La Germania nella disputa territoriale sulle isole Sensaku/Politica estera pluralistica della Germania

Germania, politica estera, Asia S-E, Tailandia

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La Germania nella disputa territoriale sulle isole Sensaku

Disputa Cina-Giappone-Taiwan sulle isole Sensaku/Diaoyu (mar di Cina orientale): continuano le tensioni, su cui interviene il vice presidente USA, Joe Biden nel suo attuale viaggio in Est Asia.

 

 

– Le esportazioni tedesche di armi nella regione e la crescente cooperazione della Bundeswehr con Giappone, Sud Corea e altri alleati dell’Occidente fanno pensare che in caso di escalation del conflitto – anche provocato da non volute collisioni tra due caccia, la Germania si schiererebbe contro la Cina, assieme ai suoi tre alleati, USA, Giappone e Sud Corea.

 
 

 

– Nella disputa territoriale pesano non tanto gli interessi per le materie prime (gas e petrolio) e pesca, ma quelli strategico-militari, dato che le isole fanno parte di un anello di isole che Pechino considera importante per difendersi da attacchi esterni. Dall’arcipelago è possibile controllare gran parte delle rotte marittime, su cui transita il 90% delle forniture di gas e petrolio verso Cina e Giappone.

 

– Controllandole, il Giappone potrebbe bloccare l’accesso della Cina al Pacifico (German Institute of Global and Area Studies – GIGA)

– Il 23 novembre scorso, la Cina ha comunicato la creazione della sua prima “Zona di Identificazione per la Difesa Aerea” (ADIZ) nel Mar di Cina orientale.

– Nella regione anche Giappone e Sud Corea hanno le proprie zone di sorveglianza dello spazio aereo.

– Giappone, USA e Sud Corea non riconoscono l’ADIZ cinese, area che continuano a far sorvolare con propri aerei militari;

– la Cina ha reagito mettendo in stato di allarme la sua aeronautica.

– Le tensioni nell’area potrebbero danneggiare fortemente gli interessi economici tedeschi, ma anche gli scambi commerciali di tutta l’Europa con l’Est Asia (secondo un’esperta della tedesca Fondazione Scienza e Politica – SWP).

– Mentre settori dell’industria tedesca e strateghi, data la grande importanza economica della Cina, cercano una più stretta cooperazione con essa,

– le misure per il contenimento della Cina, introdotte di recente da Berlino e dagli alleati occidentali, potrebbero contribuire ad un’escalation delle tensioni.

– La Germania sta accelerando la cooperazione economico, militare, politica e del settore armamenti con diversi paesi del S-E Asia; recente esempio la fornitura di sottomarini a Singapore;

– l’anno scorso sono state approvate esportazioni di armamenti per €13 milioni verso il Giappone, intensificata la cooperazione con le sue forze armate; consiglieri del governo tedesco fanno pressione per una più stretta cooperazione tra Nato e Giappone.

– Sud Corea: dal 1999 (primo anno per il quale esistono dati) è quasi sempre stato tra i primi 10 acquirenti di armi tedesche, nel 2002 e 2008 al 1° posto davanti agli Usa; la Bundeswehr coopera con le forze armate sudcoreane.

– Il Sud Corea, nonostante le dispute territoriali con il Giappone, ha dichiarato che per la questione delle Isole Diaoyu sta dalla parte del Giappone, con l’Occidente.

 

– L’arcipelago Sensaku/Diaoyu è appartenuto alla Cina nel periodo della Dinastia Qing, dal (1644-1911) e venne annesso dal Giappone a seguito della sconfitta cinese nella prima guerra con il Giappone nel 1895; il Giappone dovette restituirlo a seguito della propria sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale (Dichiarazione del Cairo, 27.11, 1943, e dichiarazione di Potsdam, 26.8.1945, a cui si rifà ora la Cina.

