L’esercito israeliano mira alla testa o al petto dei bambini palestinesi (testimonianze di medici e infermieri statunitensi)

Abbiamo deciso di tradurre un articolo del New York Times di qualche giorno fa che contiene un dettagliato report sui crimini compiuti dall’esercito sionista ai danni dei bambini palestinesi. (Del pistolotto finale dell’articolo secondo cui gli Stati Uniti avrebbero potuto agire diversamente da come stanno agendo, si capisce, non sappiamo che farcene: quel che rimane agli atti della cronaca e della storia è ciò che hanno realmente fatto.)

In questo articolo medici e infermieri americani (in qualche caso anche testimoni israeliani) raccontano l’orrore sionista a Gaza: bambini presi di mira, colpiti alla testa o al petto, deliberatamente, da soldati israeliani. Riferiscono di bambini anche molto piccoli con pensieri suicidi o che rimpiangevano di essere ancora vivi. Bambini nati sani e poi costretti a tornare in ospedale solo per morire di disidratazione, fame o infezioni perché le madri malnutrite non erano in grado di allattarli al seno, e mancava anche il latte artificiale e l’acqua potabile. La malnutrizione diffusa tra la popolazione che riporta le immagini dei campi di sterminio nazisti…

Ma non basta. Soldati israeliani ed ex prigionieri palestinesi affermano che soldati e agenti dei servizi segreti israeliani hanno regolarmente costretto i palestinesi catturati, bambini compresi, a fare da cavie umane in missioni di ricognizione pericolose per evitare di mettere a rischio i militari israeliani sul campo di battaglia. I prigionieri vengono costretti a perlustrare e filmare all’interno della rete di tunnel dove gli israeliani credono si nascondano ancora i combattenti di Hamas. Lo conferma Nadav Weiman, direttore dell’ONG israeliana Breaking the Silence, Da dicembre, i soldati che hanno prestato servizio nella guerra di Gaza si sono più volte presentati per denunciare che i civili palestinesi venivano utilizzati per questo.[i]

Questo tipo di azione, che sarebbe illegale sia per il diritto israeliano che per quello internazionale (il che dimostra quanto questi diritti siano un concentrato di ipocrisia e, nello stesso tempo, la più totale indifferenza dello stato e dell’esercito sionista per ogni genere di limiti alla sua furia genocida), è stata utilizzata da almeno 11 squadre in cinque città di Gaza, e si è gradualmente diffusa dall’inizio della guerra, lo scorso ottobre, sostituendo man mano a droni o cani da fiuto persone palestinesi, perché più efficaci. I testimoni l’hanno definita una pratica di routine, ordinaria e organizzata, condotta con un consistente supporto logistico e ben conosciuta dai comandanti sul campo di battaglia.

E ancora non basta a completare il quadro della ferocia che caratterizza la guerra di Gaza. I civili palestinesi vengono usati come scudi umani e cavie anti-esplosivi. Ad esempio ad aprile durante l’assedio dell’ospedale Al-Shifa nella città di Gaza Defense for Children International Palestine (DFCIP) ha documentato diversi casi in cui le forze israeliane hanno utilizzato bambini e le loro famiglie come scudi umani durante le operazioni militari nel nord di Gaza.

DFCIP riferisce di due famiglie palestinesi che, insieme ai loro bambini piccoli, sono state costrette a camminare accanto ai carri armati israeliani mentre le forze israeliane assediavano l’ospedale…

Le forze israeliane hanno arrestato circa 50 palestinesi, tra cui i fratelli Abdullah H., di 13 anni, e Abdulrahman H., di 11, e Karim S., di 12. I soldati israeliani li hanno costretti a togliersi i vestiti e hanno legato loro le mani prima di costringerli a camminare davanti ai carri armati israeliani.

E dopo tutte queste nefandezze, il 5 ottobre il boia Netanyahu, degno capo di un simile esercito e di un simile stato, ha dichiarato: «Oggi Israele si difende su 7 fronti contro i nemici della civiltà.»[2]

No all’assuefazione, alla passività!

A chi abita in paesi non direttamente coinvolti nelle operazioni belliche, le guerre in corso da anni ormai, da quella in Ucraina a quella Medio Oriente, Palestina, Libano in particolare, rischiano di essere percepite come la nuova “normalità” di questa fase storica in cui le potenze globali stanno ridefinendo i loro rapporti di forza, soffocando l’esistenza di masse sterminate di oppressi e di sfruttati.

