SWP (Stiftung Wissenschaft und Politik) luglio 2013
– Nell’ultimo decennio dell’era Mubarak, alcuni grandi imprenditori avevano ottenuto il controllo di gran parte dell’economia, entrando così a far parte dell’élite politica.
– Caduto il regime Mubarak nel 2011, questa élite imprenditoriale è finora riuscita a mantenere la preminenza economica, e un rilevante ruolo politico.
– Pochi di essi hanno subito processi, la maggior parte ha tratto profitto dal sostanziale perdurare di corruzione, mal-gestione del Consiglio militare superiore, e di opacità e illegalità.
– I Fratelli Musulmani (FM) hanno seguito le linee economiche dell’era Mubarak, crescita basata sull’economia privata, favorevole ai grandi gruppi; continuità anche nella formula politica: mancanza di trasparenza e di coinvolgimento di altri attori. Essi hanno cercato l’alleanza di questa élite imprenditoriale, e favorendo accordi extragiudiziari con essa, anziché far luce sui suoi precedenti comportamenti scorretti – e di cooptarla nella propria rete di potere.
– Tentativo – iniziato già prima della vittoria elettorale di Morsi nel 2012 –sostanzialmente fallito, come pure è fallito il tentativo di alcuni dei FM di accrescere in modo sostanziale le proprie attività economiche.
– La maggior parte dei grandi imprenditori non si era mai fidata dell’islam politico – sfiducia accresciuta durante la presidenza Morsi – e ha appoggiato il movimento di opposizione, tramite i media e il finanziamento di partiti e uomini politici.
– Il conflitto con parte dei grandi imprenditori non ha consentito ai FM di consolidare il potere conquistato elettoralmente.
– Nche hanno preceduto la deposizione di Morsi con il putsch militare del luglio 2013, hanno lavorato per minare il potere politico dei FM una serie di gruppi di interesse – in particolare gran parte dei grandi imprenditori e i militari.
– Non è per ora dato sapere in quale misura i grandi imprenditori abbiano partecipato direttamente al putsch o alla sua preparazione, anche se è noto l’appoggio finanziario e logistico dato ad es. da Naguib Sawaris al movimento Tamarrod (Ribellione), che ha raccolto sottoscrizioni contro Morsi e oraganizzato le proteste di massa a fine giugno.
– I grandi imprenditori si sarebbero consultati poco prima del putsch con comandanti militari; l’indice della Borsa egiziana ha risposto alla caduta di Morsi con un aumento di oltre il 12% nella settimana seguente;
– anche la composizione del governo di transizione riflette gli interessi dei grandi imprenditori: il primo ministro Beblawi, liberista e il suo vice, Ziad Bahaa-Eldin, a capo dell’Autorità per gli investimenti e poi dell’Autorità di controllo finanziario con Mubarak ed ora il ministro per la Cooperazione internazionale;
– soprattuto poi l’industriale Mounir Fakhr Abdel Nour, ministro del Turismo nel governo dello Scaf (2011/2012) e ora ministro dell’Industria.
– Al-Nour aveva diretto l’ECES, l’Istituto di ricerca che aveva preparato le riforme economiche dell’ultimo decennio Mubarak,
– come pure Ahmed Galal, economista della BM, direttore di ECES (1996-2006) e ora nuovo ministro delle Finanze.
– Si può prevedere che anche nel dopo Morsi i grandi imprenditori mantengano una forte influenza, dato che nel governo di transizione sono rappresentati politici e tecnocrati vicini all’imprenditoria.
– Germania e UE devono tenere conto, al di là della turbolenza in atto, che l’influenza politica dei grandi imprenditori andrà aumentando; nel passato ciò avuto un riflesso negativo sulle riforme economiche, impedendo la libera concorrenza: corruzione e arricchimento di singoli sono state la conseguenza di riforme istituzionali da cui ha tratto profitto solo una piccola parte degli imprenditori, che sono riusciti ad ottenere un quasi monopolio in diversi settori economici, e puntato solo alla crescita compromettendo l’equilibrio sociale della politica economica, mentre il regime Mubarak aveva cercato di contenere le proteste sociali, anche se con un sistema di sovvenzioni costoso e inefficiente.
– Germania e UE devono sollecitare ed appoggiare con incentivi finanziari una riforma dei regolamenti economici (maggiore trasparenza del settore statale, ad es. nell’assegnazione delle commesse, nelle privatizzazioni e nella vendita di terreni), e la creazione di un sistema fiscale equo ed una amministrazione fiscale efficiente, che consenta una politica di ridistribuzione attiva dello Stato, per rendere più efficace lo sviluppo economico.
– Le proteste che nel 2011 portarono al crollo del regime Mubarak erano sia contro la repressione politica e l’arbitrio statale, ma anche contro l’ingiustizia sociale e la corruzione dilagante, contro il “capitalismo clientelare” e il potere delle potenti famiglie imprenditoriali
– Nel decennio precedente, le élite imprenditoriali egiziane (chiamate popolarmente “gatti grassi”) avevano ampiamente tratto profitto dalla politica di privatizzazione, partecipando direttamente ai processi decisionali: dal 2000 molti imprenditori avevano ricoperto importanti cariche politiche.
– Si erano create fratture nel sistema di potere: soprattutto i militari erano contrari all’aumentata influenza di alcuni grandi imprenditori.
– Nell’era Mubarak lo sviluppo economico (PIL +6% medio nel 2005-2008) ha ampliato il divario ricchi-poveri, non sono migliorate le condizioni di vita, ed è anzi aumentata la quota dei poveri soprattutto nelle campagne.
– nel 2005 il 20% della popolazione viveva sotto la metà della soglia di povertà, nel 2008 questa quota era salita al 22%. (dati BM, 2012);
– mentre una ristretta élite di imprenditori aveva il controllo dell’economia del paese.
– A fine anni Settanta, Anwar al-Sadat aveva migliorato le condizioni per gli imprenditori privati con la sua politica di apertura economica (Infitah), politica proseguita da Mubarak in modo limitato negli anni Novanta, con un’accelerazione nel 2004-2008, quando le privatizzazioni furono più del doppio di quelle dei 10 anni precedenti; la quota del privato nell’occupazione aumentò di 10 punti percentuali, giungendo al 73%, la sua quota negli investimenti ebbe una quasi raddoppio, giungendo al 62%.
in grigio, quota di occupati;
lineette, quota del PIL;
in nero, quota di investimenti
[link per il grafico: http://www.swp-berlin.org/fileadmin/contents/products/studien/2013_S14_rll.pdf]
– La quota del privato sul PIL rimase invece uguale, ma l’andamento del PIL è poco significativo dato che il settore pubblico trae profitti soprattutto dal canale di Suez e dalla produzione di materie prime, molto dipendenti dall’andamento dell’interscambio commercio internazionale e dai prezzi di gas e petrolio.
– Nel privato si ebbe una forte concentrazione di capitali, derivante dalle privatizzazioni: ad inizio anni Ottanta non esisteva nessun grande gruppo privato, a fine era Mubarak i gruppi privati erano predominanti in diversi settori. Un piccolo gruppo di persone o famiglie acquisì il controllo di una grossa quota dell’economia egiziana. Si calcola che a fine 2010 almeno 21 famiglie avessero un patrimonio netto superiore ai $100milioni;
– alcune di esse avevano patrimoni miliardari, al primo posto i Sawiris con circa $11MD nel 2012, e i tre fratelli Mansour, con oltre $6MD(Forbes).
– Nel 2008 11 famiglie di imprenditori controllavano oltre il 30% della capitalizzazione di mercato nella Borsa egiziana EGX. Le poche grandi imprese private avevano per lo più una posizione di quasi monopolio nei rispettivi settori, ad es. Gruppo EZZ nell’acciaio, Ghabbour Auto nell’auto, Juhayna Food Ind. nel caseario.
– Legati a questi pochi oligarchi numerosi subappaltatori e manager di grandi gruppi privati: nel 2011 490 famiglie avevano patrimoni netti di almeno $30 milioni, per un totale di oltre $65 mn.
– All’inizio delle rivolte, inizio 2011, le élite imprenditoriali egiziane comprendevano, secondo la ricchezza personale, diverse centinaia di famiglie e singoli individui (si assume come criterio di appartenenza un valore di $30mn. per individuo).
– Alcune imprese riuscirono a costruire imperi economici anche grazie alla diffusa corruzione nella vendita dei gruppi statali e nell’assegnazione delle commesse pubbliche. Ad ogni modo, nel 2006, solo lo 0,1% delle imprese aveva più di 100 addetti.
– La posizione predominante in campo economico ha consentito a queste élite di occupare una posizione politica rilevante, occupando importanti ministeri:
– ad es. Rachid Mohammed Rachid, partner locale del gruppo int. Unilever, o Mohammed Mansour, il cui gruppo a conduzione famigliare è il maggior partner internazionale di GM; oppure posti importanti in parlamento e nel partito nazional-democratico, come il magnate dell’acciaio, Ahmed Ezz – il cui conglomerata ha una posizione di quasi monopolio del settore – che è stato presidente della commissione bilancio della camera e membro di tutti i comitati direttivi del partito di governo.
– Molti grandi imprenditori hanno preferito esercitare un’influenza indiretta (rapporti di affari con i politici, investimenti nei media egiziani e adesione ad organizzazioni economiche e di interesse) evitando l’impegno politico diretto.
– L’esempio più evidente di questo tipo di influenza è quello del copto Sawiris, la cui famiglia è la più ricca del paese (edilizia, turismo e tlc):
– Un’importanza particolare assunse l’Egyptian Center for Economic Studies (ECES), istituto di ricerca economica fondato a metà Novanta da diversi grandi imprenditori, e nel 2011 sostenuta finanziariamente (oltre $10mn) dall’americana Agency for International Development che elaborò le basi per una riforma economica neoliberale.
– Tra i fondatori di ECES, Gamal Mubarak, figlio di Hosni Mubarak, dato per suo successore a fine Novanta e legato ai grandi imprenditori, ma non ai militari.
– Fu Gamal Mubarak a elaborare nel partito di governo (NDP) la nuova linea economica liberista unita ad uno Stato forte.
– Gamal inserì numerosi imprenditori negli esecutivi del partito da lui presieduti;
– nel 2005, 6 ministri del governo di Ahmed Nazif (2004-2011) erano noti imprenditori legati a Gamal Mubarak.
– Questi legami suscitarono l’opposizione di altre frazioni politicamente rilevanti: la burocrazia ma soprattutto gli ufficiali temettero di perdere i propri privilegi e il controllo delle attività economiche dal nuovo ristretto strato di imprenditori che stavano arricchendosi.
