M.Basso – La fame prossima ventura e la rivolta

Ricercatori del Complex System Institute (CSI) hanno spiegato le esplosioni sociali del 2008 e del 2011 con l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e stabilito che, quando l’indice dei prezzi del cibo supera una certa soglia, è probabile l’esplosione di rivolte. Già oggi abbiamo raggiunto quel limite, e, poiché l’aumento di tali prezzi prosegue, prevedono che tra meno di un anno dovrebbero scoppiare disordini sociali in gran parte del mondo.(1) Non si tratta di pure congetture, perché realmente la fame incombe su gran parte del globo. Lo studio è un avvertimento dato alle classi dirigenti, ma anche i lavoratori ne devono fare tesoro.

Ma come affrontano tale problema i governi europei e americani, la UE, le autorità accademiche e gli enti di ricerca? Subordinando sempre più l’agricoltura alle esigenze del capitale, che non sono certo compatibili con la lotta contro la fame. La Carnegie Institution e la Stanford University hanno accertato che esistono 4,7 milioni di chilometri quadrati di terre abbandonate. Si tratta di un territorio grande la metà degli USA. Utilizzarle per produrre cibo? Neanche per idea!

I ricercatori ritengono che “la biomassa totale potrebbe ammontare a più di 2,1 miliardi di tonnellate con un contenuto totale di energia di circa 41 exajoules (miliardo di miliardi di Joule) equivalenti di 170 milioni di barili di petrolio.”(2)

Questi “filantropi” le chiamano “colture bioenergetiche sostenibili”. Non certo “sostenibili” per le masse sterminate che sono alla fame, e quelle ancora più numerose che con mille stenti riescono a riempire a malapena lo stomaco. L’alimentazione delle auto è più importante di quella degli esseri umani! Gli interessi di rapina capitalistici non hanno difficoltà a nascondersi dietro una maschera ecologica, e milioni di ingenui ci cascano.

C’è poi l’affare dei “campi fotovoltaici”. I contributi statali hanno favorito l’accaparramento (spesso anche da parte della criminalità organizzata) di estesi terreni in cui installare grandi impianti per la produzione di energia elettrica fotovoltaica. Basta comprare un terreno agricolo, estirpare le culture e presentarlo come terreno abbandonato, pronto per il fotovoltaico. Un conto è ricoprire i tetti, un’altra cosa è sottrarre campi alla produzione alimentare.

“La terra rende poco? Cerchiamo coltivazioni più redditizie, anche a scopo energetico, come si sta già facendo da tempo con la SHORT ROTATION FORESTRY (coltivazioni boschive a ciclo breve) o con la coltivazione dei semi oleaginosi per il biodiesel (ad esempio la colza).”(3)

Nel maggio di quest’anno, la regione Sicilia ha approvato le procedure per consentire ai proprietari delle terre di installare impianti fotovoltaici su terre abbandonate e di beneficiare di aiuti statali.(4)

Se non verrà smentito, come molto spesso avviene, il decreto liberalizzazioni dovrebbe porre uno stop agli impianti fotovoltaici sui terreni agricoli. Bisognerà vedere come sarà attuato, quali controlli ci saranno, quali trucchi, quali tangenti permetteranno di eluderlo. I precedenti di molti piani regolatori, progettati a misura d’uomo e attuati a misura di speculazione, giustificano lo scetticismo.

L’Unione Europea, da sempre, è in prima linea in questa devastazione. La PAC, la politica agricola comunitaria dell’Unione Europea, paga i proprietari per tenere incolti i propri terreni, nel quadro di una politica protezionistica e monopolistica, che fissa quote e cerca di mantenere alti i prezzi di certi prodotti. Ma non fa niente per impedire che, dove il contingentamento non esiste, le catene dei supermercati e dei discount decuplichino il prezzo, rispetto a quello pagato al contadino.

Tutte queste politiche, inoltre, fanno crescere la rendita dei grandi proprietari terrieri, che sono la palla al piede dell’agricoltura. Le industrie, soprattutto quelle del settore alimentare, ma non soltanto quelle, devono fare i conti col forte aumento del prezzo delle materie prime, e molte falliscono.