Per questo riteniamo utile proporre resoconti e testimonianze dirette degli orrori della guerra “di difesa” condotta dai sionisti israeliani nel loro tentativo di impadronirsi definitivamente di ampi territori ancora occupati da popolazioni arabe, (e non solo della Palestina storica).

A nostro avviso è importante combattere tra la massa dei lavoratori e tra i giovani il rischio di assuefazione alla violenza prodotta dal sistema sociale capitalistico e – in questo caso – dalla sua protesi coloniale. No alla passività, al “determinismo”! Occorre, lottare, scioperare, scendere in strada per manifestare, impedire la spedizione degli armamenti. Le guerre capitaliste e imperialiste, con i loro orrori, possono essere eliminate, eliminando la causa che li determina.

E, proprio per agire con consapevolezza, ora, qui dove siamo, in casa nostra, imputiamo come corresponsabile delle atrocità descritte anche l’imperialismo italiano e i suoi governi, qualsiasi colore rivestano. Ricordiamo che l’Italia ha continuato a esportare armi in Israele, nonostante le rassicurazioni fornite secondo cui il governo in carica avrebbe bloccato tali vendite dopo l’invasione israeliana della Striscia di Gaza. E in barba al divieto posto dalla legge italiana all’esportazione di armamenti verso i paesi in guerra o ritenuti responsabili di violazioni dei diritti umani a livello internazionale (abbiamo già detto sopra della totale ipocrisia di questi divieti “legali”).

Negli ultimi tre mesi del 2023, a guerra iniziata, l’Italia ha esportato in Israele armi e munizioni per 2,1 milioni di euro. Il ministro della Difesa Crosetto ha avuto la spudoratezza di dichiarare che Uama [Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento] ha controllato caso per caso le esportazioni richieste, e non riguardavano materiali che potevano essere usati contro i civili a Gaza. Armi intelligenti, con una loro morale, dunque, quelle italiane, che distinguono tra civili e militari, tra adulti e bambini! Perciò, possiamo stare tranquilli, i proiettili nelle teste dei bambini gazawi non sono italiani! (Red.)


[1] https://www.facebook.com/watch/?v=895321395488847

[2] https://www.dci-palestine.org/israeli_forces_use_palestinian_children_as_human_shields_during_siege_of_hospital; https://www.nytimes.com/2024/10/14/world/middleeast/israel-gaza-military-human-shields.html; https://www.dw.com/en/is-israels-army-using-palestinians-as-human-shields/a-70166645

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Di seguito riportiamo la traduzione dell’articolo del NYT, 9 ottobre 2024, con la lunga lista delle testimonianze raccolte.

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“Quello che abbiamo visto a Gaza”: le storie di 65 medici, infermieri e paramedici

Daniel Benneworth-Gray

Il dottor Sidhwa, chirurgo generale e specialista in traumatologia, ha lavorato presso l’Ospedale Europeo di Khan Younis, Gaza, per due settimane tra marzo e aprile.

Ho lavorato come chirurgo traumatologico a Gaza dal 25 marzo all’8 aprile. In precedenza avevo fatto volontariato in Ucraina e Haiti, e sono cresciuto a Flint, nel Michigan. Sono stato testimone di violenze e ho lavorato in zone di conflitto. Ma di tutte le esperienze significative vissute all’ospedale di Gaza, una mi ha particolarmente colpito: quasi ogni giorno vedevo un nuovo bambino, molto piccolo, colpito alla testa o al petto, che moriva quasi sistematicamente. In tutto, tredici bambini.

All’epoca pensavo che non lontano dall’ospedale ci fosse un cecchino particolarmente sadico. Ma, dopo il mio ritorno, ho incontrato un medico del pronto soccorso che aveva lavorato in un altro ospedale di Gaza due mesi prima di me. Gli ho detto: «Non potevo credere al numero di bambini che ho visto colpiti alla testa.» Con mia grande sorpresa, mi ha risposto: «Sì, anch’io. Li vedevo tutti i giorni, nessuno escluso.»

Queste radiografie che mostrano bambini di Gaza con proiettili nel collo o nella testa sono state condivise dalla dottoressa Mimi Syed, che ha lavorato a Khan Younis dall’8 agosto al 5 settembre. Ha spiegato: «Mi sono presa cura di molti pazienti giovani, per lo più di età inferiore ai 12 anni, che sono stati colpiti alla testa o al petto sul lato sinistro. Di solito era un unico proiettile. I bambini sono arrivati ​​già morti o in condizioni critiche e sono morti poco dopo l’arrivo.»

