Nell’area di influenza della Cina (I)/AT: La pace è oltre l’orizzonte del Mar di Cina meridionale

Asia S-E, Germania, Cina
Gfp     120427
Nell’area di influenza della Cina (I)
+ Asia Times   120428

La pace è oltre l’orizzonte del Mar di Cina meridionale

Jingdong Yuan

–   Stati Uniti e UE, in crisi economica, stanno cercando di migliorare la propria posizione nei paesi dell’Asean,

o   con i quali la Cina sta velocemente intensificando le relazioni economiche e con esse la propria influenza politica:

o   l’interscambio commerciale Cina-Asean ha superato quello di Giappone, di Usa e della UE; dal 1° gennaio è in vigore un accordo di libero scambio tra Cina e Asean.

o   gli IED (Investimenti Esteri Diretti) della Cina sono ancora inferiori a quelli dei tre, anche se in recupero.

–   Gli Usa cercano di incunearsi nei conflitti tra Pechino e vari paesi Asean proponendosi come alleati di questi ultimi; la scommessa è contenere Pechino, senza uno scontro diretto e senza farsi intrappolare nelle dispute territoriali, per difendere i propri interessi e presenza nella regione.

o   Si tratta della vecchia contesa su vari gruppi di isole nel Mar cinese meridionale – dove si troverebbero enormi giacimenti di materie prime (petrolio e gas)[1] – che contrappone tra loro anche i paesi dell’Asean, e che si sta rinfocolando sulla spinta

o   della crescente domanda di energia e risorse per sostenere la crescita economica e la dipendenza crescente dalle importazioni da MO, Africa e Golfo;

o   dalla crescente retorica nazionalista diffusa via internet in Cina e dalle manifestazioni  anti-cinesi in Vietnam …

o   dalla consapevolezza che per una potenza emergente come la Cina il potere sui mari è fondamentale … e

o   dalla disponibilità finanziaria, fornita da due decenni di crescita, per ammodernamento di forze armate e armamenti …

–   Dagli anni Novanta Pechino ha cercato di risolvere diplomaticamente questi conflitti; nel 2002 ha sottoscritto una dichiarazione congiunta con Asean per la promulgazione di un “Codice di comportamento” per il Mar cinese meridionale.

o   Nel nov. 2011 il primo ministro cinese, Wen Jiabao, ha annunciato la costituzione di un Fondo Cina-Asean di 3MD di yuan ($475mn) per la cooperazione marittima.

–   Ora però le parti più deboli nella disputa, soprattutto Filippine e Vietnam, hanno interesse ad accettare la proposta di alleanza americana contro Pechino e di rafforzamento delle relazioni militari bilaterali, e di acquisto di equipaggiamenti americani

o   oggi (27.04.2012) termina una manovra militare congiunta Usa-Vietnam di 5 giorni nel Mar cinese meridionale, vi hanno partecipato 1400 soldati americani e soldati vietnamiti; poco tempo prima c’era stato un addestramento militare congiunto di Usa e Filippine.

–   UE e Germania, rimaste indietro rispetto alla Cina dal punto di vista economico, cercano di tenere il passo con l’ascesa cinese e l’annunciato spostamento dell’attenzione strategica americana sul Pacifico:

o   falliti nel 2009 i negoziati per un accordo di libero scambio con Asean, la UE cerca di ottenerlo con accordi bilaterali con i maggiori paesi Asean, ha avviato negoziati con Singapore, Malesia e Vietnam;

o   il vertice dei ministri esteri Ue-Asean, che termina oggi, oltre al rafforzamento delle relazioni economiche ha come obiettivo la cooperazione per la politica di sicurezza, con una gestione congiunta delle crisi, ad es. per il conflitto nelle Filippine e nel Sud Tailandia;

o   cooperazione che dovrebbe rafforzare la posizione di Ue e Berlino nei confronti della superpotenza economica cinese proprio nel suo cortile di casa.

o   Rientra in questo progetto l’intensificazione da qualche tempo della cooperazione della Bundeswehr con alcuni paesi Asean; ad es. il Vietnam è considerato un candidato adatto, come pure Singapore, snodo commerciale per il S-E Asia, e di grande importanza geostrategica per la posizione sullo stretto di Malacca, una delle rotte marittime più importanti del mondo.