Negli ultimi dieci anni, in Italia la superficie agricola totale si è ridotta dell’11,7 per cento, le aziende agricole del 32,2 per cento. Nel primo trimestre dell’anno in corso le imprese si sono ridotte di 13.335 unità. Ciò per le difficoltà di mercato, l’aumento dei costi e la stretta creditizia. Mentre gasolio e benzina crescevano, i prezzi pagati agli agricoltori sono scesi in media del 2,3 per cento rispetto allo scorso anno, con punte del 21,4 per cento per alcuni tipi di olio, del 13 per cento per la frutta, del 12 per cento per i cereali.(5)

Molti piccoli contadini, piccoli e medi commercianti e industriali cadono nel proletariato (è la proletarizzazione, che per tanti teorici della borghesia, giornalisti, politici, sarebbe una leggenda marxista). Molti proletari rischiano di cadere nel pauperismo. Bisogna reagire nel modo più forte ed efficace, perché, la pauperizzazione annulla le capacità di lotta. Chi è tagliato permanentemente fuori dalla produzione non ha voce in capitolo nella società, per questo i salariati devono ribellarsi contro la condizione di paria che il capitale impone a molti loro compagni, lottando per la riduzione dell’orario di lavoro e per un salario ai disoccupati, temporanei o di lungo periodo.

I pensionati, che l’opportunismo sindacale isola dalla classe chiudendoli in organizzazioni che sono veri cimiteri degli elefanti, vedono la pensione corrosa sempre più dall’aumento dei prezzi dei generi essenziali. E la benzina, che condiziona tutti i prezzi, aumenta anche quando il prezzo del petrolio crolla, grazie a un sistema di cartelli solidissimo, di cui teorici del libero mercato, parlamentari e giornalisti asserviti al capitale, negano persino l’esistenza.

Ai disoccupati, ai precari a vita, secondo la prassi non solo italica, …pensa la famiglia. E’ così spiegata la perversa retorica che, da Stalin a Casini, esalta il nucleo familiare per sopperire ai tagli dell’assistenza sociale, per provvedere al mantenimento dei sottopagati o disoccupati. Ma ora, e non solo in Italia, i nonni pensionati, i padri e le madri hanno esaurito i risparmi e non sono più grado di provvedere ai figli o ai nipoti disoccupati.

La crisi economica ha già portato a una riduzione della speranza di vita negli strati sociali meno abbienti. Stiamo parlando del Niger, del Congo, del Bangladesh, paesi sull’orlo della disperazione? No, stiamo parlando degli Stati Uniti: “Per i bianchi poveri si torna alla media degli anni ’50. Pesa il minor ricorso a cure mediche. Gli americani hanno perso in 48 mesi il 10% di reddito. Per le donne senza diploma l’aspettativa di vita è diminuita di 5 anni” “Uno studio pubblicato il mese scorso da Health Affairs e ripreso ieri dal New York Times rivela infatti che per le donne bianche senza diploma superiore la speranza di vita è diminuita di ben 5 anni tra il 1990 e il 2008: da 78,5 a 73,5 anni; mentre i maschi bianchi senza diploma devono aspettarsi di vivere 67,5 anni, tre di meno che nel 1990. Sono numeri schiaccianti: secondo un esperto «il calo di cinque anni nelle donne bianche Usa fa il paio con il catastrofico crollo di sette anni nella speranza di vita degli uomini russi subito dopo il collasso dell’Unione sovietica».(6) Si tratta di bianchi. Chi pensa di essere fedele al marxismo e si attarda a dividere gli WASP (White Anglo-Saxon Protestant) dal resto della popolazione, sostituisce un criterio razziale a quello classista. Ormai, il numero dei privilegiati si restringe di ora in ora, e vastissime fasce di bianchi, compresi ex ricchi, hanno perduto persino la casa.

Lo stato se ne disinteressa, prende solo qualche provvedimento demagogico in prossimità delle elezioni. I soldi per le banche e per le guerre, però, si trovano sempre.

Per i proletari la situazione è durissima – non c’è bisogno degli studiosi del Complex System Institute per saperlo. I padroni, ammesso che concedano i contratti e non scelgano il lavoro nero – contro cui il governo Monti non ha fatto nulla di serio – preferiscono quelli a lunga scadenza che bloccano i conflitti in periodi in cui i prezzi salgono rapidamente. Se si verificherà l’emergenza alimentare prevista, i proletari avranno l’urgente necessità di aumenti per affrontarla, e non potranno aspettare la scadenza del contratto per dare da mangiare ai figli. Gli imprenditori infrangono i patti quando loro conviene, e i salariati devono essere spregiudicati quanto i padroni e non esitare a infrangere il contratto se questo diventa una trappola.

