Pubblichiamo di seguito il comunicato della rete di collegamento Uniti si Vince sulla giornata del 16 ottobre.
Il 16 ottobre migliaia di operai della logistica organizzati nei sindacati Si Cobas e Adl Cobas hanno incrociato le braccia in tutta Italia dando vita a una grande giornata di lotta.
Da Torino a Milano, da Brescia a Piacenza, da Padova a Bologna fino a Roma e
Caserta la gran parte dei magazzini delle più importanti catene del settore logistica (TNT, Bartolini, DHL, GLS, SDA) sono stati bloccati dai picchetti operai cui hanno dato sostegno attivo le reti cittadine solidali con le lotte nella logistica e numerose realtà di movimento, tra cui quello per l’abitare, studenti e comitati di disoccupati e precari.
Caserta la gran parte dei magazzini delle più importanti catene del settore logistica (TNT, Bartolini, DHL, GLS, SDA) sono stati bloccati dai picchetti operai cui hanno dato sostegno attivo le reti cittadine solidali con le lotte nella logistica e numerose realtà di movimento, tra cui quello per l’abitare, studenti e comitati di disoccupati e precari.
Lo sciopero della logistica, che aveva l’obiettivo immediato di rispondere al tentativo padronale di cancellare i risultati di anni di lotte attraverso un accordo siglato tra Fedit e Confetra da una parte e i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil dall’altra, ha nelle ultime settimane assunto sempre più un carattere generale e sociale contro le politiche di attacco al salario e di precarizzazione estrema portate avanti dal governo Renzi col Jobs act e col tentativo di cancellare definitivamente l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ed è riuscito a saldarsi con le proteste studentesche, le lotte per il diritto all’abitare e contro grandi opere e nocività cui Renzi vuol dare nuova linfa attraverso il decreto “sblocca-Italia”.
In molte città, in particolare a Bologna e Roma, la lotta non si è fermata ai cancelli dei magazzini, ma è giunta fin nel cuore della metropoli dove disoccupati, precari, studenti e occupanti-casa hanno messo in atto svariate iniziative di lotta nelle stazioni ferroviarie, nelle scuole, nelle università o presso i palazzi del potere per ribadire con forza il no ai licenziamenti, alla precarietà a vita, alle controriforme dell’istruzione, alle speculazioni e alle politiche di devastazione ambientale e rivendicare il lavoro stabile e sicuro, il salario garantito e il diritto alla casa per i proletari.
In sostanza uno sciopero vero, che nel più totale silenzio dei mass media (compresi quelli della sempre più agonizzante sinistra “ufficiale”) ha colpito sul serio i padroni e i loro profitti segnando in ciò una netta linea di discontinuità non solo rispetto alle processioni rituali cui per anni ci ha abituato il sindacalismo confederale e collaborazionista, ma anche nei confronti del ritualismo scadenzista, tanto ambizioso nei proclami quanto inoffensivo per la controparte, che negli ultimi tempi ha caratterizzato gli “scioperi generali” indetti dalle sigle del sindacalismo di base.
I risultati dello sciopero hanno iniziato a divenire tangibili già nelle prime ore dei picchetti: Fedit e Confetra sono disposte a rimetter ein discussione l’accordo siglato con i confederali, mentre questi ultimi, come sempre, pressati dallo sciopero tentano di tenersi a galla dichiarando che alcuni passaggi dell’accordo andrebbero migliorati, mentre in TNT, dove per primo l’accordo è divenuto operativo, i padroni pare siano disposti a fare un passo indietro. Vedremo cosa c’è di vero in questi primi impegni in parola…
Una controprova dell’efficacia di questa giornata è data anche dal comportamento tenuto dalle forze dell’ordine al CAAT di Torino, dove gli uomini in divisa al servizio del sistema schiavistico delle cooperative pur di impedire i picchetti hanno in più occasioni caricato selvaggiamente i facchini del SI-Cobas e le realtà di movimento torinesi per poi tentare di scaricare sui manifestanti la responsabilità del decesso di un lavoratore, episodio che nulla aveva a che fare con i picchetti e che secondo gli stessi familiari si sarebbe forse potuto evitare se solo la questura avesse consentito alle ambulanze di intervenire con maggiore rapidità.