I dati satellitari, le organizzazioni umanitarie e il Ministero della Sanità di Gaza hanno permesso di raccogliere una notevole quantità di informazioni sull’entità della distruzione a Gaza. Ma Israele vieta l’accesso a giornalisti e investigatori di organizzazioni per i diritti umani al di fuori di alcune rare missioni integrate nelle forze israeliane. Quanto ai resoconti dei giornalisti palestinesi a Gaza, non sono sufficientemente letti nonostante gli enormi rischi che corrono. [ricordiamo che in un anno ne sono stati uccisi 167, arrestati 62, e 88 loro uffici rasi al suolo – n.n.]

Tuttavia, un gruppo di osservatori indipendenti ha potuto documentare quotidianamente questa guerra: operatori sanitari volontari.

Attraverso contatti nella comunità medica e approfondite ricerche online, sono stato in grado di entrare in contatto con professionisti medici americani che hanno lavorato a Gaza dal 7 ottobre 2023. Molti avevano legami familiari o religiosi con il Medio Oriente, mentre altri, come me, non ne aveva uno, ma si è sentito obbligato a fare volontariato a Gaza per vari motivi.

Basandosi sulle mie osservazioni e conversazioni con colleghi medici e infermieri, ho collaborato con Times Opinion per intervistare 65 professionisti medici su ciò che avevano visto a Gaza. Cinquantasette di loro, me compreso, hanno accettato di condividere la loro esperienza. Gli altri otto hanno partecipato in forma anonima, per paura di ritorsioni sul posto di lavoro o perché hanno famiglia a Gaza o in Cisgiordania. Ecco cosa abbiamo osservato.

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44 medici, infermieri e paramedici hanno assistito a diversi casi di bambini preadolescenti colpiti alla testa o al petto a Gaza; 9 non ne sono stati testimoni; 12 non si prendevano cura regolarmente dei bambini in situazioni di emergenza.

Testimonianze:

Dr. Mohamad Rassoul Abu-Nuwar, chirurgo generale e bariatrico, 36 anni, Pittsburgh, Pennsylvania:

“In una sola notte, in quattro ore al pronto soccorso, ho visto sei bambini dai 5 ai 12 anni, tutti con un solo colpo di pistola alla testa.»

Nina Ng, infermiera di Pronto Soccorso, 37 anni, New York:

“I bambini con ferite da arma da fuoco venivano curati sul pavimento, spesso morivano dissanguati a causa della mancanza di spazio, attrezzature e personale. Molti sono morti mentre avrebbero potuto essere salvati.»

Dr. Mark Perlmutter, chirurgo ortopedico, 69 anni, Rocky Mount, Carolina del Nord:

«Ho visto diversi bambini feriti da proiettili ad alta velocità, colpiti alla testa e al petto.»

Irfan Galaria, chirurgo plastico, 48 anni, Chantilly, Virginia:

“La nostra équipe ha curato quattro o cinque bambini dai 5 agli 8 anni, tutti colpiti da un colpo di pistola alla testa. Sono arrivati ​​nello stesso momento al pronto soccorso e sono morti tutti.»

Rania Afaneh, paramedico, 23 anni, Savannah, Georgia:

“Ho visto un bambino colpito alla mascella. Nessun’altra parte del suo corpo è rimasta ferita. Era cosciente e mi fissava mentre soffocava con il suo stesso sangue, mentre cercavo di usare un aspiratore rotto.»

Dott.ssa Khawaja Ikram, chirurgo ortopedico, 53 anni, Dallas, Texas:

“Un giorno al pronto soccorso ho visto un bambino di 3 anni e uno di 5 anni, entrambi con una pallottola in testa. Il loro padre e fratello hanno riferito che avevano loro detto che Israele si stava ritirando da Khan Younis. Sono tornati per vedere cosa restava della loro casa e sono stati colpiti da un cecchino.»

Dott.ssa Ahlia Kattan, anestesista e medico di terapia intensiva, 37 anni, Costa Mesa, California:

“Ho visto una bambina di 18 mesi con una ferita da arma da fuoco alla testa.»

Dr. Ndal Farah, anestesista, 42 anni, Toledo, Ohio:

“Ho visto molti bambini. Nella mia esperienza, le ferite da arma da fuoco spesso erano alla testa. Molti di loro hanno subito danni cerebrali irreversibili. Quasi ogni giorno arrivavano bambini in ospedale con ferite da arma da fuoco alla testa.»

