Abbiamo deciso di partire dal post che riportiamo qui sotto, uno dei tanti apparsi in rete ieri immediatamente dopo l’arrivo delle prime immagini da Valencia, spontanea reazione vitale a questo nuovo “evento climatico estremo”, perché l’appello all’azione è la cosa principale, soprattutto ora che è in arrivo una violenta stretta repressiva contro qualsiasi azione di protesta. Le leggi del governo Meloni – a cominciare dal DDL Piantedosi-Nordio-Crosetto – parlano chiaro!
… so che non è facile cambiare tutto. Sistema alimentare, dei trasporti, energetico ma dobbiamo metterci in testa che non possiamo continuare a buttare in atmosfera gas climalterante. La CO2 prodotta dai combustibili fossili e dallo scarto dei bovini dell’industria della carne provoca questo. E se la politica non attua la transizione e non aiuta i lavoratori e le lavoratrici a riconvertire il proprio lavoro verso un sistema rinnovabile e non climalterante, allora io ho il diritto costituzionale di manifestare e disobbedire a uno Stato che mi sta garantendo questo come UNICO futuro possibile. 51 vittime di questo sistema fossile. 4 bambini tra di loro. Non lo accetto. Si, questa è anche una chiamata all’azione. Perché da sola non posso far niente, ma insieme possiamo tutto. @ultimora.net
Crediamo che gli ormai innumerevoli “casi particolari” di catastrofi ambientali siano legati da un filo comune che va segnalato all’attenzione di tutti/e. La stampa e i commentatori si affannano ad illustrare i fenomeni climatici, non senza dettagli sulla loro origine (immediata) e ora hanno scoperto la DANA, un fenomeno meteorologico tipico dell’area iberica occidentale, ma non spiegano perché fenomeni come questo diventano sempre più frequenti, e soprattutto sempre più intensi, col loro seguito di danni e di morte.
Certamente il saccheggio del suolo, l’edilizia speculativa, i fiumi tombati accentuano le conseguenze dei fenomeni – ed anche in questo caso hanno avuto una parte non secondaria nel moltiplicare danni e morti, come osserviamo nella nota redazionale che completa questa [vedi qui di seguito]. E’ altrettanto sicuro che a Valencia i sistemi d’allarme non hanno funzionato bene. I più attenti ai problemi dell’ambiente segnalano che l’aggravarsi di questi fenomeni e delle loro devastanti conseguenze derivano dal cambiamento climatico. Bene, e allora!? Ma da cosa deriva il cambiamento climatico? E’ questa la domanda alla quale dare risposta. Attenzione, quindi, alle risposte parziali, perché possono essere anche devianti: come quella di Giuseppe Grezzi, in Spagna dal 2000, due volte assessore a Valencia, ecologista istituzionale autore di proposte interessanti che l’attuale amministrazione di destra ha fatto cadere. La sua impostazione, se da un lato sa identificare alcune responsabilità dei gestori delle istituzioni, finisce però, dall’altro, con il suggerire una risposta che i fatti hanno dimostrato essere vana: sostituire gli uomini al governo con altri di maggiore sensibilità ambientalista. Domandiamo, allora: perché quella giunta di sinistra non è stata votata di nuovo? In realtà, già da molto le elezioni non rappresentano più in alcun modo una risposta valida alle esigenze ed ai bisogni immediati della massa lavoratrice della popolazione, e neppure a quelle di tutela dell’ambiente, perché la mano visibile della borghesia capitalistica si allunga sulle istituzioni dominandole sempre più strettamente, e impone con una violenza che non ammette contraddittorio la difesa dei propri interessi: della produzione per il profitto, un profitto sempre più immediato (tra l’altro).
In questo contesto, appellarsi alla politica istituzionale è idealismo allo stato puro. E ben lo intuisce l’autrice del post, per quanto continui ancora a credere nel simulacro della Costituzione. Gli attuali partiti politici – e l’Italia ne eccelle – hanno compreso così bene che la legge dittatoriale del profitto sta al di sopra di ogni altra esigenza, che si adeguano in partenza alle necessità non negoziabili del capitalismo, e si rincorrono l’un l’altro al massimo verso “moderate e ragionevoli misure”, evitando con cura di muoversi all’attacco della causa prima: la produzione per il profitto, ossia, il capitalismo – non semplicemente il “capitalismo fossile”, perché come abbiamo più volte spiegato, anche la sua apparente alternativa, il “capitalismo green”, sarebbe, è già, nella misura in cui la “transizione green” è avviata, devastante per l’ambiente e per il lavoro vivo non meno di quello fossile.