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Politica estera pluralistica della Germania
Tailandia

 

Sullo sfondo delle proteste in corso ci sono conflitti sociali che da oltre 10 anni ripropongono violenti scontri politici.

 

– Le vecchie élite tailandesi, che hanno sempre controllato il paese in stretta alleanza con la casa reale, da alcuni anni vedono minacciata la propria posizione dagli strati popolari impoveriti,

 

 

strati che hanno trovato una loro rappresentanza politica nel miliardario Thaksin Shinawatra (primo ministro dal 2001-2006) e nel suo clan. Lui e la sorella Yingluck Shinawatra, al governo dal 2011, hanno introdotto ampi programmi di redistribuzione della ricchezza, che assicura loro la maggioranza elettorale.

 

 

– Per non perdere il loro potere a lungo termine, le vecchie élite sono ricorse a un putsch militare nel 2006, e al divieto di formazione di partiti.

– Il Partito Democratico (PD) tailandese è considerato espressione politica di queste élite, filo-occidentale in politica estera, liberista in politica economica,

 

– Nel 2010 il PD, allora al governo, ha fatto reprimere nel sangue le proteste di massa contro i suoi metodi; quasi 100 le vittime, secondo i dati ufficiali.

 

– Oggi esso incoraggia le proteste di massa per destituire il governo Shinawatra, eletto democraticamente; riaffiorano voci di colpo di Stato, come quello del settembre 2006, che ha destituito il primo ministro Thaksin Shinawatra.

– Uno dei capi delle proteste, l’ex vice-primo ministro Suthep Thauguban, a lungo membro del PD, ha dichiarato di voler sostituire il parlamento eletto con un “parlamento popolare”, che deve rappresentare tutti gli strati della popolazione. Non probabile che intenda farlo tramite elezioni, perché il PD non riuscirebbe ad avere una maggioranza.

– La Germania, come tutto l’Occidente, è legata alle vecchie élite tailandesi, sue alleate fedeli nella Guerra Fredda; negli anni Sessanta esse offrirono la Tailandia come base per la guerra contro il Vietnam.

– In Tailandia operano diversi gruppi tedeschi; il paese è uno dei maggiori mercati per le merci tedesche nel S-E asiatico, regione strategicamente importante nella competizione con la Cina. La Germania ha istituito un comitato economico misto tedesco-tailandese, che si riunisce regolarmente. I programmi sociali e di ridistribuzione non si adattano ai desiderata dell’industria tedesca.

– Da anni la fondazione tedesca Friedrich Naumann (FNS), vicina ai liberali della FDP, ha un importante ruolo di sostegno delle élite tailandesi, e del loro partito, il liberista PD, con il quale si consulta regolarmente. 

– Nel 2006 la FNS definì il putsch un male inevitabile; pur riconoscendo la non democraticità del putsch, definì non più democratico dei putschisti anche il governo democraticamente eletto a grande maggioranza. Per le sue attività in Tailandia la Fondazione riceve grossi finanziamenti (centinaia di migliaia di €) dal ministero tedesco per lo Sviluppo, nel quadro del programma di “promozione di democrazia, stato di diritto, pluralismo ed economia di mercato nell’Asia sudorientale ed orientale”.

– Interrogato sulla valutazione del putsch tailandese espressa dalla Friedrich Naumann, il governo tedesco ha ribadito la libertà di espressione della FNS, … , nel contesto del pluralismo in politica estera, rappresentato dalle fondazioni politiche tedesche all’estero …

– La Friedrich Naumann è intervenuta su una delle questioni più discusse attualmente in Tailandia, sulla questione del prezzo garantito del riso, deciso dal governo, che distorce la concorrenza e fa fuggire dal paese le società di export.

– La critica alla garanzia del prezzo del riso è un tema centrale delle proteste di massa in corso fomentate dalla PD, ed è condivisa da parti della piccola e media borghesia urbana di Bangkok.

