni che operano nelle lotte della logistica, le cooperative spesso si configurano come associazioni a delinquere finalizzate all’evasione fiscale e contributiva, oltre che allo sfruttamento schiavistico. I soci-lavoratori fanno orari di lavoro massacranti con salari orari ridottissimi, salari su cui vengono fatte ulteriori decurtazioni sia derogando dal pur miserrimo contratto nazionale, sia frodando sul conteggio delle ore lavorate. E non mancano gli interventi diretti della criminalità organizzata che vede nelle cooperative un ottimo investimento sia per il riciclaggio del denaro sporco sia per lo sfruttamento brutale della manodopera.
Ora Renzi si erge a censore, promettendo un inasprimento delle pene per corrotti e corruttori. Questo nonostante fra gli arrestati ci sia qualche suo commensale alla cena di finanziamento del PD (la famosa cena da mille euro), nonostante abbia fatto approvare un Jobs Act che estende le precarietà rendendo i lavoratori più ricattabili da padroncini senza scrupoli come quelli delle cooperative, e un decreto Sblocca-Italia che elimina controlli e vincoli ambientali rendendo più facili abusi edilizi e corruzione.
In un mondo fondato sullo “spietato pagamento in contanti” è inevitabile che le istituzioni “democratiche” siano un comitato d’affari per meglio organizzare lo sfruttamento, che la tangente sia un investimento, la politica una continuazione della carriera con altri mezzi, l’illegalità un campo d’azione come gli altri. Quella di Roma è la “mafia del capitale”, la semplice evoluzione di un sistema che punta a massimizzare il profitto con ogni mezzo, sia esso lo sfruttamento più brutale dell’uomo sull’uomo o l’organizzazione mafiosa; un sistema ampiamente tutelato da chi oggi si scandalizza davanti alle telecamere mentre dietro le quinte continua gli intrallazzi col potere economico, legale o meno, intrallazzi dai quali può ricavare finanziamenti e appoggi per l’attività politica e spesso anche vantaggi personali.
Solo un sistema fondato sui bisogni dell’uomo e non sul motto pecunia non olet potrà porre definitivamente fine sia alle cosche mafioso-imprenditoriali che sono parte integrante della borghesia, sia allo sfruttamento su cui si fonda ogni attività economica capitalista, legale o illegale che sia. Per questo serve un’organizzazione politica che sappia contrapporre una prospettiva rivoluzionaria all’inevitabile corruzione del sistema politico borghese, che dia coscienza politica alla sempre più estesa indignazione testimoniata dalla crescente astensione alle elezioni, che unisca le forze rivoluzionarie contro le politiche del grande capitale e i populismi reazionari, che guidi i lavoratori alla conquista di una società senza classi.