Sui nostri territori, pur non essendo in presenza di un forte movimento nella logistica, siamo intervenuti provando ad abbinare la lotta nelle cooperative con la caratterizzazione “sociale” dello sciopero: mentre alla Tnt di Teverola i picchetti sono iniziati già all’alba e i cancelli sono stati bloccati per oltre 7 ore, in zona flegrea il comitato dei disoccupati locale ha occupato Città della Scienza, simbolo a un tempo della retorica istituzionale del PD e dei suoi amici e principale avamposto delle manovre speculative in atto a Bagnoli da 20 anni e riprese di recente proprio grazie allo “Sblocca-Italia”; nelle stesse ore i movimento per il diritto all’abitare occupavano una biblioteca del centro storico per denunciare la totale assenza di politiche abitative per i meno abbienti; infine, a pomeriggio inoltrato i vari pezzi attivi in mattinata si sono ricomposti per andare ad occupare la sede regionale del PD, principale responsabile delle politiche di macelleria sociale a cui stiamo assistendo.
Il 16 ottobre ci ha dunque indicato la strada da seguire anche nelle prossime settimane: se l’attacco padronale e del governo è generalizzato e non risparmia nessuno, la nostra risposta deve per forza di cose essere a trecentosessanta gradi, quanto più unitaria ed efficace possibile.
La radicalità espressa nei due giorni immediatamente successivi al 16 ottobre nelle piazze di Torino e Bologna a margine, rispettivamente, del solito sciopero-sfilata-comizio della Fiom e dell’ennesima passerella mediatica del governatore della Banca d’Italia Visco sono solo due esempi di come sia possibile far saltare la strategia di Renzi, tesa a creare ad arte una presunta contrapposizione tra “garantiti” e “precari” usando la miseria dei secondi come alibi per colpire i primi e sbandierando il misero e illusorio contentino del “contratto a tutele crescenti” come esca per fermare e depotenziare la rabbia di una giovane generazione di proletari nata e cresciuta senza futuro e senza mai conoscere alcuna di quelle “garanzie” che i sindacati confederali hanno per anni contribuito a svuotare e distruggere e che ora dichiarano ipocritamente di voler difendere.
Nel settimo anno di una crisi di cui non solo non si vede la fine, ma che al contrario tende ad inasprirsi e ad abbattersi ogni giorno di più sulle vite dei proletari, diviene sempre più evidente che in mancanza di un percorso di lotta nazionale i milioni di disoccupati e di precari saranno condannati a un futuro di fame e di stenti.
D’altra parte, qualcosa inizia finalmente a muoversi anche all’interno delle fabbriche metalmeccaniche: le mobilitazioni in atto alla Titan di Crespellano e alla TRW di Livorno indicano una domanda di protagonismo e di lotta che, seppur configurata ancora in un ottica resistenziale e di mera difesa del posto di lavoro, può trovare nel movimento contro il Jobs Act il contesto utile per alla ripresa e allo sviluppo di una lotta a più ampio raggio e di respiro nazionale.
Vista in quest’ottica, la mobilitazione dei facchini della logistica è un esempio vincente prim’ancora che per gli obbiettivi concreti conseguiti, per il fatto di rappresentare in maniera tangibile il superamento definitivo della dicotomia “garantiti-precari” nell’attuale fase dello scontro di classe. Gli operai delle cooperative (non solo nella logistica) sono infatti il più delle volte formalmente “garantiti” da contratti a tempo indeterminato con tanto di orari e salario tabellare, ma nella sostanza sono sottoposti a ogni forma di ricatto, arbitrio e vessazioni fin quando non decidono di alzare la testa e, con la lotta e i picchetti, costringere i padroni a rispettare quanto previsto dal CCNL.
Quel che accade nella logistica non è tanto difforme da quanto ogni operaio (garantito o precario che sia) vive quotidianamente nella gran parte dei luoghi di lavoro: buste paga taroccate, contributi non versati, straordinari non retribuiti, ferie, maternità e malattie non concesse, soprusi e ricatti di ogni tipo da parte dei padroni e dei loro lacchè (spesso travestiti da “sindacalisti”), licenziamenti politici, e l’elenco potrebbe continuare all’infinito… D’altronde, di cos’altro ci parla il Piano-Marchionne e la disdetta unilaterale degli accordi da parte della Fiat con tanto di uscita da Confindustria? I padroni della più importante industria italiana per distruggere ogni diritto dei lavoratori, smantellare la democrazia sindacale e licenziare gli operai combattivi non hanno certo aspettato Renzi e le sue riforme… casomai è quest’ultimo che si propone di generalizzare e “legalizzare” ciò che i padroni hanno già imposto laddove gli è stato possibile.