Oltre alla “soluzione” vana del ricambio istituzionale, esiste una seconda strada che è alla fin fine vana anch’essa, spesso imboccata da studiosi sensibili all’ambientalismo. E’ quella che, dando per scontato l’ineluttabile cambiamento climatico, si concentra sull’obiettivo di attrezzare le difese. Ora, è fuori discussione che la sciatteria dei governi, l’insensibilità, la speculazione edilizia, la tombatura dei corsi d’acqua, lo sfruttamento intensivo dei suoli, la concessione di licenze edilizie in cambio di voti e di mazzette, i condoni, le frodi, le truffe e tutto l’arsenale di brutalità che ciascuno di noi vede e sperimenta ogni giorno, è fuori discussione – dicevamo – che tutto ciò vada denunciato e combattuto ad ogni livello, e in ogni modo. Ma è impensabile che gli effetti sempre più catastrofici del cambiamento climatico globale possano essere realmente neutralizzati da misure di “buona amministrazione” a livello locale. Veramente crediamo che se a Valencia o in Emilia-Romagna si fosse amministrato con maggiore saggezza il territorio, la potenza degli avvenimenti climatici sarebbe stata minore? Certo, i danni avrebbero potuto essere più contenuti. Né vogliamo negare che possano esserci prassi amministrative locali preferibili ad altre. Ma è un dato di fatto sottoscritto da grandissima parte della comunità scientifica (tranne qualche cialtrone) che gli “eventi estremi” tendono ad accentuarsi, e non sono l’unica manifestazione del deterioramento ambientale globale: la temperatura media e la qualità dell’aria – quella che respiriamo in tutto il mondo -, la qualità delle acque, la drastica riduzione della varietà delle specie animali e vegetali, la quantità crescente di gas serra, l’innalzamento del livello dei mari, la scomparsa di milioni di metri cubi di ghiacciai e nevai, non riguardano solo qualche città o alcune zone, e di tanto in tanto. Sono ormai i dati di realtà – lo ripetiamo: mondiali – con cui fare i conti, prendendo la questione per le corna.
Eppure è quanto mai diffusa la denigrazione che definisce ideologica ogni posizione di difesa, anche minima, dell’integrità del pianeta (di questo si tratta), e quindi della nostra vita. La qualifica/squalifica attuata con il termine “ideologico” ormai si spreca sulla bocca dei governanti, ed è una sorta di messa al bando di ogni ammissione di responsabilità travestita da un richiamo alla “concretezza”, al fare, contro i signori del “NO”, e che vuol dire “…lasciateci traforare montagne in Val di Susa, lasciateci fare il ponte sulla Stretto, e poi alberghi, strade che portano al nulla, ville, villette, piste da sci, etc. Vedrete che daremo lavoro a tutti e prestigio all’Italia” (loro, in cambio, si accontenteranno di un po’ di milionate di euro esentasse, meglio se direzionate verso i confortevoli paradisi fiscali).
Torniamo ora alle battute finali del post da cui siamo partiti: “51 vittime di questo sistema fossile. 4 bambini tra di loro. Non lo accetto. Si, questa è anche una chiamata all’azione. Perché da sola non posso far niente, ma insieme possiamo tutto.“ Le vittime accertate, ad ora, sono aumentate a più di 150, e si stima siano svariate centinaia. In una sola notte! E non pare che il disastro sia finito. Non si può accettare: giusto! Questa è una chiamata all’azione: ancora più giusto! “Insieme possiamo tutto”: eccola la risposta vera, per tutti i “casi particolari”, a condizione di andare fino in fondo, alle radici di questi fenomeni e del loro nesso unificante, e non farci incantare dai miracoli truffaldini promessi dai cantori del “capitalismo green”.
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Cemento, cemento, cemento, ancora cemento…
Indichiamo ora, in estrema sintesi, i fattori specifici (in una certa misura, ma solo in una certa misura, locali) che hanno moltiplicato l’impatto devastante dell’ultima Dana che ha colpito la città di Valencia.
Come ha spiegato in un’intervista (1) l’ex assessore alla mobilità di Valencia Giuseppe Grezzi, al
disastro e alle centinaia di morti causate dalla Dana che ha colpito la regione hanno contribuito più
fattori. Innanzitutto, l’eccezionalità delle precipitazioni e i ritardi nell’allertare la popolazione (“C’è
una certa allergia ai blocchi, alle misure che ostacolino le normali attività. Vengono prima
l’economia, il turismo, il tentativo di riportare la Coppa America sulla nostra spiaggia”); ma anche e
soprattutto la cementificazione esasperata che ha caratterizzato lo sviluppo urbanistico e
industriale della provincia Valenciana.