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Times Opinion ha posto delle domande all’esercito israeliano riguardo alle esperienze di questi operatori sanitari americani. Un portavoce di IDF ha risposto con una dichiarazione che non dice se l’esercito abbia indagato sulle sparatorie di preadolescenti o abbia intrapreso azioni disciplinari contro i soldati coinvolti in quegli incidenti. La dichiarazione iniziava così: “Le forze di difesa israeliane si impegnano a ridurre al minimo i danni causati ai civili durante le loro operazioni. In questo contesto, IDF si sforza di tenere conto dei potenziali danni collaterali durante i suoi attacchi. IDF aderisce pienamente agli obblighi legali internazionali vigenti, compreso il diritto riguardante i conflitti armati.»

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63 medici, infermieri e paramedici hanno rilevato una grave malnutrizione tra i pazienti, il personale medico palestinese e la popolazione in generale. Solo 2 non ne hanno rilevato.

Merril Tydings, infermiera di pronto soccorso e di terapia intensiva, 44 anni, Santa Fe, New Mexico:

«Queste persone stavano morendo di fame. Ho imparato presto a non bere l’acqua e a non mangiare il cibo che avevo portato davanti agli altri operatori sanitari, perché loro da diversi giorni non avevano più nulla.»

Dr. Ndal Farah, anestesista, 42 anni, Toledo, Ohio:

“La malnutrizione era ovunque. Era frequente vedere pazienti il ​​cui aspetto scheletrico ricordava le vittime dei campi di concentramento nazisti

Abeerah Muhammad, infermiera di terapia intensiva e di pronto soccorso, 33 anni, Dallas, Texas:

“Tutti quelli che abbiamo incontrato ci hanno mostrato loro foto prima di ottobre. Avevano tutti perso tra i 9 ed i 27 chili. La maggior parte dei pazienti e del personale erano emaciati e disidratati.»

Asma Taha, infermiera pediatrica, 57 anni, Portland, Oregon:

“Il capo dell’unità neonatale era quasi irriconoscibile, aveva perso quasi la metà del suo peso che aveva prima della guerra. Non erano solo cambiamenti fisici: riflettevano anche l’impatto emotivo e psicologico del conflitto su coloro che si prendevano cura degli altri mentre essi stessi lottavano contro le proprie perdite e difficoltà.»

Dott.ssa Nahreen Ahmed, specialista in terapia intensiva e polmonare, 40 anni, Filadelfia, Pennsylvania:

“Tutti i miei pazienti mostravano segni di malnutrizione: ad esempio, difficile guarigione da ferite, o infezioni che si sviluppavano rapidamente.»

Dr. Aman Odeh, pediatra, 40 anni, Austin, Texas:

“Le madri nei reparti maternità partorivano prematuramente a causa della malnutrizione, dello stress e delle infezioni. La loro produzione di latte era scarsa a causa della mancanza di idratazione e di un’alimentazione insufficiente.»

Dr. Mike Mallah, chirurgo generale, specialista in traumatologia e terapia intensiva, 40 anni, Charleston, Carolina del Sud:

“Tutti i miei pazienti erano malnutriti, al 100%.»

Dott.ssa Deborah Weidner, psichiatra infantile e dell’adolescenza, 58 anni, Hartford, Connecticut:

“I pazienti erano molto magri. I loro pantaloni erano visibilmente troppo larghi e le cinture erano estremamente strette.»

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52 medici, infermieri e assistenti medici hanno osservato un disagio psichiatrico quasi generalizzato nei bambini piccoli, alcuni addirittura esprimevano pensieri suicidi o rimpiangendo di essere ancora vivi; 10 non ne l’hanno rilevato; 3 non lavorava regolarmente con i bambini.

Dott.ssa Mimi Syed, medico d’emergenza, 44 anni, Olympia, Washington:

«Una bambina di 4 anni, gravemente ustionata, era totalmente dissociata. Fissava il vuoto mentre canticchiava una ninna nanna. Non piangeva, ma tremava, in un totale stato di shock.»

Dott.ssa Ahlia Kattan, anestesista e medico di terapia intensiva, 37 anni, Costa Mesa, California:

«Tutti i bambini con cui ho trascorso del tempo mi vedevano come una figura materna, alla ricerca di protezione e conforto. Era evidente la loro mancanza di sicurezza, sia emotiva che fisica. Si aggrappavano a noi, chiedendo che li portassimo a casa dentro le nostre valigie.»