 
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Deutschland im Inselstreit
04.12.2013
BERLIN/WASHINGTON/BEIJING

–                 (Eigener Bericht) – Ungeachtet der eskalierenden Spannungen in Ostasien kündigen deutsche Unternehmen neue Rüstungsexporte an Verbündete des Westens im Umfeld Chinas an. Wie die Kieler Werft HDW bestätigt, hat sie den Verkauf zweier U-Boote an Singapur beschlossen. Singapur gilt in den Inselstreitigkeiten in Ost- und Südostasien als zuverlässiger Partner des Westens.

–                 Einen Vorgeschmack auf die Konflikte, die sich in der gesamten Region abzeichnen, gibt in diesen Tagen der Streit um die Inselgruppe, die in China "Diaoyu", in Japan "Senkaku" genannt und von beiden Staaten beansprucht wird. Hintergrund sind wohl nicht so sehr Rohstoff- als vielmehr militärstrategische Interessen: Die Inseln sind Teil einer Inselkette, die Beijing als einen wichtigen Verteidigungsring gegen mögliche äußere Aggressionen betrachtet.

–                 In Berlin werden die jüngsten Spannungen, die deutsche Wirtschaftsinteressen zu tangieren drohen, mit Sorge registriert. Deutsche Rüstungsexporte in die Region sowie die zunehmende Kooperation der Bundeswehr mit Japan, Südkorea und weiteren Verbündeten des Westens lassen vermuten, dass Deutschland im Fall einer Konflikteskalation Partei ergreifen wird – gegen China.

Chinas erste Flugüberwachungszone

–                 Im aktuellen Inselstreit zwischen China und Japan halten die Spannungen weiter an. Beijing hat am 23. November erklärt, über dem Ostchinesischen Meer eine sogenannte Air Defense Identification Zone (ADIZ) einzurichten. Der Vorgang ist allgemein üblich; in der Region unterhalten auch Japan und Südkorea eigene Luftraumüberwachungszonen. Dennoch kommt Chinas erster ADIZ eine besondere Bedeutung zu, weil sie den Luftraum über einer umstrittenen Inselgruppe umfasst. Tokio erkennt die Zone daher nicht an und hat dies deutlich gemacht, indem es Militärflugzeuge ohne jegliche Ankündigung sie hat durchfliegen lassen. Die Vereinigten Staaten und Südkorea haben dasselbe getan. In Reaktion darauf hat China seine Luftwaffe in Alarmbereitschaft versetzt. Der Konflikt ist Gegenstand der Gespräche, die US-Vizepräsident Joe Biden in diesen Tagen auf seiner Ostasien-Reise führt.

Die Beschlüsse der Alliierten

–                 Zur völkerrechtlichen Beurteilung des Streits um die Inselgruppe, die auf Chinesisch "Diaoyu", auf Japanisch "Senkaku" genannt wird, hat sich kürzlich der Politikwissenschaftler Shaocheng Tang in einer Publikation der Hanns-Seidel-Stiftung geäußert. Weder Tang, der in Taipei (Taiwan) arbeitet, noch die CSU-nahe Seidel-Stiftung können besonderer Sympathien für die Volksrepublik verdächtigt werden. Tang konstatiert, dass die Inselgruppe bereits in den Zeiten der Qing-Dynastie (1644-1911) zu China gehörte und erst 1895 von Japan annektiert wurde – nach der chinesischen Niederlage im Ersten Japanisch-Chinesischen Krieg (1894/95).