– Da fine Settanta i militari avevano accresciuto il loro impegno nella società civile, impegno non esattamente quantificabile. Si calcola che i militari controllassero dal 5 al 15% del PIL egiziano, anche in competizione con i gruppi privati:
– un esempio il mercato dell’acqua minerale, Safi, il marchio dei militari, compete con le acque minerali di Nestlé, PepsiCo, e produttori locali, come Hayat, marca del gruppo Mansour.
– Ma soprattutto per l’acquisto di terreni, costruzione di nuovi edifici o investimenti turistici i gruppi privati dipendono dai militari che hanno il diritto di veto sulla privatizzazione dei terreni agricoli, possono confiscare in qualsiasi momento terreni pubblici per motivi di sicurezza nazionale.
– Nei decenni si è creata una rete tra i militari e vari grandi imprenditori, che fungono da consulenti o erogano servizi in relazione al settore armamenti.
– Un esempio è Shafiq Gabr, uomo d’affari con legami internazionali: tramite la sua conglomerata Artoc Group rappresenta numerose imprese internazionali in Egitto e rifornisce i militari. I gruppi dei militati hanno creato alleanze con grandi gruppi esteri, in cui sono presenti anche grandi imprenditori privati egiziani:
– ad es. il gruppo Kharafi (Kuwait), che opera in Egitto con una serie di imprese di subappalto, dal 2001 ha ampliato le joint venture con i militari egiziani, attività avviate dall’amministratore delegato egiziano del gruppo, Moataz al-Alfi, uno dei dirigenti economici politicamente più influenti legati a Gamal Mubarak. Si presume che il partito di governo NDP riceva generose donazioni dal gruppo Kharafi.
– A fine gennaio 2011, pochi giorni dopo l’inizio delle proteste di massa contro il regime Mubarak il gruppo di potere attorno a Hosni Mubarak cercò un capro espiatorio da accusare della precarietà socio-economica avviando una serie di procedimenti contro per guadagni illeciti alcuni grandi imprenditori (262, famigliari compresi), con accuse di corruzione e abuso d’ufficio, vennero emessi divieti di espatrio contro diversi di essi (molti riuscirono a fuggire, con famigliari e patrimoni; un esempio tra tutti l’imprenditore Hussein Salem, che controllava il commercio del gas tra Egitto e Israele, sarebbe fuggito a Dubai con $500mn.).
– Secondo la Banca per i regolamenti internazionali le passività delle banche estere verso i cittadini egiziani aumentarono di oltre $6MD nel solo 1° trimestre 2011.
– In un primo momento anche il Consiglio militare supremo (SCAF), al governo fino alla nomina di Morsi, intensificò i procedimenti contro queste élite imprenditoriali: vennero incarcerati o emesso l’ordine di ricerca l’ex ministro all’edilizia Ahmed al-Maghrabi, l’ex ministro al Turismo Zuheir Garana e il magnate della siderurgia Ahmed Ezz. Venne pubblicata una lista nera di colpevoli, che non potevano più disporre liberamente dei propri averi. Con le dimissioni forzate di Mubarak, l’11 febbraio 2011, fu chiaro il fallimento di questa strategia. Inoltre, in un anno e mezzo vennero perseguiti giudizialmente, per motivi vari, solo 29 dei 597 casi. Oltre a Rachid Mohammed Rachid, Ahmed al Maghrabi, Ahmed Ezz e Hussein Salem vennero condannati al carcere solo 4 delle 21 famiglie di grandi imprenditori, condanne che a luglio 2013 non sono ancora esecutive.
– Lo SCAF approfittò della situazione per saldare vecchi conti con diversi grandi imprenditori, con cui i militari si trovavano in competizione. Vennero però spesso salvaguardate le strutture dei partner in affari, ad es. nel caso del gruppo Kharafi.
– Ad inizio 2012 lo SCAF integrò la legge sugli investimenti inserendo la possibilità di un accordo extragiudiziario per evitare una condanna per atti criminali, come appropriazione indebita di fondi pubblici, corruzione e reati fiscali.
– Una compensazione finanziaria risolve ad esempio contratti di compravendita illegali, o casi di corruzione. Il primo grande imprenditore che ne ha approfittato è stato Yassim Mansour, del gruppo Mansour, pagando $40mn. per risolvere diversi procedimenti in corso.
– Del procedimento non è incaricata una commissione indipendente ma l’Autorità generale per gli investimenti, che ha il compito di favorire gli investimenti e che non ha quindi interesse a scontrarsi con chi investe …
– Inoltre questa specie di amnistia non riguarda solo violazioni passate, ma anche future…
– La caduta di Mubarak ha avuto un impatto soprattutto sull’influenza politica dell’élite imprenditoriale; nel governo formato da SCAF (febbr. 2001-ag.2012) c’era uno solo dei suoi rappresentanti, Mounir Fakhry Abdel Nour.
– Permane nell’economia egiziana la supremazia delle élite imprenditoriali stabilite.
– I grandi gruppi hanno subito le conseguenze economiche della rivolta, in forma di scioperi e interruzioni di produzione, ma diversamente dalle PMI, i grossi gruppi sono riusciti in parte a compensare le perdite in Egitto con gli affari all’estero, e a superare la crisi con i loro margini finanziari.
– I FM erano la forza di opposizione meglio organizzata nell’era Mubarak, ma la vittoria elettorale non era data per scontata; con il partito da essi fondato “Giustizia e Libertà” (FJP) riuscirono ad ottenere una vittoria alle parlamentare di fine 2011 (oltre il 40% dei voti), mentre alle prime presidenziali del maggio-giungo 2012 Morsi venne eletto solo al secondo turno, e il referendum su una nuova Costituzione la vittoria elettorale ottenne il 60%, con una partecipazione però inferiore ad 1/3;
– nei centri urbani e I FM non riuscirono ad avere una maggioranza.
– I FM compresero che il futuro consenso elettorale sarebbe stato assicurato solo miglioramenti in campo economico; essi cercarono di coinvolgere gli imprenditori nella trasformazione economica del paese.
Nella primavera del 2011 i dirigenti dei FM incaricarono Kheirat al-Shater di elaborare il programma elettorale di Morsi e del partito FJP.
– Entrambi i programmi non si differenziano in modo sostanziale da quello del vecchio regime; le divergenze riguardano solo punti specifici. Non si prospetta l’abbandono della politica a favore dell’economia privata, alla quale viene anzi assegnato un ruolo centrale per lo sviluppo economico del paese, assieme al mantenimento di un forte settore statale; vengono però annunciate modifiche nella privatizzazione dei gruppi pubblici, per favorire nuovi investimenti.
– Non si prevede neppure la creazione di un sistema economico islamico, ad es. con l’introduzione di un sistema bancario islamista, con cui imporre il divieto di interessi (vietato dal Corano), che sarebbe andato contro gli interessi egli investitori eteri, ma anche le élite imprenditoriali egiziani.
– Non si prevede una redistribuzione della ricchezza con una riforma del sistema fiscale, che toccherebbe in particolare l’imprenditoria egiziana. Non viene dato un peso particolare alla lotta alla povertà e al sostegno agli strati popolari svantaggiati; si parla sì di forte aumento delle attività statali, sottolineando al contempo l’importanza di fondazioni e organizzazioni di beneficienza.
– Si ribadisce l’importanza per lo sviluppo delle infrastrutture delle partnership pubblico-privato, introdotte con Mubarak e molto criticate.
– Al-Shater, lui stesso grande imprenditore e vice-leader spirituale dei FM rilasciato dal carcere dal consiglio militare solo a marzo, amministrava dal 2000 le finanze dei FM, era divenuto uno dei loro esponenti più potenti. Era stato proposto come candidato alle presidenziali, ma a causa della condanna subita durante il regime Mubarak, la commissione elettorale aveva respinto la proposta; il suo posto venne preso da Morsi, che era poco conosciuto tra la gente.
– Tramite al-Shater tra i quadri dirigenti dei FM acquisirono influenza gli imprenditori liberisti,
– tra questi Hassan Malek, socio di lunga data di al-Shater e membro della influente famiglia a-Haddad di Alessandria. (Gehad al-Haddad divenne uno dei 5 membri del direttivo del progetto Nahda (Progetto Rinascimento); suo padre Essam divenne il più alto consigliere del presidente Morsi, e come suo fratello Mehdat era membro del consiglio della Shura dei FM).
– Hassan Malek ha esplicitamente lodato gli sforzi dell’ex ministro Industria Rachid Mohammed Rachid, di attrarre investimento esteri.
– La conformità di principio con la politica economica del vecchio regime si riflette nelle decisioni prese dall’Amministrazione Morsi:
– un decreto del nov. 2012, stabilisce l’influenza del presidente sulla nomina di posizioni direttive nel sindacato giallo ETUF, anziché riformare il sistema sindacale come chiesto dal movimento di protesta.
– Limitate anche le modifiche della legislazione fiscale, introdotte nel maggio 2013 dal consiglio della shura, con nessun effetto di maggiore equità sociale.
– Viene imposto un aumento delle imposte 5% sulle imprese, ma vale lo stesso tasso del 25% per tutte.
– Nessuna rilevante modifica neppure per le imposte sui redditi da capitale, mentre nel 2011 nel suo programma elettorale l’FJP aveva promesso l’introduzione di una imposta sui profitti di Borsa. In forma annacquata sono state introdotte imposte già annunciate dal governo dello SCAF, ma solo due settimane dopo la loro introduzione, il governo ha fatto marcia indietro a seguito delle proteste del settore finanza.
– Nessuna modifica della politica verso le istituzioni internazionali, come l’FMI, rispetto al regime Mubarak. Già nel 2011 i FM avevano dato il proprio consenso ai negoziati con l’FMI avviati dallo SCAF, in cambio di una partecipazione al governo, richiesta respinta dallo SCAF.
– Dopo la vittoria elettorale di Morsi, furono ripresi i negoziati, ma temendo che un accordo con l’FMI avesse riflessi negativi sulle elezioni parlamentari, i FM cercarono di prendere tempo con un forte indebitamento presso paesi islamici, Qatar in primis.
– Il fatto che non ci sia stato un accordo con l’FMI non deriva da pregiudizi ideologici ma da una tattica di real-politik,
– la stessa che ha caratterizzato il comportamento del governo Morsi verso l’impero economico dei militari:
– il ruolo economico dei militari non è stato messo in discussione, nonostante l’orientamento a favore del privato da parte del governo Morsi
– La nuova Costituzione imposta dai FM assegna al “Consiglio Nazionale per la Difesa” il controllo esclusivo sulle attività economiche dei militari.
– Anche dopo l’elezione di Morsi i gruppi dei militari hanno potuto approfittare della stretta cooperazione con i ministeri civili e delle conseguenti commesse pubbliche.