Dott.ssa Tanya Haj-Hassan, pediatra di terapia intensiva, 39 anni:

«Un bambino che aveva perso tutta la sua famiglia diceva che voleva essere ucciso anche lui, diceva: ‘Tutti quelli che amo sono in paradiso. Non voglio più essere qui.»

Laura Swoboda, infermiera specializzata nella cura delle ferite, 37 anni, Mequon, Wisconsin:

«Un giorno, durante il mio giro nel reparto pediatrico, la caposala mi ha afferrato il braccio, implorandoci di portare con noi un operatore psichiatrico nella nostra prossima visita.»

Feroze Sidhwa, chirurgo generale, specialista in traumatologia e terapia intensiva, 42 anni, Lathrop, California:

«La maggior parte dei bambini ha sicuramente avuto qualche momento di felicità, ma in genere erano spaventati, stressati, disperati, affamati, assetati e disorientati. Un bambino gravemente ferito, con l’amputazione della gamba destra, con il braccio destro e la gamba sinistra rotti, ha chiesto ripetutamente alla madre perché non poteva morire con il resto della sua famiglia

Abeerah Muhammad, infermiera del pronto soccorso e di terapia intensiva, 33 anni, Dallas, Texas:

«Ho curato molti bambini con ferite causate da esplosivi e schegge. Molti di loro mostravano uno stoicismo insolito per la loro età, non piangevano nemmeno quando soffrivano. Questa è una reazione psicologica rara in un bambino. Siamo stati costretti a suturare molte lacerazioni senza anestesia e questi bambini rimanevano apatici invece di opporre resistenza. Ho visto bambini che hanno assistito all’omicidio di diversi membri della famiglia, e tutti hanno espresso il desiderio di morire per poterli raggiungere. Ho anche curato preadolescenti e adolescenti con segni di autolesionismo, come tagli sugli avambracci.»

Dott. Mohammed Al-Jaghbeer, specialista in terapia intensiva e malattie polmonari, 41 anni, Ohio:

«Molti bambini non parlavano per giorni, anche con la famiglia vicino. Una bambina ha rifiutato il giocattolo che le avevo portato, un’auto giocattolo di plastica, perché non voleva toccare o parlare con nessuno che non fosse suo padre.»

Adam Hamawy, chirurgo plastico e ricostruttivo, 55 anni, South Brunswick, New Jersey:

«I bambini che avevano perso gli arti, incapaci di correre o giocare, dicevano che avrebbero preferito morire, e alcuni esprimevano pensieri suicidi.»

Dr. Mark Perlmutter, chirurgo ortopedico e specialista della mano, 69 anni, Rocky Mount, Carolina del Nord:

«Molti dicevano di desiderare che la prossima bomba li colpisse per porre fine alle loro sofferenze.»

Rania Afaneh, paramedico, 23 anni, Savannah, Georgia:

«Una bambina è stata portata con suo padre dopo che la loro casa era stata bombardata. Suo padre giaceva accanto a lei, nudo e coperto da un sottile foglio di plastica, incapace di muoversi mentre ascoltava le sue urla. Sebbene fosse ferita, non piangeva per il dolore, ma urlava per sua madre e suo padre, terrorizzata, urlò finché non la presi in braccio per consolarla e lei si addormentò.»

Dr. Talal Ali Khan, nefrologo e internista, 40 anni, Oklahoma City, Oklahoma:

«Molti bambini a Gaza non sono bambini normali. La loro infanzia sembra cancellata. Nessun sorriso, nessun contatto visivo. Non giocano nemmeno come i bambini normali. Li ho visti seduti lì, che si guardavano le mani o le bottiglie d’acqua, senza cercare di interagire con nessuno.»

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25 medici, infermieri e personale medico hanno visto bambini nati sani tornare in ospedale solo per morire di disidratazione, fame o infezioni perché le madri malnutrite non erano in grado di allattarli al seno, e mancava il latte artificiale e l’acqua potabile.

Laura Swoboda, infermiera specializzata nella cura delle ferite, 37 anni, Mequon, Wisconsin:

“A Gaza sono morti bambini che sarebbero sopravvissuti in ambienti con maggiori risorse. Un bambino che il nostro cardiologo pediatrico aveva curato durante la notte è morto e il giorno dopo ho visto la famiglia portarsi via il corpicino avvolto in un telo chirurgico.»