Nelle lotte economiche, i lavoratori partono svantaggiati rispetto ai padroni, e per questo devono integrarle con le lotte politiche. Ciò non significa coinvolgere partiti borghesi, vescovi, sacrestani, sindaci e prefetti, ma esercitare una pressione diretta sul governo mediante scioperi politici, propaganda e manifestazioni con robusti servizi d’ordine, coordinando le azioni in tutto il territorio nazionale, in modo che la polizia non possa concentrarsi in poche località e bloccare i cortei, sciogliere i picchetti. Una singola categoria in sciopero può essere facilmente sconfitta. Lo sciopero deve essere generale, e non avere una scadenza prefissata. In guerra – e lo sciopero è una forma di guerra sociale – non si interrompe una battaglia ad un’ora prestabilita, prima che il risultato sia ottenuto. Ma i dirigenti sindacali opportunisti sostengono che bastano scioperi dimostrativi, parodie di scioperi generali e innocue grandi manifestazioni in giorni non lavorativi. In realtà, servono solo a stancare il lavoratore e a fargli perdere un po’ del magro salario.

Gli esponenti della classe dominante (Finanzieri, industriali, grandi proprietari) sono consapevoli della crisi alimentare, sociale, politica che si profila; assai meno lo sono i loro servi parlamentari e politicanti di mestiere. Il governo non si preoccupa di favorire la messa a cultura dei terreni abbandonati, il signor Monti se ne infischia, e se già oggi c’è gente che fruga nell’immondizia per trovare qualcosa da mangiare, tutto questo non danneggia le banche, anzi…

I governi si preparano alla crisi in un altro modo, blindando le loro forze di repressione. In Italia, si trascura sempre più la lotta alle mafie, si lesina persino la benzina per le volanti (per questo, però, non protestiamo), ma è sempre più presente la polizia in tenuta antisommossa ad ogni manifestazione importante.

Il culmine della prevenzione contro le rivolte si ha negli USA, dove l’orwelliano Obama vuole mettere obbligatori i chip sottocutanei. “I microchip si sono già “impossessati” anche dei bambini. Più di qualche asilo -con il consenso dei genitori- ha scelto di monitorare molto da vicino -tramite dei chip inseriti nelle divise scolastiche- i passi delle future generazioni. Sono già 1700 i bambini ‘microchippati’. Un esempio per tutti è l’asilo di Sant’Antonio, in Texas, dove i docenti hanno approvato l’utilizzo del cosiddetto SLP (Student Locator Project), in fase sperimentale alla Jay High School e alla Jones Middle School.”(7) Già oggi, attraverso cellulari e smartphone, è possibile controllare dove il “libero cittadino” si trova, ma è possibile lasciare a casa il marchingegno. Con il chip sottocutaneo, non ci sarà riunione politica o sindacale che sfugga all’occhio della superpolizia, in confronto della quale l’Ochrana zarista e l’OVRA fascista furono giochi di fanciulli.

Industrie e pseudoscienziati sottopongono poveri animali a mille torture, le industrie farmaceutiche utilizzano per sperimentazioni bambini dei paesi poveri e carcerati, ma con Obama la trasformazione del cittadino in un animale da esperimento diventerà ufficiale.

A differenza dei massimi esponenti del capitale, che non devono neppure preoccuparsi di compiere ampie analisi della situazione, perché hanno legioni di esperti che lavorano per loro, la classe operaia non ha piena coscienza di questi problemi, e spesso reagisce con gesti disperati. Non serve, il capitale non si commuove, non ha cuore.

I passi indietro compiuti sono enormi. Manca il partito – non si intende qui i partitini che fanno opera di testimonianza, e, nel migliore dei casi, qualche buona analisi – ma il partito in grado di guidare effettivamente le masse proletarie, che costituisca una preoccupazione reale per tutto il regime. A causa dell’incarrozzamento (qui il gergo ferroviario ci vuole) dei sindacati sul treno statale, gran parte del proletariato ha perduto persino la coscienza tradunionistica, e per difendere il posto di lavoro cerca di coinvolgere vescovi e autorità civili. I sindacati si trasformano sempre più in istituti di servizi, e gli scioperi diventano simbolici, tranne quando i lavoratori perdono la pazienza e si svincolano dal controllo dei burocrati. Militanti, stomacati dal carattere controrivoluzionario di queste organizzazioni, giungono alla conclusione che ogni sindacato anche in futuro sarà necessariamente controrivoluzionario. Non si rendono conto che così tagliano fuori la stragrande maggioranza della classe, che, almeno in un primo momento, non va oltre alla lotta economica. Vuol dire lasciarla alla mercé dei peggiori opportunisti. Pensare che il partito da solo possa guidare gli scioperi economici significa commettere l’errore opposto rispetto a quello dei sindacalisti rivoluzionari, per i quali il sindacato è il vero organismo dirigente della classe e il partito non serve. E se si sostituissero al sindacato forme nuove di organizzazione? Non sappiamo quale forme d’organizzazione si affermeranno in futuro, ma nessuna avrà il certificato di garanzia, nessuna sarà inattaccabile dall’opportunismo, cioè dall’influenza di classi non proletarie. Chi spera di trovare la salvaguardia in diverse forme di organizzazione non ha chiaro cos’è l’opportunismo.