– Un esempio è lo sviluppo di un tablet da parte di una società dei militari in collaborazione con il ministero dell’Informazione, oppure il trasferimento del gruppo auto statale El Nars al ministero per la produzione militare, che venne ristrutturato dai militari per produrre una vettura per il trasporto persone per il mercato egiziano.
– Il regime Mubarak aveva cercato di contenere il più possibile la base economica dei FM, in particolare a fine 2006 erano stati incarcerati numerosi loro dirigenti attivi in campo economico, e confiscate numerose piccole imprese e partecipate.
– Per difendersi dagli attacchi dello Stato, gli imprenditori dei FM non erano attivi nell’economia formale, e per questo sono disponibili poche informazioni sulle loro attività nell’economia egiziana, ma sono senz’altro esagerate le accuse dei rivali secondo cui i FM avrebbero controllato imperi economici da miliardi di $.
– Quando a seguito delle rivolte vennero scarcerati, gli imprenditori dei FM riuscirono a riprendersi i patrimoni confiscati e ad avviare il rafforzamento delle loro imprese. Un esempio la creazione della catena di supermercati ZAD della famiglia di Kheirat al-Shater, che su modello del gruppo tedesco Aldi venderà alimentari tramite una grande rete di filiali (15 le filiali aperte nell’estate 2012, ci sono progetti per 2500 negozi entro il 2018, il che farebbe del gruppo il maggiore gruppo commerciale singolo dell’Egitto).
– Per i grandi imprenditori questi progetti non rappresentavano una minaccia, sia perché i FM limitavano le loro attività soprattutto al commercio al minuto, sia perché queste élite erano troppo forti per temere una seria concorrenza diretta dalle nuove società.
– Gli imprenditori dei FM sfruttavano le buone relazioni con gli investitori dei paesi del Golfo e della Turchia; ad es. Kheirat al-Shater e il suo partner Hassan Malek avevano da anni la licenza locale per la vendita del gruppo mobiliere turco Istikbal. Anche il grande imprenditore Abdel Rahman, incarcerato sotto Mubarak, entrò in compartecipazione con la catena di mobilieri turca Dogtas. Non sono inoltre riusciti i presunti tentativi dei FM di impossessarsi dei grandi gruppi.
– Per appoggiare i loro tentativi di espansione nell’economia formale e raccogliere un gruppo di imprenditori filo-FM, i FM hanno creato una associazione imprenditoriale a loro vicina, la Egyptian Business Development Association (EBDA), attiva dal marzo 2012 e diretta da Hassan Malek, responsabile per le relazioni di FM con gli imprenditori privati.
– EBDA segue il modello dell’associazione imprenditoriale turca MÜSIAD, legata al partito di governo AKP. Non è prescritta l’adesione ai FM per esserne membro, nel febbraio 2013 EBDA contava 600 membri, tra essi anche alcuni cristiani.
– EBDA non è stata concepita in competizione con altre associazioni imprenditoriali, anzi tra i suoi dirigenti ci sono anche dirigenti di altre associazioni come il gruppo del commercio agricolo all’ingrosso di Samir al-Naggar (il cui gruppo Daltex è il maggiore esportatore di patate egiziano), che dirige l’associazione degli agrari, o Mohammed Mo’men, dell’esecutivo dell’associazione delle industrie alimentari. Mo’men possiede il gruppo Mo’men, che gestisce i Fast food in Egitto e in altri paesi della regione e produce surgelati.
– Benché i FM abbiano negato qualsiasi legame con EBDA, è indubbio che EBDA avesse maggior accesso al centro di potere attorno al presidente Morsi di altre associazioni:
– delle delegazioni economiche che hanno accompagnato Morsi all’estero facevano parte soprattutto suoi membri.
– Pur ribadendo i FM l’importanza delle PMI, tra i membri di EBDA ci sono grandi imprenditori, come Safwan Thabet (Juhayna), Samir al-Naggar (Daltex), Ahmed El-Sewedy (Elsewedy Electric) e Farid al-Khamis (Oriental Weavers), alcuni dei quali si dice avessero già legami con i FM sotto Mubarak.
– Gli strati sociali di appartenenza dei leder dei FM e dei grandi imprenditori erano simili:
– alcuni FM appartenevano agli strati sociali superiori e facevano parte delle loro reti sociali. [Khairat al-Shater ha mandato il figlio maggiore a studiare presso l’élitaria università americana del Cairo (AUC); il figlio dell’imprenditore e leader locale di Giza, Nabil al-Muqbil ha sposato la figlia del famoso comico e amico di Mubarak, Adel Imam.]
– Il grande imprenditore Safwan Thabet, nonostante la parentela con il leader dei FM, Ma’mun al-Hudaybi, aveva potuto costruire un impero caseario sotto Mubarak, il gruppo Juhayna, che nel 2011 aveva una quota di mercato di oltre il 70%, con un valore di mercato di circa $770 mn. Thabet è tra i fondatori di EBDA.
– La banca di investimento EFG-Hermes, in cui aveva partecipazioni il figlio di Mubarak, Gamal, ha rilevato l’ingresso in Borsa della società nel 2010.
– In seguito hanno aderito alla nuova associazione anche grandi imprenditori, non ritenuti vicini ai FM,
– come l’imprenditore del tessile, Farid al-Khamis (Orientale Weaver) e il produttore di cavi Ahmed El-Sewedy (Sewedy Cables), o il banchiere Abdel Salam al-Anwar, nominato presidente della commissione Finanza di EBDA.
– Nell’ultimo decennio del regime Mubarak, Al-Anwar era il più noto manager del settore finanziario egiziano, in stretti rapporti con Gamal Mubarak; faceva parte come tesoriere del CdA della organizzazione di beneficienza di Gamal, Future Generation Foundation. Nel 2003-2011, Al-Anwar è stato il capo degli investitori egiziani della banca multinazionale HSBC; membro del think-tank Egyptian Center for Economic Studies (ECES).
– Oltre a EBDA, nel 2012 Morsi istituì una commissione imprenditoriale “Tawassul” oltre che per sostenere presso il governo gli interessi degli imprenditori, anche per mediare tra quest’ultimo e imprenditori sospettati o accusati di corruzione; suo portavoce Hassan Malek.
– tra i suoi 23 membri, una serie di imprenditori di EBDA e rappresentanti di grandi associazioni imprenditoriali.
– Gli accordi extragiudiziali per i casi di corruzione tra i grandi imprenditori, erano parola d’ordine diffusa tra i FM già nel 2011, dopo l’entrata in carica di Morsi si intensificarono i tentativi di far rientrare in Egitto, grazie a tali accordi, gli imprenditori condannati.
– Nel gennaio 2013, Hassan Malek, presidente di Tawassul, invitò a tornare in Egitto tutti gli imprenditori rifugiati all’estero; a febbraio venne di nuovo modificata la legge sugli investimenti nel consiglio della Shura: gli investitori ora possono farsi rappresentare al procedimento di conciliazione, non hanno più l’obbligo di partecipare di persona.
– Solo alcuni dei grandi imprenditori risposero positivamente alle iniziative dei FM; la maggior parte tennero le distanze, o appoggiarono la crescente opposizione contro di essi, per due principali motivi:
– timore di essere processati per violazione delle precedenti leggi;
– riserve di principio sulla nuova dirigenza che, non avendo esperienza di governo, non ritenevano in grado di affrontare le difficoltà della situazione egiziana.
– nonostante il programma di politica economica fosse per la continuazione dello status quo, molti imprenditori non condividevano le posizioni politico-sociali dei FM.
Il finanziamento dei partiti e della campagna elettorale da parte dei grandi imprenditori; la creazione o gestione di media critici verso il governo, e la fuga di capitali di investimento dall’Egitto posero crescenti problemi al governo e di conseguenza ai FM.
– Caduto Mubarak, alle elezioni parlamentari di fine 2011-nizio 2012 si presentarono 34 nuovi partiti oltre ai 23 partiti registrati. La nuova legge varata dallo Scaf non prevedeva il finanziamento statale dei partiti, e i grandi imprenditori ne approfittarono per influenzarne alcuni finanziandoli.
– tra i primi l’industriale dei media e del farmaceutico (gruppo Sigma, quota del 6% del mercato nazionale), al-Sayyid al-Badawi, eletto nel 2010 presidente e principale finanziatore (con il 20% del bilancio) del partito liberista nazional conservatore Wafd. Già con Mubarak c’erano grandi imprenditori legati a questo partito, come il copto Mounir Fakhry Abdel Nour, che è rimasto ministro Turismo anche con il governo Morsi. Il WAFD non prese in un primo momento – neppure dopo l’inizio della rivolta – le distanze dal vecchio regime,
– per cui diversi imprenditori non ritennero opportuno sfruttarlo per difendere i loro interessi nel post-Mubarak, e puntarono perciò su nuovi partiti.
– In particolare si impegnò politicamente contro l’influenza politica degli islamisti il capitalista copto Naguib Sawiris, che nell’aprile 2011 fondò il partito laico-liberale dei Liberi Egiziani – PLE (Hizb al-Masriyyin al-Ahrar); vi hanno aderito alcuni importanti personaggi dell’economia privata e di orientamento laico. Tra questi Hani Sarie El Din, giurista economico e avvocato della famiglia Sawiri; Khalid Qandil, ex CEO di ExxonMobile Egypt, e Khaled Bishara, top manager dell’impero dei Sawiris.
– Non si sa quanto denaro Sawiris abbia investito nel partito, fatto sta che per le elezioni parlamentari del 2011/2012 questo partito aveva circa 150 000 membri, e presentò 150 candidati; ottenne però solo 15 seggi, con il 3% dei consensi.
– Il Partito dei Liberi Egiziani (Hizb al-Masriyyin al-Ahrar), si contrappose già dagli esordi ai FM e al loro partito il FJP sulla posizione che la religione deve avere nel sistema politico egiziano, sostenendo la necessità della separazione Stato-religione, anche se per motivi elettorali il PLE non sostenne l’eliminazione dell’art. della Costituzione che pone la sharia a suo principale fondamento,
– il PLE non si contrapponeva però al programma di politica economica del “partito degli imprenditori”, condividendo con esso la necessità dell’intervento statale per promuovere lo sviluppo e le infrastrutture,
– posizione questa ribadita nella alleanza elettorale (Blocco Democratico) del PLE con il partito socialista Tagammu’, che su era sempre opposto alla politica di liberalizzazioni.
– Sawiris ha utilizzato il PLE come tribuna contro l’islamizzazione della società egiziana.