Dr. Arham Ali, medico di terapia intensiva pediatrica, 38 anni, Loma Linda, California:

«Venivano in terapia intensiva madri affamate supplicando di avere il latte artificiale per nutrire i loro neonati. Bambini di poche ore o giorni giungevano gravemente disidratati, con infezioni e in ipotermia. Molti di loro sono morti in queste condizioni, morti che erano evitabili al 100%.»

Merril Tydings Flight, infermiera di pronto soccorso e di terapia intensiva, 44 anni, Santa Fe, New Mexico:

«Un bambino nato da una madre malnutrita ha molte più difficoltà a svilupparsi e a sopravvivere, perché gli mancano continuamente i nutrienti essenziali.»

Abeerah Muhammad, infermiera di pronto soccorso e di terapia intensiva, 33 anni, Dallas, Texas:

«Centinaia di famiglie sfollate si erano rifugiate intorno e all’interno dell’ospedale. I bambini mostravano chiari segni di disidratazione acuta: letargia, fontanelle e occhi infossati, mancanza di lacrime quando piangevano e di produzione di urina.»

Monica Johnston, infermiera di terapia intensiva con ustioni e ferite, 45 anni, Portland, Oregon:

«Una madre ha lasciato l’ospedale due ore dopo il parto. Pochi giorni dopo, l’ho incontrata mentre andavo in ospedale e mi ha supplicato di darle del latte artificiale perché non riusciva a produrre abbastanza latte.»

Asma Taha, infermiera pediatrica, 57 anni, Portland, Oregon:

«Ogni giorno, arrivavano famiglie disperate a chiedere una semplice lattina di latte artificiale per i loro bambini affamati. Purtroppo, le nostre scorte erano molto limitate, quindi non eravamo spesso in grado di soddisfare i loro urgenti bisogni.»

Dr. Aman Odeh, pediatra, 40 anni, Austin, Texas:

«Nel reparto di terapia intensiva neonatale in cui lavoravo, diversi bambini morivano ogni giorno per la mancanza di forniture mediche e di cibo adeguato. A causa mancanza di attrezzature abbiamo dovuto prendere decisioni strazianti per scegliere quale bambino gravemente malato collegare a un ventilatore. Ho visto una famiglia portare qui il loro bambino di tre giorni morto perché aveva dovuto vivere in una tenda.»

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53 medici, infermieri e paramedici hanno osservato molti bambini affetti da infezioni prevenibili, alcuni dei quali sono morti.

Dr. Mark Perlmutter, chirurgo ortopedico e specialista della mano, 69 anni, Rocky Mount, Carolina del Nord:

«Bambini con ferite relativamente lievi, come ossa rotte e ustioni, sono morti per le ferite riportate, mentre avrebbero potuto essere salvati anche in un paese in via di sviluppo.»

Abeerah Muhammad, infermiera di pronto soccorso e di terapia intensiva, 33 anni, Dallas, Texas:

«Donne e ragazze usavano pezzi di tende, pannolini, asciugamani o altri tessuti come protezione mestruale, contraendo la sindrome da shock tossico.»

Irfan Galaria, chirurgo plastico e ricostruttivo, 48 anni, Chantilly, Virginia:

«Il 100% dei miei pazienti operati ha sviluppato infezioni. Le ferite erano contaminate a causa della natura delle lesioni, con presenza di detriti e macerie.»

Dott.ssa Ahlia Kattan, anestesista e medico di terapia intensiva, 37 anni, Costa Mesa, California:

«Diversi giovani hanno subito amputazioni che si sono poi infettate. La cattiva cicatrizzazione dovuta alla igiene e alimentazione scarse ha portato ad ulteriori amputazioni.»

Monica Johnston, infermiera di terapia intensiva per ustioni e ferite, 45 anni, Portland, Oregon:

«Quasi tutti i nuovi bambini ricoverati durante la mia presenza a Gaza sono morti. Quasi tutti decessi avrebbero potuto essere evitati se avessimo avuto una corretta alimentazione, misure di prevenzione delle infezioni come sapone e disinfettante per le mani e forniture adeguate.»

Adam Hamawy, chirurgo plastico e ricostruttivo, 55 anni, South Brunswick, New Jersey:

«Quasi tutti i bambini di cui mi prendevo cura erano gravemente malnutriti, con difficoltà di guarigione e alti tassi di infezione. Il tasso di mortalità dei bambini feriti che ho curato era quasi dell’80%.»

Wilhelmi Massay, infermiere di terapia intensiva e traumatologica, 50 anni:

“La completa mancanza di attrezzature e forniture mediche ha portato a morti per infezioni che si possono facilmente prevenire.»