Si è persuasi che i sindacati non servano più in assoluto? Allora se ne traggano le necessarie conseguenze, e si dica che Lenin è superato, e che non si possono più utilizzare i suoi insegnamenti per la lotta di classe. Conclusione per noi inaccettabile, ma almeno conseguente.

Le condizioni oggettive per la ripresa della lotta si stanno profilando, mentre sono in ritardo le condizioni soggettive. Data la grave situazione nel campo alimentare, probabilmente le lotte avranno un’estensione enorme, vi saranno coinvolti i principali stati del mondo, e dal risultato dipenderanno i rapporti di forza tra le classi sociali per anni. Una parte notevole delle fabbriche sono concentrate in Asia, e i regimi stanno già provvedendo a incanalare la rabbia delle popolazioni in tensioni politico militari – come quella tra Cina e Giappone per le isole delle Senkaku – che hanno, per ora, uno scopo di politica interna: riaccendere il nazionalismo. Nonostante questi tentativi dei regimi di sviare i lavoratori, le lotte più accese, quasi sicuramente, si svolgeranno in queste aree. L’Europa continuerà ad avere importanza nei conflitti sociali, e soprattutto ne avrà il principale stato industriale del continente, la Germania, per ora così conservatrice. Ma l’esperienza storica c’insegna che spesso sono gli stati più conservatori o reazionari – l’esempio più classico è la Russia zarista – a serbare le più interessanti “sorprese”.

La protesta, ad un certo momento, può diventare talmente estesa da rendere impossibile la repressione. Ma questo momento di grande libertà, insegna Lenin, dura poco, dopodiché la reazione si riorganizza. Guai, se le forze di classe non ne approfittano per ricostituirsi e sviluppare un’influenza sulle masse, e organizzarle sul piano politico, economico, militare.

Se il partito non rinascerà o nascerà troppo tardi i lavoratori cadranno inevitabilmente sotto l’influenza di correnti piccolo borghesi, in alcuni casi molto radicali e bene intenzionate, ma incapaci, per la loro radice di classe, di portare avanti coerentemente una lotta rivoluzionaria, o anche solo di resistere all’offensiva borghese.

Un errore grave sarebbe attendersi sviluppi rivoluzionari puri, dichiaratamente classisti. Lo stato puro non esiste in natura, dove gli elementi sono mescolati fra loro, e ancor meno nella società. Non tutti gli operai, inoltre, sono schierati con la classe, ed esistono pure i transfughi della borghesia. Non esiste nessuno allineamento meccanico sulla base dell’estrazione sociale. Gli sciovinisti Ebert, Scheidemann, Noske erano di origine operaia, il rivoluzionario Karl Liebknecht era un avvocato. Le masse, anche quando si ribellano, rimangono vittime di mille illusioni, di mille ideologie, comprese quelle religiose, e uno dei compiti del partito sarà la persuasione paziente, ma la migliore educazione rivoluzionaria verrà dallo scontro sociale. Lenin sapeva che l’ideologia dominante era necessariamente quella della classe dominante (anche se non aveva letto “l’Ideologia tedesca”, non ancora pubblicata), perciò non si formalizzò perché gli operai protagonisti della domenica di sangue del 1905 erano credenti. Non era vittima dell’idea illuministica che pretende di eliminare l’influenza della chiesa solo con la diffusione della cultura e della scienza. L’importante era che lottassero contro le loro tragiche condizioni di vita, perché prima viene la lotta, poi la riflessione e la comprensione. Così secondo il materialismo. Chi è costretto ad un lavoro pesante durante gran parte della giornata, quasi mai è in condizione di sviluppare riflessione e cultura. Deve lottare per strappare al capitale tempo e mezzi essenziali.