– Altri rappresentanti dei grandi imprenditori hanno preferito non pubblicizzare il loro sostegno finanziario, come Ahmed Ghabbour, gruppo Ghabbour auto, il maggiore del settore, altro grande finanziatore del PLE.
– Hischam al-Khazindar, uno dei fondatori di Citadel Capital, il del maggior gruppo egiziano di Private-Equity, ha finanziato apertamente (150mila $) il Partito della Giustizia (di Al-Naggar), ma ne è rimasto fuori.
– I grandi imprenditori hanno finanziato sia i partiti di opposizione, ma anche i candidati non islamisti alla presidenza (il costo della campagna elettorale per le presidenziali sarebbe stato di circa $225mn.)
– Morsi è stato finanziato dai FM ricchi, i due candidati laici, Amr Moussa, ex segretario della Lega Araba, e Ahmed Shafiq, ultimo primo ministro con Mubarak, da alcuni grandi imprenditori.
– Shafiq, che ha ottenuto solo il 3% dei voti meno di Morsi, è stato finanziato soprattutto nella seconda tornata, da un vero e proprio esercito di imprenditori, e dai media privati, per gran parte controllati da grandi imprenditori,
– che li hanno utilizzati per sostenere i candidati non islamisti e che (secondo i FM) dopo la vittoria di Morsi hanno istigato l’opinione contro i FM.
– Secondo loro stesse dichiarazioni Naguib Sawoirs ha votato Amr Moussa, Alaa Arafa, Tessile, ha votato Ahmed Shafiq.
– Nei fatti dopo l’apertura del settore agli investitori privati, dalla fine anni Novanta, tra i nuovi investitori di emittenti satellitari e della stampa ci sono grandi imprenditori come Naguib Sawiris, Ahmed Bahgat e al-Sayyd al-Badawi.
– I media egiziani hanno avuto una maggiore influenza sull’opinione di emittenti internazionali, come al-Jazeera del Qatar.
– Secondo i FM i più dannosi per essi sono stati i grandi media di Sawiris e al-Amin.
– I media controllati dai grandi imprenditori non hanno riferito notizie contrarie ai loro interessi economici, come il forte aumento delle proteste operaie in seguito alle rivolte politiche.
– Nel 2004 Sawiris ha fodato con Salah Diab (Gruppo Pico) il quotidiano al-Masry al-Youm; nel 2007 OTV, il primo emittente satellitare privato.
– Abdel Moneim Saids, nominato presidente del CdA del quotidiano al-Youm e tra i dirigenti del partito NDP, aveva diretto l’editrice statale Ahram sotto Mubarak, ed era noto per le sue forti critiche critico verso i FM.
– Al-Amin, azionista di Amer – il maggiore gruppo egiziano dell’edilizia – si è arricchito con l’edilizia in Kuwait, ha iniziato gli investimenti nei media egiziani dopo la caduta di Mubarak, fondando nel luglio 2011 l’emitente satellitare a tre canali, CBC (Capital Broadcasting Center), e il quotidiano al-Watan, e ha partecipazioni nel quotidiano al-Youm al-Saba’a, precedentemente diretto da Ashraf al-Sherif, figlio dell’ex segretario dell’NDP e ministro Informazione con Mubarak; ha inoltre acquistato altre emittenti satellitari, tra cui al-Nahar.
– Al-Amin si è allineato con i grandi media riconosciuti dalle organizzazioni di opposizione.
– L’azionista di maggioranza del gruppo, Mansour Amer, apparteneva all’ala imprenditoriale del partito di governo con Mubarak.
– I FM hanno cercato, con scarso successo, di contrastare l’influenza dei gruppi privati dei media:
– 1. rafforzando il proprio impegno nel settore (il FJP ha fondato nel 2011 il quotidiano al-Hurriya wa al-Adala), e l’imprenditore ad essi vicino messo in funzione l’emittente satellitare Misr25;
– 2. hanno cercato di influire sui media statali nominando nuovi dirigenti (243 giornalisti in 55 giornali), in particolare i 3 capo-redattori di al-Aharam, al-Akhbar e al-Gumhuriya;
– 3. di perseguire guiridicamente i programmi di informazione delle emittenti e dei giornali dell’opposizione, e di revocare licenze di trasmissione …
– Oltre all’influenza politica esercitata indirettamente tramite i media, mise in difficoltà i FM – dopo la forte diminuzione degli Investimenti Esteri Diretti (-80% nel 2009/2010 e 2011/2012) – anche il calo degli investimenti di alcuni grandi imprenditori egiziani, che se ne erano andati e che i FM non riuscirono a far rientrae in Egitto,
– anzi nel gennaio 2013 OCI (Orascom Construction Industries, il maggior gruppo privato egiziano, dichairò di volersene andare, una scelta motivata da una strategia di internazionalizzazione del gruppo: allo scopo il maggior suo azionnista con il 55%, la famiglia Sawiris, aveva fondato in Olanda una SpA, che tramite una offerta di acquisto ai soci doveva far trasferire tutto il capitale sociale di OCI al nuovo gruppo olandese Orascom Construction Industries NL,
le conseguenze per le entrate statali egiziane sarebbero state gravi: a fine 2012 OCI rappresentava quasi il 15% dela capitalizzazione della Borsa Egiziana (EGX) …
– per gli investitori esteri, che già avevano ritirato gran parte dei loro investimenti, l’Egitto sarebbe divenuto ancora meno appetibile.
Inoltre andandosene OCIavrebbe lanciato il segnale per altri gruppi egiziani.
– Dagli anni Novanta altri importanti gruppi egiziani erano riusciti a espandersi nei mercati esteri, tra esse la conglomerata della famiglia Mansour, che è il maggior concessionario di GM, sia in Egitto che a livello internazionale; il gruppo del turismo della famiglia Al-Chiaty, al quale appartiene tra l’altro ache il gruppo alberghiero tedesco Steigenberger; il gruppo cavi e tecnica energetica della famiglia El-Sewedy, che ha filiali in tutto il MO, in Africa ed in Europa.
– L’autorità di sorveglianza finanziaria ha cercato di prendere trempo sulla questione OCI; ha prima questo inasprito le disposizioni per lo scambio di azioni delle SpA egiziane sulle Borse internazionali; si è attivato anche il fisco esigendo dal grupppo OCI un credito di imposte di $799 milioni; poi fu emesso un (simbolico divieto di espatrio per i due maggiori azionisti Nassif e Onsi Sawiris (da tempo espatrati), e rivendicato un credito fiscale complessivo di circa $2,1 miliardi.
–
Ägyptens Unternehmer-elite nach Mubarak
Dr. Stephan Roll ist wissenschaftlicher Mitarbeiter im SWP-Projekt »Elitenwandel und neue soziale Mobilisierung in der arabischen Welt«.
Das Projekt wird gefördert aus Mitteln des Auswärtigen Amtes im Rahmen der Transformationspartnerschaften mit der arabischen Welt sowie der Robert Bosch Stiftung und kooperiert mit dem Studienwerk der Heinrich-Böll-Stiftung sowie dem Institut für Begabtenförderung der Hanns -Seidel-Stiftung.
Problemstellung und Empfehlungen
Ägyptens Unternehmerelite nach Mubarak.
Machtvoller Akteur zwischen Militär und Muslimbruderschaft
Im letzten Jahrzehnt der Mubarak-Ära hatten in Ägypten wenige Großunternehmer Kontrolle über weite Teile der Wirtschaft erlangt. Dadurch waren sie auch Teil der politisch relevanten Elite geworden, deren Mitglieder Einfluss auf grundlegende strategische Entscheidungen des Landes haben.
Vor diesem Hintergrund stellt sich die Frage, welche Rolle diese Unternehmerelite im ägyptischen Transformations-prozess einnimmt, der mit dem Sturz Husni Mubaraks Anfang 2011 eingeleitet wurde. Gelingt es den Groß-unternehmern, ihre Vormachtstellung in Ägyptens Wirtschaft zu verteidigen? Vor allem aber: Kommt ihnen auch in der Post-Mubarak-Ära eine gewichtige politische Rolle zu?
Die folgende Analyse zeigt, dass die ägyptischeUnternehmerelite bislang sehr erfolgreich darin war,sowohl ihre wirtschaftliche Macht als auch ihrenpolitischen Einfluss zu bewahren. Obwohl sich der Zorn vieler Ägypter, die 2011 gegen das Mubarak-Regime auf die Straße gingen, auch gegen die als korrupt geltende Unternehmerelite richtete, gelang es den meisten ihrer Mitglieder, die eigenen Wirtschaftsimperien über den Sturz Mubaraks hinaus zu erhalten. Nur sehr wenige Großunternehmer mussten sich in den Monaten nach dem politischen Umbruch vor Gericht verantworten. Die meisten profitierten davon, dass Korruption und Misswirtschaft vom Obersten Militärrat, der zunächst die Führung des Landes übernommen hatte, nur in laxer Weise auf -gearbeitet wurden und es dabei an Transparenz wie
an rechtsstaatlichen Standards mangelte.
Auch die Muslimbruderschaft hielt an diesem Vorgehen fest. Schon vor dem Sieg ihres Kandidaten
Mohammed Mursi bei den Präsidentschaftswahlen 2012 arbeitete sie auf eine Allianz mit der etablierten
Unternehmerelite hin. Die Forderung aus der Zivil-gesellschaft, zurückliegendes Fehlverhalten von Wirtschaftsakteuren umfassend aufzuklären, wurde von ihr nicht mitgetragen. Vielmehr setzte sie darauf,
außer gerichtliche Einigungsverfahren anzuwenden und die etablierte Unternehmerelite in ihre eigenen Herrschaftsnetzwerke einzubeziehen. Vor allem aber orientierte sie sich programmatisch an den Leitlinien der wachstums-und privatsektor orientierten
Wirtschaftspolitik der Mubarak-Ära.
Dieser Kurs, den die internationale Gebergemeinschaft immer wiedergelobt hatte, war insbesondere den Spitzenunternehmern des Landes zugutegekommen.
Der Versuch, Ägyptens Unternehmerelite zu kooptieren, scheiterte allerdings ebenso wie die Bemühungen einiger Mitglieder der Bruderschaft, die eigenen wirtschaftlichen Aktivitäten in nennenswertem Umfang auszubauen.
– Nur wenige Großunternehmer arrangierten sich mit der Bruderschaft und akzeptierten deren politischen Machtanspruch. Der größere Teil unterstützte die Gegner der Bewegung – durch Finanzierung von oppositionellen Parteien und Politikern sowie über private Medien. Viele der meist säkular geprägten Großunternehmer hegten ein grundsätzliches Misstrauen gegenüber Vertretern des politischen Islam, die in der Regel nicht ihren gesellschaftlichen Kreisen angehörten. Dieser Argwohn wurde im Laufe von Mursis Präsidentschaft noch verstärkt, weil die Administration wirtschaftspolitisch äußerst unprofessionell agierte und ihre Signale an das Unternehmerlager immer widersprüchlicher wurden.