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64 medici, infermieri e paramedici hanno osservato che a Gaza non erano spesso disponibili anche le forniture mediche di base, come sapone e guanti. Uno non l’ha osservato.

Dr. Ndal Farah, anestesista, 42 anni, Toledo, Ohio:

«Abbiamo operato senza tende o camici chirurgici. Abbiamo riutilizzato materiale che avrebbe dovuto essere buttato via. Ho lavorato in altre zone di guerra, ma questa era molto peggio di qualsiasi cosa avessi visto prima.»

Brenda Maldonado, infermiera d’urgenza, 58 anni, Vancouver, Washington:

«Neonati e bambini arrivavano con ustioni estremamente dolorose dovute alla polvere esplosiva e non né avevamo farmaci antidolorifici né unguenti per curare le loro ferite.»

Monica Johnston, infermiera di terapia intensiva con ustioni e ferite, 45 anni, Portland, Oregon:

«Non c’erano tappi per i cateteri principali, lasciando perciò passare i germi. Niente sapone o disinfettante per le mani. Nessun mezzo per pulire i pazienti allettati che si sporcavano. Dovevo pulire le feci con batuffoli di cotone, un caos orribile.»

Ayman Abdul-Ghani, chirurgo cardiotoracico, 57 anni, Honolulu, Hawaii:

«In sala operatoria la sterilizzazione era pessima. C’erano mosche ovunque. I liquami invadevano l’area dell’ospedale, dove la gente si rifugiava.»

Dr. Mohammed Al-Jaghbeer, specialista in terapia intensiva e polmonare, 41 anni, Ohio:

«Molte ferite si sono infettate a causa della mancanza di adeguate forniture igieniche. Per la prima volta nella mia carriera, ho visto i vermi delle mosche uscire dalle ferite.»

Dr. Ammar Ghanem, specialista in terapia intensiva e polmonare, 54 anni, Detroit, Michigan:

«Ci mancavano guanti, alcol, camici e sapone. Le mosche, vettori di batteri resistenti, trasmettevano infezioni da un paziente all’altro. Quelli che erano sopravvissuti alle ferite finivano con il morire di infezione.»

Irfan Galaria, chirurgo plastico e ricostruttivo, 48 anni, Chantilly, Virginia:

«Operavo con strumenti rudimentali. Non c’erano antidolorifici per il cambio delle medicazioni e i pazienti venivano lasciati sul pavimento nel postoperatorio.»

Nina Ng, infermiera d’urgenza, 37 anni, New York, NY:

«Spesso trattavamo i pazienti senza guanti o senza un’adeguata igiene delle mani: risorse che erano disponibili anchein paesi poveri come Haiti.»

Dr. Mark Perlmutter, chirurgo ortopedico e specialista della mano, 69 anni, Rocky Mount, Carolina del Nord:

«Senza le forniture mediche che abbiamo portato con noi, non avremmo avuto nulla a disposizione. La mortalità in eccesso dovuta alla semplice mancanza di sapone e di un’adeguata sterilizzazione era incalcolabile.»

Mohamad Abdelfattah, specialista in terapia intensiva e polmonare, 37 anni, Tustin, California:

«Le infezioni si sono diffuse in tutto l’ospedale e tutti i respiratori sono stati colonizzati da batteri altamente resistenti. La maggior parte dei pazienti con ventilatori ha sviluppato una polmonite grave.»

Dott.ssa Mimi Syed, medico d’urgenza, 44 anni, Olympia, Washington:

«Riutilizzavamo quasi tutte le attrezzature mediche, comprese quelle che non avrebbero dovuto esserlo, e questo causava infezioni. Non c’erano antibiotici. Spesso ci mancava l’acqua corrente e l’ospedale subiva interruzioni di corrente. Non potevamo nemmeno lavarci le mani.»

Laura Swoboda, infermiera specializzata in ferite, 37 anni, Mequon, Wisconsin:

«Quasi tutte le ferite che ho visto erano infette. Ho visto più vermi in un solo giorno che in tutta la mia carriera di specialista in ferite.»

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Quanto hanno visto con i loro occhi i medici e gli infermieri americani a Gaza dovrebbe orientare la politica degli Stati Uniti nei confronti della regione. La devastante combinazione di quello che Human Rights Watch definisce violenza militare indiscriminata, di quello che Oxfam definisce deliberata restrizione degli aiuti alimentari e umanitari, lo sfollamento quasi totale della popolazione e la distruzione delle infrastrutture sanitarie stanno avendo l’effetto catastrofico previsto quasi un anno fa da diversi specialisti dell’Olocausto e del genocidio.