Le masse non agiscono perché vogliono il comunismo, di cui la stragrande maggioranza ha un’idea approssimativa o distorta. In Russia nel 1917 entrarono in azione per la pace e la distribuzione della terra, domani lotteranno per il pane e il lavoro, e, poiché il capitalismo non sarà in grado di provvedere a queste esigenze minime, gli scontri saranno violentissimi. Non sappiamo se le rivolte si trasformeranno in rivoluzioni, sappiamo che il capitale utilizzerà tutti i mezzi, dalle promesse demagogiche alla repressione, dalle chiacchiere pseudo rivoluzionarie ai metodi fascisti, in modo complementare con quelli democratici, come già si vede in Grecia.

Bisogna diffondere questa consapevolezza tra i lavoratori, perché sappiano che solo organizzandosi in partito di classe, e volgendo le terga ai burocrati sindacali collaborazionisti, potranno affrontare la nuova più grave situazione, dapprima a scopi difensivi, poi, se le condizioni oggettive e soggettive saranno favorevoli, con l’offensiva rivoluzionaria.

Michele Basso

28 settembre 2012

Note

1) Brian Merchant, “Manca mano di un anno a rivolte mondiali, lo dicono teorici di sistemi complessi” Fonte: http://motherboard.vice.com, 23 settembre 2012, Traduzione a cura di REIO per www.Comedonchisciotte.org.
“In un paper del 2011 (1), ricercatori del Complex System Institute (CSI) hanno svelato un modello che spiega accuratamente perché le ondate di disordini che hanno colpito il mondo nel 2008 e 2011 sono accadute in quel periodo. Il fattore determinante è stato il rapido aumento del prezzo degli alimenti. Il loro modello identifica una precisa soglia per il prezzo mondiale degli alimenti che, quando viene superata, può portare a disordini globali. Il MIT Technology Review (2) ci spiega come funziona il modello del CSI: “La prova viene da due fonti. La prima viene dai dati raccolti dalle Nazioni Unite disposti su un grafico che rappresenta nel tempo i prezzi dei cibi, il cosiddetto indice dei prezzi alimentari dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO). La seconda sono le date delle rivolte nel mondo, qualsiasi sia la loro causa.” … “ogni volta che l’ indice dei prezzi degli alimenti delle Nazioni Unite, che misura il cambio mensile dei prezzi in un paniere di beni alimentari, supera i 210 punti, le condizioni sono mature per disordini sociali per il mondo. Ovviamente il CSI non afferma che ogni volta che si supera il limite di 210 immediatamente scoppiano disordini; dice solo che la probabilità di scoppi di rivolte aumenta notevolmente. Per miliardi di persone nel mondo, il cibo copre l’ 80% della spesa giornaliera (per le persone del mondo ricco, come voi e me, è circa il 15%). Quando i prezzi salgono, le persone non possono permettersi altro, o addirittura neanche il cibo stesso. E se non puoi mangiare – o peggio, la tua famiglia non può mangiare – combatti.”

2) “Biocarburanti Sostenibili dalle Terre Abbandonate. Esistono 4,7 milioni di kmq di terre e pascoli abbandonati ecco come è possibile ripristinarli”, Redazione – GenitronSviluppo.com in Energia, Energie 27 giugno 2008.

3) “Agricoltura: Aiuti statali per fotovoltaico su terre abbandonate”, Nebrodi e dintorni. Palermo, 16 maggio 2012.

4) Marco Mandelli “Tutto pazzesco! Danno i soldi per mantenere i terreni incolti” 12 novembre 2009, Primoambiente.

5) Settore Alimentare, Crisi. Chiuse 13.000 aziende agricole nel primo trimestre 2012 2010 UniversoFood.it – Portale Food & Beverage – Milano. Angela Gallo, “Agricoltura e difesa del suolo”, 8 dicembre 2011.
Luigi Torriani, “L’agricoltura italiana nel 2012. Rischi e ragioni della crisi secondo Coldiretti”, Notizie 15 marzo 2012.

6) Marco D’Eramo, “STATI UNITI. La crisi accorcia la vita anche ai Withe trash” attualita/notizie/mricN/8545/>22.09.2012

7) Valentina Beli, “Microchip nell’uomo: sicurezza e salute le motivazioni ufficiali” 13.09.2012 CEST

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