Der Konflikt mit Teilen der Unternehmerelite trug dazu bei, dass es der Muslimbruderschaft nicht gelang, ihre durch Wahlen erlangte Macht zu konsolidieren.
Mursis Absetzung durch das ägyptische Militär Anfang Juli 2013 erfolgte zwar auf Druck der Straße.
– Letztlich waren es aber etablierte Interessengruppen wie die Unternehmerelite, die monatelang auf das politische Scheitern der Bruderschaft hingearbeitet hatten. Die Mursi-Administration, deren politisches Taktieren in der Bevölkerung immer weniger Unterstützung fand, hatte dem Widerstand dieser Interessengruppen und damit auch der Unternehmerelite kaum etwas entgegenzusetzen.
– Auch in Zukunft dürfte der Einfluss der Groß-unternehmer auf den politischen Entscheidungsprozess erheblich sein. In der Übergangsregierung sind vorwiegend Politiker und Technokraten vertreten, die dem Unternehmerlager nahestehen. Schon dies lässt erkennen, dass die Interessen der Großunternehmer im weiteren Verlauf des Transformationsprozesses gewahrt sein dürften.
– Ungeachtet der aktuellen politischen Turbulenzen sollten Deutschland und die EU bei ihrer langfristigen Zusammenarbeit mit Ägypten daher versuchen, den absehbaren Negativ folgen eines solchen Einflusses entgegen zu wirken. Zum einen sollten sie stärker als bisher eine Reform des regulativen Rahmens der ägyptischen Wirtschaft fördern.
– Dabei gilt es vor allem, die Schaffung von Transparenz in Bezug auf staatliches Handeln in der Wirtschaft sowie die Reform der Wettbewerbsordnung zu unterstützen.
– Außerdem sollte die Professionalisierung des ägyptischen Mediensektors vorangetrieben werden, damit dieser künftig eine unabhängige Kontrollfunktion ausüben kann. Zum anderen sollten Deutschland und Europa dem Land dabei helfen, ein gerechteres Steuersystem und eine effizientere Steuerverwaltung aufzubauen.
Es wird dem Land keinen sozialen Frieden bringen, wenn die einseitige Wachstumspolitik der späten Mubarak-Ära einfach fortgesetzt wird. Denn ohne eine aktivere Umverteilungspolitik des Staates wird es künftig kaum gelingen, eine stärkere Breitenwirksamkeit wirtschaftlicher Entwicklung in Ägypten zu erreichen.
Die Unternehmerelite und das Ende des Mubarak-Regimes
– Die Proteste, die 2011 zum Zusammenbruch des Mubarak-Regimes führten, richteten sich nicht nur gegen politische Unterdrückung und staatliche Willkür, sondern ebenso gegen soziale Ungerechtigkeit und ausufernde Korruption. Im Vorfeld des Umsturzes hatte in der Bevölkerung auch die Wut auf Ägyptens Unternehmerelite zugenommen, die von der Privatisierungspolitik der vergangenen Jahrzehnte erheblich profitieren konnte. Ihren Vertretern – im Volksmund oftmals »fette Katzen« genannt – wurde vorgeworfen, den eigenen Reichtum vor allem durch Vernetzung mit der politischen Entscheidungsebene erlangt zu haben. Die vielen Unternehmer, die in Ägypten seit der Jahrtausendwende wichtige politische Ämter bekleideten, wurden dafür als Beleg gesehen.
– Diesem System des »Kumpelkapitalismus« (crony capitalism)[1] ein Ende zu setzen und die mächtigen Unternehmer-familien in die Schranken zu weisen wurde zu einer zentralen Forderung der Protestbewegung. Zudem waren Risse im Herrschaftssystem entstanden. Besonders im Militär wurde der gestiegene politische Einfluss einiger Großunternehmer missbilligt. Zu einer Entmachtung der Unternehmerelite kam es in den Folgemonaten des politischen Umsturzes allerdings nur bedingt.
Hintergrund: Oligarchisierung der ägyptischen Wirtschaft unter Mubarak
– Viele Ägypter fühlten sich in der Mubarak-Ära von der wirtschaftlichen Entwicklung des Landes abgekoppelt und sahen die Schere zwischen Arm und Reich immer weiter auseinanderklaffen. Tatsächlich standen die zeitweise hohen wirtschaftlichen Wachstumsraten seit der Jahrtausendwende im Widerspruch zur sozialen Entwicklung des Landes. So verzeichnete Ägypten zwischen 2005 und 2008 einen jährlichen Anstieg des Bruttoinlandsproduktes (BIP) von durchschnittlich über 6 Prozent; gleichzeitig aber verbesserten sich die allgemeinen Lebensverhältnisse nicht. Im Gegenteil – nach offiziellen Statistiken nahm die Armut insbesondere unter der Landbevölkerung weiter zu.[2]
– Zugleich entsprach der weitverbreitete Eindruck, eine kleine Unternehmerelite habe maßgeblich Kontrolle über die Wirtschaft des Landes erlangt, durchaus der Realität. So hatte sich der private Unternehmenssektor in der dreißigjährigen Amtszeit Husni Mubaraks gleich in zweierlei Hinsicht grundlegend gewandelt. Zum einen spielten private Unternehmen eine immer wichtigere Rolle in der ägyptischen Wirtschaft.
– Bereits Mubaraks Vorgänger im Präsidentenamt, Anwar al-Sadat, hatte durch seine wirtschaftliche Öffnungspolitik (Infitah) in den späten 1970er Jahren bessere Rahmenbedingungen für privates Unternehmertum geschaffen. Mubarak setzte diese Politik zunächst nur beschränkt fort, als er Anfang der 1990er Jahre eine wirtschaftliche Strukturanpassung einleitete. Ab 2004 wurde der Privatisierungsprozess allerdings intensiviert. Allein zwischen 2004 und 2008 erzielte der ägyptische Staat mehr als doppelt so hohe Privatisierungseinnahmen wie in den zehn Jahren davor.[3]
– Der private Unternehmenssektor verzeichnete gegenüber dem noch immer starken öffentlichen Sektor eine Bedeutungszunahme, die sich vor allem in der Entwicklung von Beschäftigung und inländischen Investitionen niederschlug. Während sich der Anteil des privaten Sektors an der Beschäftigung um über 10 Prozentpunkte auf 73 Prozent erhöhte, erfuhr sein Anteil an den Investitionen nahezu eine Verdoppelung auf 62 Prozent (vgl. Abbildung S. 8).
[4]
– Zum anderen fand eine bemerkenswerte Kapitalkonzentration innerhalb des privaten Unternehmenssektors statt. Gab es noch zu Beginn der 1980er Jahre keine nennenswerten Großunternehmen im privaten Besitz, wurden zum Ende der Mubarak-Ära zahlreiche Wirtschaftsbereiche durch einzelne Privatfirmen dominiert. Diese Kapitalkonzentration war eine direkte Folge der Privatisierungspolitik unter Mubarak.
– Vor dem Hintergrund allgegenwärtiger Korruption bei staatlichen Unternehmensverkäufen und bei Vergabe öffentlicher Aufträge, begünstigt durch ein System präferentieller Kredite und das Fehlen staatlicher Marktaufsicht, gelang es einigen wenigen Unternehmern, riesige Wirtschaftsimperien zu errichten. Zwar war der Unternehmenssektor nach wie vor durch kleine und mittelgroße Betriebe geprägt – gerade einmal 0,1 Prozent der Unternehmen in Ägypten hatten 2006 mehr als 100 Mitarbeiter.
[5]
– Beide Entwicklungen zusammen – die Bedeutungszunahme des Privatsektors und die dortige Kapital- konzentration – führten dazu, dass eine kleine Gruppe von Personen bzw. Familien durch Eigentums- und Managementbeziehungen die Kontrolle über einen großen Teil der ägyptischen Wirtschaft erlangen konnte. Wie sich diese Gruppe genau zusammensetzt, wurde empirisch bislang nur begrenzt untersucht. Schätzungen zufolge hatten Ende 2010 mindestens 21 Familien Nettovermögenswerte von jeweils über 100 Millionen US-Dollar (vgl. Tabelle 1, S. 29). Einige dieser Familien – allen voran die Sawiris und die Mansour – waren sogar Milliarden US-Dollar schwer.[6] Besonders deutlich wurde die Vormachtstellung dieser »wirtschaftlichen Kernelite« an der ägyptischen Börse. 2008 kontrollierten 11 Unternehmerfamilien mit ihren Firmen über 30 Prozent der Marktkapitalisierung der Egyptian Exchange (EGX).
[7]
– Eng verbunden mit diesen wenigen Oligarchen waren zahlreiche Subunternehmer und Manager großer Privatfirmen, die ihrerseits über erhebliche Vermögenswerte verfügten. So schätzte das Consulting-Unternehmen Wealth-X, dass 2011 in Ägypten 490 Familien lebten, deren Nettovermögen sich jeweils auf mindestens 30 Millionen US-Dollar belief. Zusammen besaßen diese Familien mehr als 65 Milliarden US-Dollar an Vermögenswerten.[8] Gemessen am persönlichen Reichtum umfasste die ägyptische Unternehmerelite zu Beginn des politischen Umbruchs Anfang 2011 daher mehrere hundert Familien und Einzelpersonen.
[9]
Risse im Regime: Die Unternehmerelite, Gamal Mubarak und das Militär
– Durch ihre dominante Stellung in der ägyptischen Wirtschaft waren Mitglieder der Unternehmerelite auch in den Kreis der politisch relevanten Elite aufgestiegen.[10] Großunternehmer erlangten wichtige Ministerämter, darunter etwa Rachid Mohammed Rachid, lokaler Partner des internationalen Nahrungsmittelkonzerns Unilever, oder Mohammed Mansour, dessen Familienunternehmen der größte Vertriebs-partner von General-Motors-Fahrzeugen weltweit ist. Andere, allen voran der Stahlunternehmer Ahmed Ezz, besetzten zentrale Positionen im Parlament und in der regierenden Nationaldemokratischen Partei (NDP). Ezz, dessen Firmenkonglomerat nahezu über eine Monopolstellung im nationalen Stahlsektor verfügte, war Vorsitzender des Haushaltsausschusses im ägyptischen Unterhaus und Mitglied aller Führungsgremien der Regierungspartei.[11]
– Viele Großunternehmer vermieden allerdings das direkte politische Engagement. Doch auch sie verfügten über eine Reihe von Einflusskanälen, um ihre Interessen im politischen Entscheidungsprozess abzusichern. Am offensichtlichsten wurde dieser indirekte Einfluss im Fall der koptischen Sawiris, der wohl reichsten Familie des Landes. Sie ist im Bau-, Tourismus- und Telekommunikationssektor aktiv.