Lo sviluppo dell’industria, iniziato nella seconda metà dell’Ottocento e continuato per tutto il
Novecento fino alla dittatura franchista, si è basato sulla decentralizzazione della produzione verso le
città dell’hinterland – Manises, Benetússer, Alfafar -, portando così alla cementificazione di sempre
più ampi territori della zona pianeggiante che separa il Mar Mediterraneo dalle catene montuose
della Sierra Calderona (2). In seguito, la crescita dell’industria nella fascia suburbana e delle attività commerciali
nel porto di Valencia ha attratto un numero crescente di immigrati dalle campagne e dalle zone
montuose ed è andata di pari passo con il boom edilizio, che ha significato una ulteriore
cementificazione della provincia valenciana.
La crisi petrolifera del 1973 e il conseguente processo di deindustrializzazione hanno arrestato
solo momentaneamente questo processo di cementificazione. In epoca neoliberista è iniziata una
nuova e ancora più ampia fase di cementificazione finalizzata a trasformare questa città industriale
e portuale in un polo logistico di importanza intercontinentale e in un centro turistico conosciuto a
livello globale. A partire dagli anni Novanta, infatti, sono stati fatti consistenti investimenti nell’area
portuale e nelle zone limitrofe, che hanno trasformato Valencia nel più importante hub logistico del
Mediterraneo Occidentale e degli scambi commerciali tra il Nord Africa e l’Europa (3).
Congiuntamente, sempre a partire dagli anni Novanta, è iniziata la turistificazione dell’economia
valenciana. Da un lato, per attrarre un turismo di “qualità”, con capacità di spesa medio-alta, sono
stati avviati numerosi progetti di “riqualificazione” del patrimonio industriale e sono state costruite
opere architettoniche faraoniche – come la Città delle Scienze e delle Arti -, spesso e volentieri
basandosi su una gestione semi-privata o totalmente privata degli spazi recuperati, che ha portato
alla gentrificazione di ampie zone un tempo degradate e alla segregazione della popolazione più
povera in quartieri ancora più degradati (4). Dall’altro lato, per attrarre il turismo di massa nelle zone
balneari, si è costruito, costruito, costruito e ancora costruito, al punto che il litorale del Golfo di
Valencia è, assieme alla Costa Brava, la zona della Spagna dove si concentra il maggior numero
di seconde case, abitate solo d’estate e sfitte per il resto dell’anno (5).
Note
1 https://torino.corriere.it/notizie/cronaca/24_ottobre_30/giulio-grezzi-ex-assessore-alla-mobilita-della-
valencia-green-aveva-raccontato-a-corriere-torino-la-citta-ciclabile-oggi-la-rabbia-per-i-morti-dell-alluvione-
6fb8d30c-1fd1-4821-84c3-86dfeb9a4xlk.shtml
2 Francisco Signes Martínez, Historia gráfica de una industria valenciana desde 1891 a 2001, in Dialnet, n.
466, 2003, ISSN 1134-1416
3 http://www.urbanisticainformazioni.it/Valencia-tra-citta-e-porto.html
4 Amparo Tarazona Vento, Mega-project meltdown: Post-politics, neoliberal urban regeneration and
Valencia’s fiscal crisis. Urban Studies, Vol. 54, No. 1 (JANUARY 2017), pp. 68-84.
https://www.researchgate.net/publication/290623922_Mega-project_meltdown_Post-
politics_neoliberal_urban_regeneration_and_Valencias_fiscal_crisis
Roxana-Diana Ilisei and Julia Salom-Carrasco, Urban Projects and Residential Segregation: A Case Study
of the Cabanyal Neighborhood in Valencia (Spain). Urban Science, 2018, 2, 119;
doi:10.3390/urbansci2040119 https://www.mdpi.com/2413-8851/2/4/119
Juan Romero, Carme Melo, Dolores Brandis, The neoliberal model of the city in Southern Europe. A
comparative approach to Valencia and Madrid. In Jörg Knieling, Frank Othengrafen, Cities in Crisis. Socio-
spatial impacts of the economic crisis in Southern European cities. Routledge, 2016.
5 María José Piñeira Mantiñán, Expansion and crisis in the neoliberal town planning process in Spain.
Questo blog si occupa da tempo di ecologia e catastrofi ecologiche; richiamiamo qui di seguito alcuni dei nostri post:
- anzitutto gli articoli dedicati alle alluvioni in Emilia-Romagna (Wu Ming) e nelle Marche, che danno anche degli spunti di analisi per la tragedia di Valencia:
- per l’elenco completo del nostro lavoro di analisi e denuncia della crisi ambientale globale, vedi https://pungolorosso.com/category/crisi-ambientale/
- infine, tre anni fa (aprile 2021) abbiamo pubblicato un dossier che conteneva articoli ad ampio spettro: https://pungolorosso.com/2021/04/29/un-piccolo-dossier-sul-disastro-ecologico-in-corso/