Per l’ennesima volta, il viaggio di decine di migranti nel mediterraneo si è trasformato in due stragi.
Nel primo caso neppure per un naufragio: l’imbarcazione su cui viaggiavano era talmente stipata che 45 passeggeri rinchiusi nella stiva – questa è la cifra che viene diffusa mentre scriviamo – è morta asfissiata. E mentre ancora si completava la conta dei morti, è arrivata la notizia di un nuovo naufragio nel canale di Sicilia che sarebbe costato la vita a 70 migranti.
Mentre gli sciacalli della Lega Nord cavalcano la tragedia per chiedere la sospensione dell’operazione “mare nostrum” – nata per meglio reprimere l’immigrazione ma che ha permesso il soccorso di molte navi a rischio naufragio – le istituzioni italiane accusano quelle europee di averle lasciate sole a fronteggiare il problema.
Che l’Unione Europea non sia capace di articolare una politica comune neppure su un tema fondamentalmente economico come l’immigrazione è una misura di quanto essa sia frazionata e divisa da interessi divergenti. Ma che l’Italia faccia la parte del paese solidale lasciata sola dall’egoismo dei partner comunitari è una misura dell’ipocrisia nazionale: nonostante lo stivale sia spesso il primo paese europeo toccato, i migranti tendono a spostarsi verso il nord Europa, dove trovano non solo un mercato del lavoro più favorevole, ma anche una legislazione più preparata a integrare i nuovi venuti. Neppure sull’accoglienza ai profughi l’Italia fa bella figura: secondo i dati del 2011 ne ha accolti 58.000 (meno di uno ogni mille abitanti) contro gli 87.000 della Svezia (9 ogni mille abitanti), gli 75.000 dell’Olanda (4,5 ogni mille abitanti) e i 571.000 della Germania (7 ogni mille abitanti).
Ciò che rende particolarmente difficile gestire l’arrivo di nuovi migranti è piuttosto l’improvvisazione con cui lo stato italiano gestisce il fenomeno, ricorrendo a provvedimenti di emergenza e soluzioni temporanee invece che mettere in atto una politica di ampio respiro che ne favorisca l’integrazione. In altre parole, le difficoltà italiane sono il frutto della bassa qualità dell’imperialismo straccione più che delle divisioni europee.
Ma sono soprattutto il frutto delle guerre imperialiste promosse dalla stessa borghesia italiana: dai bombardamenti in Libia agli interventi in Medio Oriente fino all’appoggio alle dittature africane l’imperialismo di casa nostra, al pari dei suoi alleati, è direttamente responsabile delle tragedie e dei tracolli economici che spingono molti uomini a fuggire dal proprio paese per cercare fortuna altrove. E le navi militari impegnati nell’operazione “mare nostrum” sono stati costruite proprio per mettere in atto queste politiche imperialiste.
Per porre fine alle tragedie del mare non ci sarebbe che un mezzo: l’eliminazione delle frontiere nazionali. Ma questa misura può essere messa in atto solo in una società senza classi e senza sfruttamento. Perché è il sistema capitalista che preserva le divisioni nazionali, amplia il divario sia fra le classi sociali sia fra le nazioni e fomenta crisi economiche e guerre, nutrendosi non solo del sudore dei lavoratori ma anche del loro sangue.
Per questo non abbiamo nessuna fiducia nelle trattative europee fra i governi borghesi, neppure nel caso che riescano a trovare un accordo sull’immigrazione: l’unico provvedimento efficace sarà l’abbattimento di questi governi, dei loro stati e delle loro frontiere, nazionali o continentali che siano.
COMBAT – Comunisti per l’Organizzazione di Classe