Senza nulla concedere alla magistratura dello Stato dei padroni, impegnata da sempre in una lotta senza quartiere contro tutti quegli sfruttati che osano alzare la testa, non possiamo non soffermarci sulle clamorose novità riguardanti la vicenda I.M.S.-I.F. (Industrie Metallurgiche Spoleto – Isotta Franceschi, conosciute in città come ex Pozzi): venerdì 14 giugno la Guardia di Finanza ha arrestato il Direttore dello stabilimento, Massimo Santoro, e il padrone, Gianfranco Castiglioni. Insieme a loro sono stati arrestati anche il figlio di Castiglioni e l’amministratore delegato del gruppo Casti.
AVEVANO RAGIONE GLI OPERAI: SINDACATI E POLITICI ERANO COMPLICI
Al di là dei dettagli giudiziari, che ci interessano poco, ma che parrebbero comunque essere pesanti (associazione a delinquere, frode fiscale da 65 milioni di euro, 5 milioni di euro di contributi non versati, ecc.), quello che davvero emerge è che gli operai da oltre due anni in lotta, da soli e spesso ostacolati dagli stessi sindacati, avevano ragione.
La questione, ormai, è estremamente semplice: i padroni, invece che pagare i salari, si rubavano i soldi.
Questo è avvenuto con la complicità di sindacati e politici. Non sarà una verità giudiziaria quest’ultima, ma è una conclusione politica inconfutabile. Vergognose le cene fra Santoro e i quadri locali della CGIL, la vicinanza prima che politica o industriale potremmo addirittura dire “amicale” con l’ex sindacato Brunini (PD), con le banche, per non parlare del sostegno della Confindustria, lei sì che si è mostrata essere un vero sindacato (dei padroni).
Se tutto questo quadro di sfruttamento e complicità è stato spezzato il solo merito è dei lavoratori, da soli contro una corrente che sembrava inarrestabile. Dal 2012 la crisi era tale che tutti i precari erano stati licenziati e persino gli stipendi cominciavano a tardare, ma i sindacati continuavano a difendere la direzione; gli operai allora hanno capito che dovevano prendere nelle loro mani il controllo della lotta, che nessun altro intendeva combattere, e si sono costituiti in Comitato di Fabbrica. Sono riusciti a strappare al sindacato poche ora di sciopero in primavera. Poi nel gennaio 2013 hanno, da soli e con un sindacato esplicitamente ostile (nonostante si era ormai giunti a ben 4 mensilità non pagate), il Comitato di Fabbrica ha proclamato sciopero ad oltranza, bloccando per settimane la produzione, con dei lavoratori investiti proprio dalla macchina di Santoro che voleva entrare in fabbrica, improvvisando cortei e riunendosi più volte sotto la sede della Associazione Industriali di Perugia, spesso bersagliata da uova e petardi, per finire con un grande corteo che il 16 gennaio ha attraversato Spoleto, sfidando la neve. Proprio il 16 gennaio il sindacato diede un ennesimo esempio di complicità coi padroni, quando le rsu della FIOM, approfittando del fatto che gli operai erano al centro storico a manifestare, aprirono i cancelli e fecero uscire le merci bloccate da settimane.
Così come sono tornati a scioperare per settimane la scorsa primavera. Il metodo sempre lo stesso: sciopero ad oltranza e blocco delle merci. Il solo metodo utile contro un padrone sfacciato come questo. Una lezione al sindacalismo confederale, ma ci permettiamo di dire anche ai principali sindacati di base, che si limitano sempre al solito sciopero stagionale. Una pratica di lotta che da molto fastidio, come indica l’atteggiamento nervoso dei padroni. Citiamo un episodio, fra i tanti. Siamo all’11 aprile 2014, gli operai, per l’ennesima volta, sono in sciopero dal 28 marzo. C’è un incontro all’Associazione Industriali e l’avvocato di Castiglioni, sceso a posta dal Nord come “mediatore”, nel bel mezzo della discussione da dello “stronzo” ad uno dei delegati operai e gli tira persino una banconota da 5 euro in faccia, quando il compagno gli chiede cosa dare a mangiare alla propria figlia (siamo di nuovo con due mensilità arretrate). Una provocazione che ha persino innervosito la polizia per i disordini che ha generato sia dentro che all’esterno del palazzo.
Di fronte ad un padrone tanto sfacciato, i sindacalisti “esterni”, i dirigenti locali della FIOM, si sono sempre comportati come mediatori se non come espliciti sostenitori dell’operato della Direzione. Un comportamento imperdonabile, tanto più oggi che sappiamo che coloro che stavano difendendo nel frattempo rubavo i soldi agli operai, non pagavano gli stipendi e invece che versare i contributi si compravano ville e macchine (due Ferrari, una Lamborghini e una Villa fra i beni sequestrati, oltre che al blocco di conti corrente milionari).
