Venerdì 11 gennaio Aaron Swartz è morto suicida a New York a soli 26 anni.
Aaron era un enfant prodige dell’informatica: a soli 13 anni vinse il premio ArsDigita per lo sviluppo di siti web no-profit educativi, a 14 contribuì a sviluppare lo standard RSS 1.0 (Rich Site Summary), più tardi fondò la compagnia Infogami, poi fusasi con Reddit, un sistema per la pubblicazione e la condivisione libera di informazioni nella rete che adottò il sistema di sviluppo web.py, sviluppato dallo stesso Swartz.
Ma era soprattutto un uomo che si batteva per l’uso collettivo della rete Internet. Molte delle sue creazioni servivano infatti a rendere l’uso del web aperto a tutti, non solo come usufruttori ma anche come creatori: lo standard RSS è stato creato per mettere on-line documenti e pagine che possono essere aggiornate molto di frequente da più autori (come ad esempio forum e blog), permettendo a chi naviga nel web di pubblicare online e aggiornare continuamente proprie pagine o propri contributi a siti aperti al pubblico, senza censure e senza compenso.
Nel 2002 collaborò con Lawrence Lessig alla fondazione di Creative Commons, una fondazione per la libera diffusione di opere che possono essere usate o consultate senza pagare royalties. Nel 2007 collabora all’apertura di Open Library, una biblioteca digitale ad accesso libero a tutti.
La sua azione non si è sviluppata solo nello sviluppo di standard e strumenti tecnologici, ma anche nell’attivismo politico.
Fondò l’associazione DemandProgress, per la tutela dei diritti civili e contro la censura in Internet. Fu tra i principali promotori della campagna contro lo Stop Online Piracy Act, la proposta di legge federale statunitense per la tutela del diritto d’autore nella rete, poi bocciata. All’evento “F2C:Freedom to Connect 2012”, commentando la bocciatura della legge, Swartz disse: “le nuove tecnologie, invece di darci più libertà, ci avrebbero tolto i diritti fondamentali che abbiamo sempre considerato come garantiti”.
Hanno fatto molto scalpore le sue “azioni dirette” contro il diritto di proprietà intelletuale.
Nel 2008 scaricò dalla banca dati PACER della corte federale USA circa il 20% delle sentenze e le rese di dominio pubblico; le inchieste contro di lui furono archiviate, perché le sentenze erano atti pubblici.
Ma quando fra il 2010 e il 2011 scaricò 4 milioni di articoli da JSTOR, la biblioteca online del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston, la reazione fu dura: nonostante gli articoli fossero accessibili al pubblico, Swartz fu arrestato e il 19 luglio 2011 incriminato per frode, accesso illegale a un computer protetto e danneggiamoento. Nonostante JSTOR avesse ritirato la querela, il procuratore del Massachusetts continuò l’azione penale. Swartz rischiava 35 anni di prigione e 1 milione di dollari di multa. E’ verosimile che per lui, sofferente di depressione, la prospettiva di essere condannato fosse un tormento continuo, tale da portarlo al suicidio.
Spesso viene data ad Internet un’importanza eccessiva: si vedono i social network come la reale causa delle rivolte in Nordafrica, la rete come un luogo di scambio di informazioni “libero” da ogni influenza oppure come una fonte di sviluppo economico inesauribile (anche se lo “sboom” della new economy ha fatto giustizia di tante idee strampalate). Recentemente il web è diventato uno dei mezzi attraverso il quale si sono svolti i processi storici, ma non certo il loro motore.
E’ probabile che le azioni e convinzioni di Aaron Swartz fossero ispirate più al concetto democratico di libertà di espressione ed informazione che al concetto di proprietà comune delle risorse umane.
Ma in un mondo dove si celebra la libertà di mercato (salvo nei tonfi borsistici, dove la mano invisibile di Adamo Smith si fa da parte per permettere allo stato di salvare i capitalisti a spese dei contribuenti), lui perseguiva la libertà DAL mercato, seppure limitatamente alla ricchezza intellettuale.
La vicenda di Aaron Swartz è l’ennesimo segno di come i mezzi di produzione siano ormai maturi per essere posseduti da tutta la società e come la ricerca del profitto sia sempre meno uno stimolo e sempre più un ostacolo al progresso umano. Il successo dei social network e delle community dove ogni programmatore o semplice internauta pubblica gratuitamente le proprie creazioni dimostra come il lavoro umano possa essere motivato anche senza guadagno personale. Ma solo fino a che lo stato borghese non intervenga per tutelare il profitto.
Per noi comunisti rimane il compito di eliminare i rapporti sociali che frenano lo sviluppo umano nella creazione sia di beni materiali sia di quelli intellettuali, e contestualmente di eliminare le istituzioni che proteggono il business, in modo che un domani nessun procuratore del Massachusetts possa colpire chi mette la ricchezza a disposizione della collettività.
Combat/Comunisti per l’Organizzazione di Classe