–                 Eine Konsequenz aus den Aggressionen Japans im Zweiten Weltkrieg war es, dass Tokio Territorien zurückgeben musste, die es zuvor erobert hatte – ganz wie Deutschland. Entsprechende Festlegungen finden sich in der "Kairoer Erklärung" der Alliierten vom 27. November 1943 und in ihrer "Potsdamer Erklärung" vom 26. Juli 1945, erläutert Tang. Auf die Beschlüsse der Alliierten beruft sich China bis heute, während Japan sie schlicht nicht anerkennt.[1]

Die erste Inselkette

–                 Jenseits der völkerrechtlichen Beurteilung liegt die besondere Bedeutung der Inseln wohl weniger im Fischreichtum ihrer Gewässer oder in den Erdöl- und Erdgaslagerstätten in ihrer Nähe als vielmehr in militärstrategischen Aspekten. Wie das German Institute of Global and Area Studies (GIGA) exemplarisch festhält, kommt den "auf halber Strecke" zwischen China und Japan liegenden Inseln eine "entscheidende geostrategische Bedeutung" zu:

–                 "Von hier aus lassen sich große Teile der Schifffahrtswege kontrollieren, auf denen knapp 90 Prozent der Öl- und Gaslieferungen nach China und Japan verschifft werden". Des weiteren spielt die Inselgruppe "in Chinas sicherheitspolitischer Doktrin (…) eine zentrale Rolle im Konzept der ‘Ersten Inselkette’ vor dem chinesischen Festland", die "eine Art maritimes Frühwarnsystem bilden soll" – gegen äußere Aggressionen. "Japan könnte mit der Souveränität über die Diaoyu/Senkaku-Inseln nicht nur die ‘Erste Inselkette’ sprengen, sondern darüber hinaus Chinas Zugang zum Pazifik blockieren", konstatiert das GIGA.[2] Die wirtschaftlichen und politischen Folgen für die Volksrepublik liegen auf der Hand.

Auswirkungen auf Deutschland

–                 Die aktuelle Eskalation, die erstmals das militärische Potenzial des Konflikts offen zutage treten lässt, betrifft in mehrfacher Hinsicht deutsche Interessen – zunächst ökonomische. "Wenn es irgendwo in der Region kracht (…), hätte das gravierende Auswirkungen für die deutsche Wirtschaft", erläutert die China-Spezialistin Gudrun Wacker von der Berliner Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP):

–                 Schließlich werde der gesamte Warenhandel Europas mit Ostasien "über diese Schifffahrtsrouten" abgewickelt.[3]

–                 Wegen der großen ökonomischen Bedeutung Chinas sprechen sich Kräfte aus der deutschen Industrie und manche Außenpolitik-Strategen ohnehin dafür aus, eine enge Kooperation mit der Volksrepublik zu suchen [4]; ihnen kommen die jüngsten Spannungen gar nicht recht.

 

–                 Gleichzeitig aber drohen Maßnahmen, die Berlin in jüngster Zeit gemeinsam mit seinen westlichen Bündnispartnern eingeleitet hat, durch die Eskalation eine Eigendynamik zu entfalten. Dabei handelt es sich um Maßnahmen zur "Eindämmung" der erstarkenden Volksrepublik.

Militär- und Rüstungskooperation

–                 So hat die Bundesregierung nicht nur begonnen, die ökonomische und politische Zusammenarbeit mit diversen Staaten Südostasiens zu forcieren; sie intensiviert darüber hinaus – jüngstes Beispiel ist die jetzt bestätigte U-Boot-Lieferung an Singapur [5] – auch die militärische, die militärpolitische und die rüstungswirtschaftliche Kooperation.[6]

–                 Gleiches gilt für die Zusammenarbeit mit Japan. Berlin hat vergangenes Jahr Rüstungsexporte an Japan im Wert von 13 Millionen Euro genehmigt; auch die Zusammenarbeit mit den Streitkräften des Landes wird intensiviert (german-foreign-policy.com berichtete [7]).