Il figlio di Castiglioni girava in Ferrari e agli operai venivano sbattuti in faccia 5 euro…
SVELATO IL MITO DELLA PRODUTTIVITA’
Se c’è un feticcio culturale contemporaneo che cade in tutta questa sporca vicenda, è senz’altro il mito della tanto decantata produttività.
Oggi sappiamo che “produttività” è sinonimo di un concetto molto semplice ma ben più scomodo: sfruttamento intensivo della forza lavoro. Produttività significa che il padrone ti spreme fino al midollo e poi, quando ha fatto magazzino, ti licenzia o ti mette in cassaintegrazione; spesso, come abbiamo visto, intascandosi i soldi.
Prima della nascita del Comitato di Fabbrica, quando tutto andava per così dire “bene” e lavoravano 450 giovani operai alla ex Pozzi, di fronte alle lamentele della maestranze distrutte dai ritmi insostenibili, dagli straordinari che si era costretti ogni finesettimana (per tutto il 2010 si è arrivati a lavorare 48 ore quasi tutte le settimane), la risposta, demente, delle rsu di allora era: “beh che vi lamentate, con questa crisi fin ché si lavora è buon segno”.
Una affermazione scandalosa, che anche se non siamo certo dei nostalgici ci fa rimpiangere il periodo in cui nel dopolavoro si studiava Il Capitale. Una affermazione che ci indica drammaticamente il livello di analfabetismo di classe a cui sono giunti i cosiddetti difensori dei diritti dei lavoratori. Quando invece è evidente che gli interessi del padrone sono sempre opposti a quelli del lavoratore.
Questo atteggiamento del sindacato è stato oggettivamente complice di tutto quello che è avvenuto negli anni successivi. Grazie a quei mesi ed anni di lavoro folle e iper-sfruttato, il padrone ha potuto fare cassa e magazzino, mettere da parte le merci, e con esse anche la merce rappresentata dalla forza lavoro, con i dipendenti che a quel punto o sono stati licenziati (tutti i contratti a termine non rinnovati) o sono stati messi in cassa integrazione o addirittura venivano chiamati al lavoro ma non venivano pagati. Nel frattempo i padroni si sono arricchiti, si sono comprati le Ferrari e le Lamborghini, mentre i lavoratori facevano la fame.
Ecco a cosa si riduce il mito della produttività.
CHE FARE?
Seppur fra gli operai serpeggi una non biasimabile gioia per l’avvenuto arresto dell’ infame padrone Castiglione e del suo fedele braccio destro Santoro è nostro compito ricordare come questa giustizia persegua interessi diversi da quelli della classe lavoratrice. Interesse dello Stato è, infatti, che l’azienda paghi le rispettive tasse sul lavoro dette contributi; mentre si lava le mani degli stipendi arretrati dovuti e, mai riscossi, dagli operai. La giustizia proletaria non troverà, mai, piena soddisfazione nei tribunali borghesi ma deve essere ottenuta fuori dalle sue aule; nella lotta sul posto di lavoro per la gestione dei mezzi di produzione, nella lotta nelle piazze perché l’attuale sistema economico venga distrutto e ricostruito sulle esigenze del popolo, attualmente, lavoratore e sfruttato. Affinchè, in una società futura, non vi sia più chi ha tanto e chi non ha niente e non vi siano più divisioni date delle classi sociali. Affinchè non si lavori più di quanto, obiettivamente, è necessario. Perché il tempo e la fatica degli uomini/donne non sia destinata a produrre l’ennesimo modello mercantile esattamente uguale alle centinaia precedenti la cui utilità è dettata solo dal fatto di far arricchire qualcuno che, non si sa per quale ragione, si reputa superiore a chi gli produce i bulloni la cui vendita gli permette di mangiare ostriche e caviale con gli amici (o nel nostro caso di guidare Lamborghini). Per questo è necessario che gli operai non consentano né il passaggio di proprietà dell’azienda in mano al padrone statale né al padrone privato ma ne assumano direttamente il controllo con la consapevolezza che ,senza una solidarietà militante con gli altri operai in sciopero (come ad esempio i lavoratori della logistica a Bologna, le lotte degli autoferrotramvieri e dei portuali a Genova, dei disoccupati e degli operai dell’Iribus in Campania) qualunque risultato da loro ottenuto sarà inesorabilmente ripreso o ricalibrato dal capitale che continuerà a dettare i modi ed i tempi dello sfruttamento della forza lavoro.