Se tutto ciò è vero, allora il problema non è tanto quello di “chiedere” o invocare sulla carta, quei diritti formali (ivi compresa la difesa dell’articolo 18) che i padroni calpestano ogni giorno prim’ancora che Renzi e il PD lo sanciscano in parlamento: il problema è invece quello di creare una forza d’urto e un immaginario capace di rovesciare i rapporti di forza e imporre ai padroni e al governo con la forza (l’unico linguaggio che conoscono) il rispetto dei diritti e la conquista del salario pieno per tutti i proletari.
Il merito storico del movimento dei facchini è quello di aver spazzato via un’idea di sindacato, quella dei Bonanni, delle Camusso e anche dei Landini, intesa come mera riduzione del danno fondata sul principio della “partecipazione del lavoratore alle perdite” (presunte) del padrone al fine di elemosinare in un futuro lontano qualche briciola dei profitti (reali).
I facchini della cooperative hanno invece indicato una strada concreta e alternativa alla rassegnazione e all’eterna spirale dei compromessi al ribasso, dimostrando che i tavoli di trattativa sono inutili se prima non si colpisce il padrone portandolo “a più miti consigli”, che è possibile lottare per il rispetto del CCNL senza dover necessariamente accettare casse integrazioni e contratti di solidarietà, e soprattutto che è possibile conquistarsi con la lotta la titolarità a trattare con la controparte nonostante le leggi antisciopero e le norme sindacali riservino questo “diritto” esclusivamente a Cgil-Cisl-Uil.
Certo, l’esempio dei facchini non è facilmente ne immediatamente esportabile in tutto l’universo del lavoro salariato: mentre il proletariato immigrato, dominante nella logistica al centro-nord, si tuffa nell’arena della lotta di classe con l’entusiasmo e l’abnegazione di chi sa di non avere niente da perdere e soprattutto non porta su di se il fardello di 30 anni di sconfitte e tradimenti, ancora forte è la sfiducia e lo scetticismo di una classe operaia “autoctona” che in gran parte permane in uno stato soporifero, imbrigliata dall’abbraccio mortale di Cgil-Cisl-Uil e delle tante sigle e siglettine che nella sostanza si comportano in maniera analoga in innumerevoli vertenze (un esempio su tutti: la condotta capitolarda di alcuni pseudo-sindacatini nella vertenza dell’Astir e delle partecipate della Regione Campania).
Una una reale ricomposizione di classe non è ancora dietro l’angolo, ma proprio per questo il SI-Cobas, i movimenti solidali e le forze sane del sindacalismo di classe hanno oggi il dovere di lavorare all’allargamento del fronte di classe a partire dall’importante esempio delle lotte nella logistica.
Lo sviluppo di collegamenti sempre più saldi tra il movimento dei facchini, gli operai combattivi, i movimenti di cassintegrati e licenziati, le realtà organizzate dei precari, dei disoccupati, le lotte per il diritto allo studio e all’abitare, per i servizi sociali e contro speculazioni e devastazione ambientale rappresenta per noi il principale obiettivo di fase, in mancanza del quale ogni “agenda di lotta” autunnale rischia di trasformarsi in un inutile elenco di scadenze frantumate e scollegate tra loro.
Ed è con questo obiettivo e questo spirito che saremo impegnati nella costruzione dei prossimi appuntamenti di lotta sul nostro territorio, dalla manifestazione del 7 novembre a Bagnoli contro il decreto “sblocca-Italia” in concomitanza con l’arrivo di Renzi, all’assemblea nazionale sui licenziamenti politici promossa dal Comitato Cassintegrati e licenziati Fiat di Pomigliano.
I diritti si conquistano con la lotta, non ai tavoli col governo e i padroni!
Per il ritiro dell’accordo-truffa Fedit-Confetra-Cgil-Cisl-Uil
Lavoro stabile e sicuro o salario garantito
Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario: lavorare meno, lavorare tutti!
Per l’abolizione di tutte le figure lavorative precarie
Contro Renzi, il Jobs Act e lo “Sblocca-Italia”
Solo la lotta paga
Uniti si Vince
Rete campana di collegamento delle lotte proletarie