– Durch Geschäftsbeziehungen zu politischen Entscheidungsträgern, Beteiligungen im ägyptischen Mediensektor sowie die Mitgliedschaft in wirtschaftsnahen Organisationen und Interessenverbänden konnte sie ihre Anliegen in den politischen Entscheidungsprozess einbringen.
– Besondere Bedeutung kam hierbei dem Egyptian Center for Economic Studies (ECES) zu, einem Wirtschaftsforschungsinstitut, das von mehreren einflussreichen Unternehmern Mitte der 1990er Jahre gegründet und 2001 durch die U.S. Agency for International Development (USAID) mit Fördergeldern in Höhe von über 10 Millionen US-Dollar bedacht worden war.[12] In den wissenschaftlichen Studien des Instituts wurden die Grundzüge einer neoliberalen Reformpolitik auf die spezifische Situation Ägyptens übertragen.[13] Im Vordergrund standen dabei die Entwicklung des privaten Unternehmenssektors sowie Ägyptens weitere außenwirtschaftliche Öffnung. Allerdings findet sich in den ECES-Papieren auch die Forderung nach einer partiell interventionistischen Wirtschaftspolitik wieder.
– Der politische Einfluss des ECES war auch deshalb so groß, weil zu seinen Gründungsmitgliedern der Präsidentensohn Gamal Mubarak gehörte. Dieser wurde seit den späten 1990er Jahren sukzessive als Nachfolger seines Vaters aufgebaut.
– Die Beziehung zwischen ihm und der Unternehmerelite bildete eine Zweckgemeinschaft. Weil Gamal Mubarak – anders als Husni Mubarak und dessen Vorgänger im Präsidentenamt – Zivilist war, verfügte er über keine gewachsene Machtbasis im ägyptischen Militär. Er war deshalb auf die Unterstützung anderer Akteure angewiesen, und dazu wählte er die finanzstarken Großunternehmer. Diese wiederum konnten mit Hilfe des Präsidentensohnes ihre Interessen politisch durchsetzen.
– So war es Gamal Mubarak, der unter dem Slogan »Neues Denken« die inhaltliche Neuausrichtung der Regierungspartei vorantrieb. Das Programm der NDP, das in Teilen noch sozialistisch angemutet hatte, wurde entsprechend überarbeitet. Maßgeblich war dabei die vom ECES ausgegebene Leitlinie eines liberalen Wirtschaftssystems mit einem starken Staat.
– Zudem holte Gamal Mubarak zahlreiche bekannte Unternehmer in die von ihm geführten Vorstandsgremien der Regierungspartei. Besonders deutlich aber wurde die Allianz zwischen Präsidentensohn und Unternehmerelite bei der Regierungsumbildung 2005. Sechs der Minister in der Regierung von Premierminister Ahmed Nazif (2004–2011) waren bekannte Unternehmerpersönlichkeiten mit offenkundigen Verbindungen zu Gamal Mubarak.[14] Diese setzten den wirtschaftsliberalen Kurs der Regierungspartei in die Praxis um, wobei sie durch ein selektives Vorgehen sicherstellten, dass hauptsächlich die Mitglieder der Unternehmerelite von der neuen Politik profitierten.
– Die Nähe der Großunternehmer zu Gamal Mubarak rief indes Widerstände bei anderen Teilen der politisch relevanten Elite hervor.
– In der Bürokratie, vor allem aber innerhalb des Militärs wuchs die Sorge, man könnte im ägyptischen Herrschaftssystem zunehmend marginalisiert werden. Viele Offiziere sahen mit Verbitterung, wie der Reichtum einer kleinen Unternehmerschicht zunehmend wuchs, während ihre eigenen Privilegien sowie die ausufernden Wirtschaftsaktivitäten des Militärs öffentlich mehr und mehr in Frage gestellt wurden.
– Seit den späten 1970er Jahren hatte das Militär sein Engagement auch in der zivilen Wirtschaft schrittweise ausgebaut, wobei das exakte Ausmaß dieser Tätigkeit nicht bekannt ist. Schätzungen zufolge erbringen Unternehmen, die vom Militär kontrolliert werden, 5 bis 15 Prozent der ägyptischen Wirtschaftsleistung.[15] Dabei stehen Unternehmen des Militärs durchaus auch in Konkurrenz zu privaten Firmen.[16] Vor allem aber sind private Unternehmen vom Militär abhängig, wenn es um Landkäufe geht, etwa zum Bau neuer Fabriken oder für touristische Anlagen. Das Militär hat qua Gesetz die Befugnis, öffentliches Land zum Zweck der nationalen Sicherheit jederzeit zu konfiszieren.[17] Dieses Vetorecht bei der Privatisierung von Bauland wurde von Mitgliedern der Unternehmerelite scharf kritisiert.[18]
– Zum Bruch zwischen beiden Akteursgruppen kam es allerdings nicht. Über Jahrzehnte hatten sich enge Netzwerke zwischen Militärs und verschiedenen Großunternehmern etabliert. Letztere fungierten dabei etwa als Berater und Dienstleister im Zusammenhang mit Rüstungsgeschäften. Beispielhaft dafür ist Shafiq Gabr, ein international bestens vernetzter Geschäftsmann mit eigenem Verbindungsbüro in Washington. Er vertrat über sein Unternehmenskonglomerat Artoc Group zahlreiche internationale Firmen in Ägypten und versorgte das Militär mit den unterschiedlichsten zivilen und halbmilitärischen Gütern.[19] Zudem pflegten Firmen des Militärs Partnerschaften mit ausländischen Großunternehmen, in die ebenfalls Mitglieder der ägyptischen Unternehmerelite eingebunden waren.
– Die kuwaitische Kharafi-Gruppe etwa, die über eine Vielzahl von Subunternehmen in Ägyptens Wirtschaft tätig ist, ging seit 2001 verstärkt Joint-Ventures mit dem Militär des Landes ein.[20] Eingefädelt wurden diese Aktivitäten durch den ägyptischen Geschäftsführer der Gruppe, Moataz al-Alfi, einen der politisch einflussreichsten Wirtschaftsführer der Mubarak-Ära.[21]
»Fette Katzen« hinter Gittern?
Den Forderungen der Protestierenden folgend, begannen die ägyptischen Ermittlungsbehörden Ende Januar 2011, nur wenige Tage nach Beginn der Massenkundgebungen gegen das Mubarak-Regime, gegen Mitglieder der Unternehmerelite vorzugehen. Die Oberstaatsanwaltschaft leitete Ermittlungen wegen Korruption und Amtsmissbrauch ein. Gegen zahlreiche Großunternehmer wurden Ausreisesperren verhängt.
[22]
– Unmittelbar nach Mubaraks Sturz übernahm der Oberste Militärrat (Supreme Council of the Armed Forces, SCAF) die Macht in Ägypten. Er regierte das Land bis zum Amtsantritt von Präsident Mohammed Mursi am 30. Juni 2012. Zunächst verschärften die Militärs die Strafverfolgung von Mitgliedern der Unternehmerelite. Mit dem ehemaligen Wohnungsbauminister Ahmed al-Maghrabi, dem früheren Tourismusminister Zuheir Garana und dem Stahlunternehmer Ahmed Ezz wurden gleich drei prominente Großunternehmer inhaftiert bzw. international zur Fahndung ausgeschrieben. Zudem wurde eine »Blacklist« von Beschuldigten veröffentlicht, die nicht mehr frei über ihre Vermögenswerte verfügen durften.
– Damit versuchte das Machtzentrum um Husni Mubarak offenkundig, den Protestierenden einen Schuldigen für die prekäre sozioökonomische Lage im Land zu präsentieren, um sich selbst aus der Schusslinie zu bringen. Mit dem erzwungenen Rücktritt Mubaraks am 11. Februar 2011 wurde jedoch das Scheitern dieser Strategie offensichtlich.
[23]
– Angesichts der beschriebenen Konkurrenz zwischen Militär und diversen Großunternehmern nutzte der SCAF offenbar die Gunst der Stunde, um alte Rechnungen zu begleichen. Ein systematisches Vorgehen gegen die ägyptische Unternehmerelite gab es allerdings nicht. Wer gute Beziehungen zum Militär unterhielt, hatte wenig zu befürchten.[24] Und selbst solchen Unternehmern, die nicht unter dem Schutz der Militärs standen, war es möglich, Ägypten zu verlassen. Mit zahlreichen Privatjets brachten Großunternehmer nicht nur ihre Familien, sondern auch Vermögenswerte außer Landes.[25]
– Nach Angaben der Bank für Internationalen Zahlungsausgleich (BIZ) stiegen allein im ersten Quartal 2011 die Verbindlichkeiten ausländischer Banken gegenüber ägyptischen Staatsbürgern um mehr als 6 Milliarden US-Dollar.[26] Auch in den Folgemonaten unterließ es die Militärführung, systematisch gegen Korruption vorzugehen. Zwar nahmen verschiedene staatliche Stellen Ermittlungen auf; doch wurden diese wegen einer schwachen Beweislage oftmals wieder eingestellt, oder ihr Ende war nicht absehbar. So überwies die im Justizministerium angesiedelte Abteilung für illegale Gewinne bis September 2012 – über anderthalb Jahre nach Beginn des politischen Umbruchs – lediglich 29 von insgesamt 597 angezeigten Fällen an die Gerichte.
[27]
– Mit Rachid Mohammed Rachid, Ahmed al Maghrabi, Ahmed Ezz und Hussein Salem wurden letztlich nur vier Akteure aus den 21 Familien der Unternehmer-Kernelite zu Gefängnisstrafen verurteilt, wobei die Urteile bis Juli 2013 teilweise noch nicht rechtskräftig waren.
– Anfang 2012 ergänzte der Oberste Militärrat das ägyptische Investitionsgesetz um einen Zusatz, durch den die Möglichkeit entstand, einer Verurteilung wegen krimineller Handlungen wie Veruntreuung öffentlicher Gelder, Korruption oder Steuervergehen durch außergerichtliche Einigung zu entgehen. Kaufverträge, die unrechtmäßig zustande gekommen sind, etwa infolge von Korruptionsdelikten, lassen sich demnach durch finanzielle Kompensation nachträglich legitimieren; veruntreute Gelder wiederum können zurückgezahlt werden.