–                 Zuletzt plädierten Berliner Regierungsberater ausdrücklich für eine engere Kooperation zwischen Tokio und der NATO, Deutschland eingeschlossen.[8]

–                 Wie ein Blick in die Rüstungsexportberichte der Bundesregierung zeigt, rangiert zudem Südkorea spätestens seit 1999 – damals wurde der erste offizielle Bericht publiziert – fast immer unter den Top 10 auf der Rangliste der Empfänger deutschen Kriegsgeräts. 2002 und 2008 stand es sogar vor den USA auf Platz eins. Selbstverständlich kooperiert auch die Bundeswehr eng mit Südkorea – auf zahlreichen Feldern von der Luftwaffe bis zur Marine.

Konfliktpartei

–                 Obwohl Südkorea selbst Territorialstreitigkeiten mit Japan hat und dessen Politik wegen Tokios früherer Aggressionen mit erheblicher Skepsis betrachtet, hat es nun klargestellt, dass es im Streit um die Diaoyu-Inseln auf der Seite des westlichen Kriegsbündnisses und dessen japanischen Partners steht.

–                 Sollte der Konflikt weiter eskalieren, was beide Seiten zwar wohl nicht wünschen, was aber etwa bei einem ungewollten Zusammenstoß zweier Kampfflieger jederzeit möglich ist, dann stünden drei enge Verbündete Berlins Beijing feindlich gegenüber. In einer solchen Konfliktkonstellation würde die Bundesrepublik wohl rasch für ihre Verbündeten in Washington, Tokio und Seoul Partei ergreifen.

Weitere Berichte und Hintergründe zur Thematik finden Sie hier: Ein Feuerring um China, Der wankende Hegemon, Wettrüsten auf See, Dimensionen des Kalten Krieges, China zerschlagen (II), Ein Feuerring um China (II), Die Vorwärtsverteidigung des Westens, Chinas Lebenslinien (I), Konfliktzonen der Zukunft und Die Thukydides-Falle.

[1] Shaosheng Tang: Der Streit um die Diaoyutai-/Senkaku-Inseln, in: Politische Studien Nr. 451, September/Oktober 2013. S. dazu Zwischen den USA und China

[2] Oliver Müsa, Anna Yumi Pohl, Nadine Godehardt: Inselstreit zwischen Japan und China gefährdet die regionale Stabilität in Ostasien, GIGA Focus Asien Nummer 12/2012

[3] "China hat kein Interesse an einem Krieg"; www.n-tv.de 28.11.2013

[4] s. dazu Gestalten statt verhindern, Im Dialogmodus, Deutschlands neue Rolle und Exporte in Gefahr

[5] Milliarden-Auftrag aus Singapur; Kieler Nachrichten 03.12.2013

[6] s. dazu In Chinas Einflusszone (I), Die Pax Pacifica (II) und Die Pax Pacifica (III)

[7] s. dazu Bündnis mit Tradition

[8] s. dazu Zwischen den USA und China

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Deutschlands außenpolitischer Pluralismus
02.12.2013
BANGKOK/BERLIN

–                 (Eigener Bericht) – Ein enger Kooperationspartner der Friedrich-Naumann-Stiftung (FDP) forciert in Thailand die Proteste zum Sturz der demokratisch gewählten Regierung. Die Democrat Party (DP), die seit vielen Jahren von der Naumann-Stiftung unterstützt wird, treibt die Demonstrationen und die Besetzung von Ministerien und Polizeistationen mit Macht voran.

–                 Sie gilt als maßgeblicher politischer Arm der traditionellen Eliten des Landes, steht außenpolitisch für Zusammenarbeit mit dem Westen und handelt seit je wirtschaftsliberal gemäß den Interessen auch der deutschen Industrie.

–                 Die DP sieht ihre Stellung langfristig durch die Regierung von Yingluck Shinawatra bedroht, die mit Umverteilungsprogrammen zugunsten verarmter Bevölkerungsteile den Interessen der Elite zuwiderhandelt, sich damit jedoch klare Mehrheiten bei demokratischen Wahlen sichert.