Le leggi e la politica degli Stati Uniti vietano da tempo il trasferimento di armi a Paesi o unità militari coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani, in particolare quando queste prendono di mira i bambini, come indicato in un aggiornamento del 2023 della politica degli Stati Uniti sui trasferimenti di armi convenzionali. È difficile immaginare violazioni più gravi di quelle in cui bambini piccoli vengono colpiti alla testa, i neonati e le loro madri muoiono di fame a causa del blocco degli aiuti alimentari e della distruzione delle infrastrutture idriche, e il sistema sanitario è stato distrutto.

Negli ultimi dodici mesi, il nostro governo aveva i mezzi per interrompere il flusso di aiuti militari statunitensi a Israele. Ma invece – secondo un aggiornamento del Ministero della Difesa israeliano di fine agosto – dall’inizio della guerra ha inviato più di 50.000 tonnellate di attrezzature militari, munizioni e armi, inasprendo così il conflitto. Si tratta di di oltre 10 aerei da trasporto e due navi cariche di armi in media ogni settimana.

Oggi, dopo più di un anno di devastazione, le stime dei morti palestinesi vanno da decine di migliaia a centinaia di migliaia. L’International Rescue Committee descrive Gaza come “il luogo più pericoloso al mondo per un operatore umanitario e anche per un civile”. UNICEF definisce Gaza “il luogo più pericoloso al mondo per un bambino”. Oxfam riferisce che ad Al-Mawasi, un’area dichiarata “sicura” da Israele, c’è un servizio igienico ogni 4.130 persone. Almeno 1.470 israeliani sono stati uccisi nell’attacco del 7 ottobre e nei conflitti successivi. Si ritiene che la metà degli ostaggi rimasti a Gaza sia morta. Mentre i funzionari statunitensi accusano Hamas di prolungare la guerra e di ostacolare i negoziati, i media israeliani riferiscono che il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha sabotato i colloqui per il cessate il fuoco con Hamas e Hezbollah, facendo aumentare in modo sconsiderato il conflitto, invece di cercare un accordo che avrebbe raggiunto molti degli obiettivi di guerra dichiarati da Israele, tra cui il rilascio degli ostaggi israeliani [gli israeliani detenuti a Gaza sono tutti “ostaggi”, anche i soldati, mentre i palestinesi detenuti in Israele sono tutti “prigionieri”, anche i bambini – nota del traduttore].

Un risultato così disastroso per i palestinesi e per Israele giustifica la violazione dello Stato di diritto nella nostra società? L’amministrazione Biden-Harris non può certo affermare di non sapere cosa stava facendo. Otto senatori statunitensi, 88 membri della Camera dei Rappresentanti, 185 avvocati (tra cui diversi dipendenti dell’amministrazione) e 12 funzionari pubblici (che si sono dimessi per protesta) hanno avvertito l’amministrazione che continuare ad armare Israele violava la legge americana. A settembre, ProPublica ha rivelato che l’amministrazione Biden-Harris aveva cercato di aggirare le leggi che vietano gli aiuti militari ai Paesi che bloccano gli aiuti umanitari. Il giornalista e conduttore Peter Beinart ha recentemente detto che la vicepresidente Kamala Harris potrebbe “rompere in maniera netta” con l’attuale politica su Gaza nella sua campagna presidenziale, dichiarando semplicemente che applicherà la legge.

Oggi, Israele e gli Stati Uniti stanno trasformando Gaza in una terra selvaggia, rasa al suolo e saccheggiata, al di là di ogni idea di stato di diritto. Ma non è mai troppo tardi per cambiare rotta: potremmo impedire a Israele di usare le nostre armi, munizioni, carburante, intelligence e supporto logistico bloccandone l’uso. Potremmo anche fermare il flusso di armi verso tutte le parti coinvolte annunciando un embargo internazionale sulle armi contro Israele e i gruppi armati palestinesi e libanesi. L’applicazione delle leggi statunitensi che impongono il blocco degli aiuti militari a Israele godrebbe di un sostegno massiccio: organizzazioni umanitarie, decine di membri del Congresso, la maggioranza degli americani e la stragrande maggioranza dei membri delle Nazioni Unite sono tutti a favore di questo approccio.

Questo orrore deve finire. Gli Stati Uniti devono smettere di armare Israele.

Dopodiché, noi americani dobbiamo farci un serio esame di coscienza.