– Der erste Großunternehmer, der davon Gebrauch machte, war Yassin Mansour von der Mansour Group. Er konnte die Einstellung mehrerer Verfahren erwirken, indem er umgerechnet über 40 Millionen US-Dollar zahlte.[28] Da der juristischen Ahndung durch eine meist schwierige Beweislage erkennbar Grenzen gesetzt waren, forderten auch Experten immer wieder außergerichtliche Lösungsansätze. Allerdings genügte das von der Militärführung etablierte Verfahren keinerlei rechtlichen Standards. Zum einen wurde mit der Durchführung nicht etwa eine unabhängige Kommission beauftragt, sondern die General Authority for Investment (GAFI), deren Aufgabe es ist, Investitionen in Ägypten anzukurbeln. Vor allem gegenüber ausländischen Investoren hatte die Behörde kein Interesse an einer Konfrontation, denn dadurch wäre wohl das Investitionsklima verschlechtert worden. Das intransparente Verfahren, bei dem letztlich nur der GAFI-Chef die nötige Übereinkunft mit dem betreffen- den Unternehmer unterzeichnen musste, öffnete überdies Manipulationen Tür und Tor. Zum anderen beschränkt sich die Amnestie-Regelung nicht auf zurückliegende Verstöße, vielmehr kann sie auch bei künftigen Verfehlungen angewandt werden. Unternehmer dürften aber wenig Interesse haben, sich bei Investitionen gesetzeskonform zu verhalten, wenn sie sich darauf verlassen können, dass sich Verstöße notfalls im Nachhinein durch außergerichtliche Einigungen aus der Welt schaffen lassen.[29]
– Der Sturz Mubaraks hatte somit zunächst vor allem Auswirkungen auf den direkten politischen Einfluss der etablierte Unternehmerelite. So war in den Regierungen, die der Militärrat zwischen Februar 2011 und August 2012 einsetzte, mit Mounir Fakhry Abdel Nour nur noch ein einziges bekanntes Gesicht aus diesem Umfeld vertreten.
– Die ökonomischen Folgen waren indes begrenzt. Zwar blieben auch die Firmen der Großunternehmer von den unmittelbaren wirtschaftlichen Konsequenzen des politischen Umbruchs nicht verschont, wie sie sich in Form von Streiks und Produktionsunterbrechungen bemerkbar machten.[30]
– Doch im Gegensatz zu kleinen und mittleren Betrieben konnten die großen Privatfirmen ihre Verluste im Inland nicht zuletzt durch das Auslandsgeschäft zumindest teilweise kompensieren. Außerdem hatten sie einen ausreichenden finanziellen Spielraum, um konjunkturelle Durststrecken zu überstehen.[31] Die Vormachtstellung der etablierten Unternehmerelite in Ägyptens Wirtschaft blieb daher bestehen.
Der Umgang der Muslimbruderschaft mit der etablierten Unternehmerelite
– Der Zusammenbruch des alten Regimes eröffnete der Muslimbruderschaft die Chance, in Ägypten die Regierung zu übernehmen. Als größte und am besten organisierte Oppositionskraft der Mubarak-Ära konnte die Bruderschaft auf einen leichten Wahlsieg hoffen. Die Bewegung unterstützte daher den von der Militärführung forcierten graduellen Transformationsprozess, der zunächst die Durchführung von Wahlen und erst in einem zweiten Schritt die Ausformulierung einer neuen Verfassung vorsah. Tatsächlich konnte die von der Bruderschaft gegründete Freiheits-und Gerechtigkeitspartei (Freedom and Justice Party – FJP) bei den zum Jahreswechsel 2011/2012 abgehaltenen Parlamentswahlen einen deutlichen Sieg erringen. Sie vereinigte mehr als 40 Prozent der Stimmen auf sich. Allerdings waren Wahlsiege im Post-Mubarak- Ägypten auch für die Muslimbruderschaft keineswegs garantiert. Das verdeutlichten die ersten freien Präsidentschaftswahlen, die im Mai und Juni 2012 stattfanden, sowie das Referendum über eine neue, von der Muslimbruderschaft maßgeblich forcierte Verfassung, das im Dezember 2012 abgehalten wurde. Bei den Präsidentschaftswahlen konnte sich der Kandidat der Bruderschaft, Mohammed Mursi, erst im zweiten Wahlgang und nur mit geringem Vorsprung gegenüber seinem Konkurrenten durchsetzen. Beim Referendum stimmten zwar über 60 Prozent für die neue Verfassung. Doch die Abstimmungsbeteiligung lag unter einem Drittel, und gerade in den urbanen Zentren gelang es den Muslimbrüdern nicht, eine Mehrheit zu organisieren. Nicht zuletzt angesichts dieser Erfahrungen schien sich die Führung der Bruderschaft darüber im Klaren zu sein, dass künftige Wahlsiege greifbare Erfolge im sozialen und ökonomischen Bereich voraussetzen würden. Der Entwicklung von Ägyptens Wirtschaft nach dem Zusammenbruch des Mubarak-Regimes wurde daher hohe Priorität eingeräumt. Die etablierte Unternehmerelite sah man in diesem Prozess keineswegs als Gegner. Im Gegenteil: Die Bruderschaft arbeitete darauf hin, diesen Teil der alten Eliten als Partner im Transformationsprozess des Landes zu gewinnen. Das verdeutlichten – wie im Folgenden gezeigt wird – die wirtschaftspolitische Agenda der Organisation, ihre Bemühungen, Netzwerke ins Unternehmerlager auf- und auszubauen sowie ihr Ansatz, Korruption und Misswirtschaft der Mubarak-Ära aufzuarbeiten.
Die wirtschaftspolitische Agenda und ihre Umsetzung
– Im Frühjahr 2011 beauftragte die Führung der Bruderschaft Kheirat al-Shater damit, das politische Programm der Bewegung umfassend zu überprüfen und zu überarbeiten. Al-Shater, der stellvertretende spirituelle Führer der Bruderschaft, war erst im März des Jahres vom Hohen Militärrat vorzeitig aus dem Gefängnis entlassen worden. Selbst Großunternehmer, verwaltete er seit der Jahrtausendwende die Finanzen der Organisation und war so zum mächtigsten Strippenzieher innerhalb der Bruderschaft aufgestiegen.[32] Vor allem aber hatten über ihn Mitglieder des wirtschaftsliberalen Unternehmerflügels maßgeblich an Einfluss unter den Führungskadern der Gruppe gewonnen, darunter al-Shaters langjähriger Geschäftspartner Hassan Malek sowie Mitglieder der einflussreichen Al-Haddad-Familie aus Alexandria.[33] Unter al-Shaters Führung wurden im Rahmen des »Renaissance-Projekts« (Mashru’a al-Nahda) mehrere Arbeitsgruppen gebildet, die zu verschiedenen Politik-feldern langfristige Strategien für die Muslimbruderschaft entwickeln sollten.[34] Zudem wurden Expertenteams in andere Länder entsandt, um die Übertragbarkeit der dort praktizierten Entwicklungsmodelle auf Ägypten zu prüfen.[35] Die Ergebnisse des Nahda-Projekts gingen sowohl in die Programmatik der FJP als auch in Mursis Präsidentschafts-Wahlprogramm ein.[36] Auffällig war, dass beide Dokumente in ihrer grundsätzlichen wirtschaftspolitischen Ausrichtung keine gravierenden Unterschiede gegenüber jener des alten Regimes aufwiesen.[37] Zwar grenzten sich die Programme in Einzelpunkten explizit von der Politik der Mubarak-Ära ab. So wurden etwa Änderungen bei der Privatisierung öffentlicher Unternehmen angekündigt, da die bisherige Politik zu wenig auf die Generierung neuer Investitionen ausgerichtet gewesen sei. Doch eine Abkehr von der unter Mubarak eingeschlagenen Privatsektor-Orientierung wurde nicht gefordert. Vielmehr wurde dem privaten Sektor die zentrale Rolle im Entwicklungsprozess des Landes eingeräumt, bei gleichzeitigem Weiterbestehen eines starken öffentlichen Sektors – eine Sprachregelung, die der unter Mubarak entspricht.
– Auch sahen die Programme – entgegen manchen Erwartungen – keineswegs vor, ein islamisches Wirt- schaftssystem zu errichten, etwa durch Einführung eines islamischen Bankensystems, mit dem sich das im Koran verankerte Zinsverbot durchsetzen ließe.
– Den Interessen ausländischer Investoren, aber auch der westlich geprägten Unternehmerelite würde dies zuwiderlaufen. Und selbst bei den Punkten Armuts bekämpfung und Stärkung unterprivilegierter Bevölkerungsgruppen wurden keine grundsätzlich neuen Akzente gesetzt. Zwar kündigte man eine massive Steigerung staatlicher Aktivitäten an, gleichzeitig aber wurde die herausragende Rolle von Stiftungen und Wohltätigkeitsorganisationen betont.
– Eine Umverteilung durch eine konsequente Reform des ägyptischen Steuersystems – die insbesondere die Unternehmerelite treffen würde – war nicht vorgesehen.[38]
– Al-Shater wurde unterdessen nicht müde, öffentlich die Bedeutung der unter Mubarak begonnenen und im Inland höchst umstrittenen Politik öffentlich-privater Partnerschaften (Public Private Partnerships) für die Entwicklung der Infrastruktur zu betonen.[39]
– Und Hassan Malek lobte sogar ausdrücklich die Anstrengungen des ehemaligen Industrieministers Rachid Mohammed Rachid, insbesondere mit Blick auf die Generierung ausländischer Direktinvestitionen.[40] Die grundsätzliche konzeptionelle Nähe zur Wirtschaftspolitik des alten Regimes und die damit verbundene Hinwendung zur Privatwirtschaft spiegelten sich in den Entscheidungen der Mursi-Administration wider. Per Dekret nahm der Präsident im November 2012 Einfluss auf die Besetzung von Führungspositionen bei der staatlich kontrollierten Gewerkschaft Egyptian Trade Union[e] Federation (ETUF), anstatt sich – wie aus der Zivilgesellschaft gefordert – für eine um- fassende Reform des Gewerkschaftssystems in Ägypten einzusetzen.
[41]
– Auch die Änderungen im Steuerrecht, welche der von der Muslimbruderschaft dominierte Shura-Rat im Mai 2013 verabschiedete, blieben marginal und trugen keineswegs zu einer höheren sozialen Ausgewogenheit der Wirtschaftspolitik bei. Zwar wurden die bestehenden Stufensätze im Einkommen- steuersystem von der Mursi-Administration gering- fügig modifiziert. Dies bedeutete jedoch kaum, dass dem Prinzip der steuerlichen Leistungsfähigkeit nun stärker Rechnung getragen wurde.