–                 Entsprechend setzt der Naumann-Partner DP auf Massenproteste; Putschgerüchte machen zum wiederholten Male die Runde. Bereits vor Jahren hat die Naumann-Stiftung den Militärputsch in Bangkok vom September 2006, der in ähnlicher Lage Ministerpräsident Thaksin Shinawatra aus dem Amt entfernte, als ein "notwendiges Übel" eingestuft. Die Stiftung hat für ihre Thailand-Aktivitäten große Summen aus dem Haushalt des Bundesentwicklungsministeriums erhalten.

Elite ohne Mehrheit

–                 Hintergrund der Unruhen in Thailand sind soziale Konflikte, die seit mehr als zehn Jahren immer wieder zu heftigen politischen Erschütterungen führen.

–                 Die traditionelle Elite, die das Land in enger Verbundenheit mit dem Königshaus stets unangefochten kontrollierte, sieht sich seit Jahren von den breiten verarmten Spektren der thailändischen Bevölkerung herausgefordert.

–                 Diese haben in dem Milliardär Thaksin Shinawatra und seinem Clan eine politische Vertretung gefunden: Thaksin (Ministerpräsident von 2001 bis 2006) und seine seit 2011 regierende Schwester Yingluck Shinawatra haben umfangreiche Sozialprogramme gestartet, die ihnen bei demokratischen Wahlen regelmäßig sichere Mehrheiten bescheren.

 

–                 Die traditionelle Elite hat bei ihren Bemühungen, einen langfristigen Machtverlust zu verhindern, in den vergangenen Jahren immer wieder zu Instrumenten wie einem Militärputsch (2006) oder Parteiverboten gegriffen.

–                 2010 hat die damalige Regierung der Democrat Party (DP), des stärksten politischen Arms der traditionellen Elite, Massenproteste gegen ihr wenig demokratisches Vorgehen blutig niederschlagen lassen. Dabei kamen nach offiziellen Angaben fast 100 Menschen zu Tode.[1]

Partner der Naumann-Stiftung

–                 Die Bundesrepublik ist prinzipiell – wie die westlichen Staaten insgesamt – der alten Elite Thailands eng verbunden, die sich in der Zeit der Systemkonfrontation stets als zuverlässiger Verbündeter erwiesen hat und das Land in den 1960er Jahren sogar als Stützpunkt für den Vietnam-Krieg zur Verfügung stellte.

–                 Im Rahmen der Arbeitsteilung unter den Vorfeldorganisationen der deutschen Außenpolitik kam in den vergangenen Jahren der FDP-nahen Friedrich-Naumann-Stiftung eine wichtige Rolle bei der Unterstützung der traditionellen thailändischen Elite zu, da die Democrat Party den (wirtschafts-)liberalen Netzen zugerechnet wird; sie gehört der "Liberalen Internationalen" an. Die DP wird von der Naumann-Stiftung offiziell als "politische Partnerpartei" eingestuft. Die FDP-Organisation unterstützt die DP und stimmt sich regelmäßig mit ihr ab. Im März etwa führte sie unter dem Titel "Meet and Greet" ein Vernetzungstreffen durch, zu dem neben DP-Funktionären auch Mitarbeiter des Justizministeriums, des Obersten Gerichtshofes sowie der Wahlkommission geladen wurden. Es seien "die Aktivitäten des vergangenen Jahres reflektiert", "Synergien für die künftige Zusammenarbeit identifiziert" und die weitere "Zusammenarbeit mit der Stiftung" geplant worden, teilt die Stiftung mit.[2]

Keine Umverteilung!

–                 Bei der Kooperation der Naumann-Stiftung mit der DP geht es um unterschiedliche Belange – auch um ökonomische. In Thailand sind zahlreiche deutsche Unternehmen aktiv; das Land gehört zu den bedeutenden Abnehmern deutscher Exporte in Südostasien, einer geostrategisch – im Einflusskampf gegen China – höchst bedeutenden Region.

