Nelle elezioni di midterm che si sono tenute martedì 4 novembre negli USA, il partito democratico ha subito una secca sconfitta. I repubblicani conquistano 7 nuovi seggi al Senato e così passano a 22 seggi su 36, riconquistando la maggioranza che non avevano più dal 2007; inoltre consolidano la maggioranza alla Camera dove passano da 233 seggi a 246 si un totale di 435.
Anche nelle elezioni dei governatori i repubblicani avanzano, conquistando 24 stati su 36 di quelli in cui si votava.
Il tracollo democratico in larga parte è dovuto alla delusione per la politica di Obama: pesano la mancata chiusura di Guantanamo, una riforma sanitaria rimasta in gran parte inapplicata, la promessa tradita di naturalizzare 10 milioni di ispanici residenti da molto tempo negli USA, il debito pubblico in continua crescita (ormai prossimo ai 18.000 miliardi $), e infine una politica estera ondivaga, oscillante fra il ritiro militare dal Medio Oriente e un nuovo intervento contro l’ISIS. Fra i giovani, se la popolarità del presidente resta alta fra gli afroamericani (78% dei consensi), crolla fra gli ispanici (dall’80% del primo mandato al 46% di oggi), mentre rimane più bassa fra i giovani bianchi (45%).
Ma oltre ad essere le elezioni del tracollo democratico, queste sono anche state fra le elezioni di midterm più costose e meno partecipate.
Elezioni sempre più costose
Secondo il Center for Responsive Politics (gruppo indipendente di ricerca sul peso del denaro in politica), in queste elezioni sono stati spesi 3,7 miliardi di $. Inoltre, la vittoria ha quasi sempre premiato i candidati più foraggiati non solo a livello nazionale – 1,75 miliardi per i repubblicani, 1,64 per i democratici – ma anche localmente: nel 94% dei seggi in lizza alla Camera e nell’81% di quelli del Senato, il candidato vincitore è stato quello più “foraggiato” (Sheila Krumholz, executive director del CRP, Big money in politics breaks record, 5/11/2014 sul sito di Al Jazeera America).
Queste grosse spese si inseriscono in un trend di crescita che riguarda sia le elezioni di midterm sia quelle presidenziali: per il Congresso si è passati da 1,6 miliardi di $ del 1998 a 3,7 miliardi di oggi, mentre per la Casa Bianca da 1,4 miliardi del 2000 a 2,6 del 2012, con una leggera flessione rispetto a circa 2,8 del 2008 (http://www.opensecrets.org/bigpicture/).
E’ piuttosto cambiata la tipologia della raccolta fondi: è diminuita la spesa individuale dei candidati, mentre è cresciuta notevolmente quella dei gruppi di appoggio esterni che supportano uno o più candidati. Al contrario delle elezioni precedenti il CRP stima che si sia ristretto il numero totale dei finanziatori, con un ridimensionamento – soprattutto nel campo repubblicano – di quelli che hanno donato non più di 200 $. E’ in crescita il ruolo del “denaro nero”, proveniente da gruppo di appoggio che non rendono noti i nomi dei propri finanziatori (Russ Choma, Money Won on Tuesday, But Rules of the Game Changed).
L’astensione: giovane, meno abbiente, meno istruita, meno bianca e in crescita
Col 36,4% dei votanti, l’elezione di midterm di quest’anno non è solo in netta discesa rispetto al 41% del 2010, ma la meno partecipata della storia statunitense, fatta eccezione per il 33,9% del 1942. Solo in pochi stati l’affluenza ha superato il 50%, come ad esempio in Arkansas e Nebraska dove il referendum per l’applicazione di un salario minimo di 7,5 $ all’ora – proposta approvata – hanno portato alle urne molti lavoratori che viceversa si sarebbero astenuti. Secondo un sondaggio fatto dal Pew Research Center (un gruppo di ricerca politica indipendente) sulle intenzioni di voto pochi giorni prima delle elezioni, la distribuzione dei voto è differenziata dal punto di vista demografico e sociale (The Party of Nonvoters, 31/10/2014). I non votanti sono più giovani: su 100 astenuti, oltre un terzo (34%) ha meno di 30 anni, il 36% ne ha fra i 30 e i 49 anni e il 29% supera i 50 anni; invece su 100 votanti solo il 10% ha meno di 30 anni, il 29% fra i 30 e i 49 anni e il 59% supera i 50 anni. Il voto è differenziato per etnia: le tre principali minoranze etniche sono il 33,5% dell’elettorato (il 12,9% gli afroamericani, il 16% gli ispanici e il 4,6% gli asiatici) ma pesano per il 46% sulle astensioni e solo per il 22% sui voti. I non votanti sono più poveri e meno istruiti: il 54% non ha frequentato l’università mentre ben il 72% dei votanti lo ha fatto; il 46% dei non votanti ha un reddito familiare al di sotto di 30.000 $ contro il 19% dei votanti; il 45% dei primi ha avuto difficoltà a pagare bollette nell’ultimo anno contro il 30% dei secondi. Sono cifre che ricalcano quelle del 2010 o del 2012. Sono molto più sfumate le differenze di genere o di religione. E’ un astensione di classe, che forse non diventa avversione per il sistema capitalista o per lo stato che lo difende, ma sicuramente esprime una distanza dalle istituzioni borghesi. |
Quelli descritti non sono certamente fenomeni solo statunitensi: nell’Italia delle cene da mille euro e degli stipendi mensili al di sotto di tale cifra, l’astensione alle ultime elezioni europee ha superato il 40%. E nel panorama europeo è persino un’affluenza elevata, tanto che solo pochi altri paesi membri hanno visto una maggiore partecipazione: il Belgio (89,64%), il Lussemburgo (85,55%), Malta (74,8%) e la Grecia (59,97%). Per il resto, l’astensione è stata ancora maggiore che in Italia, superando il 50% in 20 stati su 28.
La delusione per il primo presidente nero che gli USA abbiano mai visto ricorda quella per il “socialista” Hollande o per i governi “di sinistra” italiani. Le promesse elettorali possono pesare nelle urne, ma la forza dei poteri economici prevale.
La democrazia di cui la borghesia si vanta tanto viene sempre più percepita come qualcosa di estraneo. Spetta ai comunisti far evolvere questo senso di estraneità in coscienza di classe e in lotta.