– Gleiches galt für die Unternehmensbesteuerung. Die Mursi-Administration setzte zwar eine Steuererhöhung um fünf Pro-zentpunkte durch, für sämtliche Unternehmen gilt allerdings die gleiche Steuerrate (von 25 Prozent).
– Auch bei der Besteuerung von Kapitalerträgen gab es keine umfassenden Änderungen. Noch 2011 hatte die FJP in ihrem Wahlprogramm angekündigt, eine Steuer auf Aktiengewinne einführen zu wollen. Entsprechende Steuern, die bereits von der Regierung unter dem SCAF angekündigt worden waren, implementierte die Mursi-Administration Ende 2012 in abgeschwächter Form. Nach Protesten aus dem Finanzsektor machte die Regierung allerdings einen Rückzieher – sie schaffte die Steuer nur zwei Wochen nach ihrer Einführung wieder ab.
[42]
– Auch gegenüber den internationalen Geberinstitutionen, allen voran dem Internationalen Währungsfonds, änderte sich die ägyptische Politik unter Mursis Präsidentschaft nicht. Bereits 2011, unter der vom Obersten Militärrat eingesetzten Regierung, begannen Verhandlungen mit dem IWF über einen Beistandskredit zur Bekämpfung von Ägyptens steigendem Zahlungsbilanzdefizit. Die Muslimbruderschaft verknüpfte damals ihre Zustimmung mit der Forderung, vom Militärrat an der Regierung beteiligt zu werden, was dieser allerdings ablehnte.
– Nach Mursis Wahlsieg wurden die Kreditverhandlungen wieder aufgenommen. Allerdings befürchtete die Mursi-Administration offenbar, eine Einigung mit dem IWF könnte sich negativ auf die Chancen der FJP bei den kommenden Parlamentswahlen auswirken. Die Regierung versuchte daher zunächst, sich durch eine exzessive Kreditaufnahme bei befreundeten islamischen Ländern, allen voran Katar, Zeit zu verschaffen.
[43]
– Dass es bis zum Sturz Mursis durch das Militär zu keiner Einigung auf einen Kreditvertrag mit dem IWF kam, resultierte somit keineswegs aus grundsätzlichen ideologischen Bedenken der Regierung, sondern war vor allem ihrem realpolitischen Taktieren geschuldet.
– Realpolitik prägte auch das Verhalten der Mursi-Administration gegenüber dem Wirtschaftsimperium des Militärs.
– Obwohl sich die Regierungspolitik grundsätzlich am Privatsektor orientierte, wurde die Rolle des Militärs in der ägyptischen Wirtschaft nicht in Frage gestellt. Durch die von der Muslimbruderschaft forcierte neue Verfassung erhielt der von Militärs dominierte »Nationale Verteidigungsrat« die alleinige Kontrolle über die ökonomischen Aktivitäten des Militärs.[44]
– Die Militärunternehmen konnten zudem auch nach Mursis Machtübernahme von der engen Kooperation mit den zivilen Ministerien und der damit einhergehenden Vergabe öffentlicher Aufträge profitieren.
[45]
Einstieg in die formelle Wirtschaft und Ausbau von Netzwerken zur etablierten Unternehmerelite
– Parallel zur Ausarbeitung der wirtschaftspolitischen Agenda durch die Muslimbruderschaft begannen die Unternehmer der Bewegung damit, ihre eigenen Aktivitäten auszuweiten. Unter Mubarak hatte sich Ägyptens Regime bemüht, die wirtschaftliche Basis der Bruderschaft möglichst klein zu halten. Vor allem bei der letzten großangelegten Verhaftungswelle Ende 2006 waren wirtschaftlich aktive Führungspersonen im Visier der Sicherheitskräfte. Zahlreiche kleinere Unternehmen und Unternehmensbeteiligungen wurden damals beschlagnahmt.
– Um sich vor Zugriffen des Staates zu schützen, waren die Unternehmer der Bruderschaft allerdings kaum in der formellen Wirtschaft tätig gewesen, zumindest nicht im großen Stil. Aus diesem Grund gibt es auch nur wenig verlässliche Informationen über die Aktivitäten von Mitgliedern der Bruderschaft in der ägyptischen Wirtschaft. Anschuldigungen politischer Gegner, wonach Muslimbrüder Milliarden US-Dollar schwere Unternehmensimperien kontrollierten, dürften jedenfalls stark übertrieben sein.
– Nachdem sie im Zuge des politischen Umbruchs aus dem Gefängnis entlassen worden waren, bemühten sich die Unternehmer der Bruderschaft erfolgreich darum, konfiszierte Vermögenswerte zurückzuerlangen und den Ausbau ihrer Firmen voranzutreiben.[46] Beispielhaft dafür war die Gründung der Supermarktkette Zad Markets durch die Familie Kheirat al-Shaters. Der Discounter soll nach dem Vorbild des deutschen Aldi-Konzerns mit einem großen Filialnetz preiswerte Lebensmittel anbieten.[47]
– Für die etablierte Wirtschaftselite waren solche Projekte allerdings kaum eine Bedrohung. Zum einen beschränkten sich die unternehmerischen Aktivitäten von Muslimbrüdern vor allem auf den Einzelhandelssektor.[48] Zum anderen waren die Mitglieder der traditionellen Elite in der ägyptischen Wirtschaft zu dominant, als dass neugegründete Firmen eine direkte Konkurrenz darstellen konnten. Auch angebliche Versuche von Muslimbrüdern, sich bestehende Großunternehmen anzueignen, blieben – sofern es diese Versuche überhaupt gab – erfolglos.
– Flankiert wurden die Bemühungen, in den formellen Wirtschaftssektor zu expandieren, mit dem Aufbau eines der Bruderschaft nahestehenden Unternehmerverbandes, der Egyptian Business Development Association (EBDA).
– Vorsitzender von EBDA, die offiziell im März 2012 ihre Arbeit aufnahm, wurde Hassan Malek, der maßgeblich für die Beziehungen der Bruderschaft zum privaten Unternehmerlager zuständig war. Die Vereinigung wurde nach dem Vorbild des türkischen Unternehmerverbandes MÜSIAD gegründet, der eng mit der regierenden AKP verbunden ist.[49] Für eine Mitgliedschaft wurde die Zugehörigkeit zur Bruderschaft keineswegs zur Voraussetzung ge- macht. Bis Februar 2013 konnte der Verband 600 Mitglieder gewinnen, darunter auch einige Christen.
[50]
– Ziel von EBDA war somit nicht nur, den Unternehmern der Bruderschaft beim Einstieg in den formellen Wirtschaftssektor zu helfen, sondern auch ein der Organisation freundlich gesinntes Unternehmerlager aufzubauen.[51] Dabei war der Verband nicht als Konkurrenz zu anderen Unternehmervereinigungen konzipiert. Im Gegenteil: Unter den Führungsmitgliedern von EBDA waren auch Vorstände anderer Verbände, wie der Agrargroßhändler Samir al-Naggar, der den Verband für Agrarwirtschaft führt, oder Mohammed Mo’men, der dem Vorstand des Verbands der Lebensmittelindustrie angehört.[52]
– Dennoch hatte EBDA offenbar einen exklusiveren Zugang zum politischen Machtzentrum um Präsident Mursi als andere Verbände, was sich insbesondere bei Auslandsreisen des Staatschefs zeigte: In den Wirtschaftsdelegationen, die Mursi begleiten durften, waren vor allem Mitglieder der neuen Vereinigung vertreten, was wiederum Kritik im restlichen Unternehmerlager hervorrief.
[53]
Mit der Gründung von EBDA verfolgte die Führung der Muslimbrüder offenkundig auch das Ziel, die Beziehungen zur etablierten Unternehmerelite auszubauen.
– Obwohl Vertreter der Bruderschaft immer wieder die Bedeutung von kleinen und mittleren Betrieben für Ägyptens Wirtschaft betonen, finden sich unter den Mitgliedern von EBDA auch Namen aus der etablierten Unternehmerelite.[54] Einigen dieser Unternehmer wurden bereits unter Mubarak lose Verbindungen zur Muslimbruderschaft nachgesagt.
– Verwunderlich war das nicht, weil die sozialen Milieus, in denen sich führende Muslimbrüder und Angehörige der Unternehmerelite bewegten, keineswegs immer verschieden waren. Einzelne Mitglieder der Bruderschaft gehörten der ägyptischen Oberschicht an und waren in deren soziale Netzwerke eingebunden.[55]
– Ein Großunternehmer, dessen Name in diesem Zusammenhang bereits vor 2011 hinter vorgehaltener Hand immer wieder genannt wurde, war Safwan Thabet. Trotz seiner verwandtschaftlichen Verbindung zu dem ehemaligen geistigen Führer der Muslimbruderschaft, Ma’mun al-Hudaybi, gelang es Thabet, in der Mubarak-Ära ein Molkerei-Imperium aufzubauen. Sein 1983 gegründetes Unternehmen Juhayna erreichte bis 2011 in einigen Geschäftsfeldern Marktanteile von über 70 Prozent und einen Marktwert von rund 770 Millionen US-Dollar.[56] Thabet hatte es geschickt verstanden, sich durch den Aufbau von Netz- werken politisch abzusichern. Den Börsengang des Unternehmens im Jahr 2010 übernahm beispielsweise die Investmentbank EFG-Hermes, an der auch Präsidentensohn Gamal Mubarak beteiligt war.[57] Diese Nähe zum Regime dürfte auch Grund dafür gewesen sein, dass Thabet Anfang 2011 auf die »Blacklist« der Staatsanwaltschaft gesetzt wurde – eine Entscheidung, die allerdings bereits nach wenigen Wochen wieder rückgängig gemacht wurde.[58] Seitdem war der Unternehmer auch offiziell eng mit der Bruderschaft verbunden. Thabet gehörte zu den Gründungsmitgliedern von EBDA.
– Darüber hinaus schlossen sich auch Mitglieder der etablierten Unternehmerelite, denen zuvor keine Nähe zur Bruderschaft nachgesagt worden war, der neuen Unternehmervereinigung an. Exemplarisch dafür sind der Textilunternehmer Farid al-Khamis (Oriental Weavers) und der Kabelproduzent Ahmed El-Sewedy (Sewedy Cables). Beide gehörten unter Mubarak sogar dem kleinen Kreis der Unternehmer- Kernelite an. Und obwohl beide nicht zu den politisch exponierten Unternehmerpersönlichkeiten zählten, pflegten sie enge Kontakte zur politischen Elite. Ein weiteres Beispiel ist der Banker Abdel Salam al-Anwar, der innerhalb der EBDA zum Vorsitzenden des Komitees für die Finanzwirtschaft ernannt wurde.[59]
–