–                 Die Bundesregierung hat, um dieser Tatsache Rechnung zu tragen, unter anderem einen regelmäßig tagenden "Deutsch-Thailändischen Gemeinsamen Wirtschaftsausschuss" installiert.

–                 Sozialprogramme und Umverteilungsmaßnahmen der Regierung Yingluck Shinawatra entsprechen dabei nicht den neoliberalen Wünschen der deutschen Industrie. Diese werden beispielsweise von der Naumann-Stiftung vorgetragen. "Die Wohlfahrt einer Nation entsteht aus wirtschaftlichem Erfolg, nicht aus populistischen Umverteilungsversprechungen", erklärte der Stiftungs-Regionalbüroleiter für Südost- und Ostasien, Rainer Adam, Ende 2012 auf einer von der Stiftung mitorganisierten Tagung in Hongkong, bei der auch der DP-Vorsitzende Abhisit Vejjajiva zugegen war.[3]

–                 Exemplarisch hat die Naumann-Stiftung in einer der umstrittensten Fragen der aktuellen thailändischen Politik interveniert – im Streit um garantierte Abnahmepreise für Reis, die die Regierung Yingluck Shinawatra zugunsten ihrer verarmten Klientel beschlossen hat. Die Maßnahme werde unter anderem zur "Verzerrung des Wettbewerbs" und zur "Abwanderung von Exportunternehmen" führen, beschwert sich die FDP-Organisation.[4]

Ein entspannter und gemütlicher Putsch

–                 Kritik an den Abnahmepreisgarantien gehört zu den zentralen Themen der aktuellen Proteste, die in besonderem Maße von der DP forciert und von Teilen der aufstrebenden urbanen Mittelschichten in Bangkok mitgetragen werden.

–                 Zur Einschätzung der Proteste muss daran erinnert werden, dass die traditionelle Elite im September 2006 zum Mittel des Putschs und anschließend auch zu Parteiverboten griff, um sich und (ab 2008) der DP die Macht zu sichern. Von der Naumann-Stiftung wurden die Maßnahmen stets gedeckt. "Wenn das ein Staatsstreich sein" solle, dann sei es ein "entspannter und gemütlicher" Putsch, schrieb eine Mitarbeiterin der Stiftung nach der Machtübernahme der Generäle im September 2006.

 

–                 Zwar müsse sie "als Politologin sagen, dass ein Militärputsch undemokratisch ist", doch sei die gewaltsam gestürzte Regierung Thaksin – sie war mit klarer Mehrheit bei regulären Wahlen ins Amt gelangt – "auch nicht demokratischer" als das Putschregime gewesen. Auf einer Flipchart-Präsentation der Naumann-Stiftung in Thailand war ein Jahr später zu lesen, der Putsch sei als "notwendiges Übel" einzustufen ("Coup d’état: ‘necessary evil’"). Ein von der Stiftung verbreitetes Foto zeigt den damaligen Leiter ihres Bereiches Internationale Politik, Harald Klein, bei der Vorstellung der Flipchart-Präsentation (german-foreign-policy.com berichtete [5]). Klein stieg Anfang 2010 zum Abteilungsleiter im Bundesministerium für wirtschaftliche Zusammenarbeit und Entwicklung auf; er amtiert mittlerweile als Generalkonsul der Bundesrepublik Deutschland in Rio de Janeiro.

Gute Regierungsführung

–                 Offiziell gibt die Naumann-Stiftung an, ihre Außenstelle in Thailand sei "in den Bereichen der Demokratieförderung und politischen Bildung" tätig; "allgemeines Ziel der Aktivitäten" sei es, "das Verständnis der thailändischen Bevölkerung für Demokratie, Freiheit und individuelle Rechte zu stärken".[6]

–                 Dazu wird sie spätestens seit dem Jahr 2000 vom Bundesentwicklungsministerium im Rahmen des Programms "Förderung von Demokratie, Rechtsstaat, Pluralismus und Marktwirtschaft in Südost- und Ostasien" unterstützt – mit mittleren bis hohen fünfstelligen Eurobeträgen pro Jahr. Die DP ist weiterhin ihre bevorzugte thailändische Partnerpartei.

–                 Die Bundesregierung bestätigt auf die Frage, wie sie zur Bewertung des Putschs durch die Stiftung ("entspannt und gemütlich") stehe: "Im Rahmen des außenpolitischen Pluralismus, den die deutschen politischen Stiftungen im Ausland bewusst darstellen, steht es auch der FNF ("Friedrich-Naumann-Stiftung für die Freiheit", d. Red.) frei, Stellungnahmen zum innenpolitischen Geschehen im jeweiligen Gastland abzugeben". "Gute Regierungsführung schafft die Bedingungen für Freiheit und steht daher im Mittelpunkt entwicklungspolitischer Bemühungen der Bundesregierung", heißt es weiter.[7]

Putsch und Ständeparlament

–                 Der Naumann-Partner DP treibt unterdessen die Proteste weiter an und zielt erklärtermaßen auf den Sturz der mit klarer Mehrheit demokratisch gewählten Regierung. Demonstranten haben in offenkundig strategisch geplanten Aktionen diverse Gebäude der Regierung, der Polizei und des Militärs gestürmt.

–                 Einer der rund 1.000 Demonstranten, die das Armeehauptquartier in der Hauptstadt besetzten, wird mit den Worten zitiert: "Wir wollen wissen, auf welcher Seite die Armee steht".[8]

–                 Einer der maßgeblichen Protest-Anführer, der einstige stellvertretende Ministerpräsident Suthep Thaugsuban, hat letzte Woche angekündigt, das demokratisch gewählte Parlament durch ein "Volksparlament" ("People’s Parliament") ersetzen zu wollen, das "alle Schichten der Bevölkerung" repräsentieren soll.[9] Dass es per Wahl bestimmt würde, kann als unwahrscheinlich gelten – eine Mehrheit für die DP wäre damit aller Voraussicht nach nicht zu erreichen.

–                 Parteigänger räumen entsprechend ein, dass der Vorschlag auf einen klaren Bruch mit demokratischen Prinzipien hinausläuft. Sein Urheber Suthep Thaugsuban gehörte lange dem Naumann-Kooperationspartner DP an; erst vor kurzem gab er sein DP-Parlamentsmandat zurück – um als Anführer der Proteste die Gegner der Regierung unbeschadet von Parteistreitigkeiten hinter sich scharen zu können.

Weitere Berichte und Hintergrundinformationen zur deutschen Thailand-Politik und der Rolle der Friedrich-Naumann-Stiftung dort finden Sie hier: Freunde der Monarchie, Das Netzwerk Monarchie, Ein entspannter und gemütlicher Putsch, Nach dem Blutbad, Notwendige Übel und Machtexzesse.

[1] s. dazu Freunde der Monarchie, Das Netzwerk Monarchie und Nach dem Blutbad

[2] Meet and Greet Thailand 2013; www.freiheit.org 11.03.2013

[3] Wirtschaftliche Freiheit und Wohlfahrtspopulismus; www.freiheit.org 23.11.2012

[4] Jan Seidel, Rainer Adam: Thailand: Agrarpolitik in der Sackgasse. Hintergrundpapier der Friedrich-Naumann-Stiftung Nr. 11/2013

[5] s. dazu Ein entspannter und gemütlicher Putsch und Notwendige Übel

[6] Thailändische Stiftungspartner in Deutschland; www.freiheit.org 10.07.2012

[7] Deutscher Bundestag, Drucksache 17/2670, 23.07.2010

[8] Demonstranten in Thailand besetzen Armeezentrale; Frankfurter Allgemeine Zeitung 30.12.2013

[9] ‘People’s parliament’ plan stirs cheers, jeers; www.bangkokpost.com 28.11.2013

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