o   Singapore ha acquistato circa oltre €900 mn. di armamenti tedeschi dal 2005 al 2010; ha in dotazione i carri armati tedeschi Leopard 2; dal 2009 350 suoi militari vengono addestrati annualmente in Germania, oltre che sulle caratteristiche tecniche, sull’arte militare.

o   Il sultanato del Brunei, che ospita il vertice UE-Asean e che è appoggiato dagli Usa nel suo conflitto con la Cina su un gruppo di isole, nel 2009 ha acquistato dalla Germania motovedette per quasi ½ MD di €.

o   Anche la Tailandia acquista da anni armamenti dalla Germania, armi da fuoco, veicoli corazzati, aerei caccia (a marzo è fallita la trattativa per l’acquisto di 4 sommergibili tedeschi);

o   la Bundeswehr collabora nell’addestramento dei militari tailandesi, che due anni fa hanno represso proteste di massa contro il regime salito al potere con un colpo di Stato,

o   regime che ebbe l’appoggio della fondazione tedesca Friedrich-Naumann, vicina all’FDP,. Il colpo di Stato in Tailandia era stato definito dalla Fondazione Friedrich-Naumann come “tranquillo e pacifico”.

Il ministro tedesco Esteri Westerwelle (FDP), dopo il vertice, visiterà la Tailandia dove oggi sono al potere forze che si opposero ai putschisti e al regime.

[1] Le dispute territoriali sono iniziate negli anni Settanta con la scoperta della possibilità di importanti giacimenti di petroli e gas. tappe importanti: della contesa, nel 1974 e 1988 scontro militari Cina-Vietnam; nel 1992 Pechino in base a ritrovamenti storici vara una legge che definisce suoi i territori reclamati dal Vietnam; anni 1990, aumentano le tensioni tra Cina, Vietnam, Malesia, Indonesia, Brunei e Filippine; nel 1995 la Cina occupa il Mischief Reef; da allora una serie di negoziati tra Filippine e poi i 10 paesi dell’Asean, che porta nel 2002 alla firma della Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar di Cina Meridionale. Negli ultimi anni si sono rinfocolate le dispute … soprattutto tra Cina, Vietnam e Filippine, con il rischio si possano trasformare in veri e propri conflitti marittimi e militari. Con gli Usa, 2001, incidente dell’isola di Hainan, 2009 incidente della nave militare USS Impeccable.

Gfp      120427
In Chinas Einflusszone (I)
27.04.2012
BRUNEI/BANGKOK/BERLIN

–   (Eigener Bericht) – Mit einer Südostasienreise sucht der deutsche Außenminister die Stellung Berlins im unmittelbaren Umfeld Chinas zu stärken. Die boomende Volksrepublik hat in den letzten Jahren ihren ökonomischen Einfluss in den Ländern des ASEAN-Bündnisses erheblich ausgebaut und auch politisch an Stärke gewonnen.

–   Die Vereinigten Staaten, die wirtschaftlich ebenso wie Europa zurückfallen, suchen ihre Position durch Militärkooperation mit Ländern wie Vietnam und den Philippinen zu verbessern. Ein "pazifisches Jahrhundert" stehe bevor, heißt es in Washington über die Verlagerung der weltpolitischen Schwerpunkte nach Asien zum Machtkampf gegen China.

–   Berlin und Brüssel streben, um nicht ins Abseits zu geraten, ebenfalls dichtere Beziehungen zu ASEAN an. Beim heutigen EU-ASEAN-Außenministertreffen, dem auch der deutsche Außenminister beiwohnt, soll unter anderem die "sicherheitspolitische" Kooperation intensiviert werden. Möglich seien, heißt es, EU-Maßnahmen zur Intervention in den bewaffneten Konflikten Südthailands und der Philippinen.

–   Auch auf nationaler Ebene nehmen die militärischen Kontakte zu: Die Bundeswehr weitet ihre Trainingsprogramme für südostasiatische Soldaten aus, deutsche Waffenschmieden steigern ihre Rüstungsexporte.

Kalkulierte Konfrontation

–   Die prägenden Faktoren der aktuellen Situation in Südostasien hat unlängst ein Wissenschaftler des "Stockhom International Peace Research Institute" (SIPRI) in einer Publikation der Bundeswehr beschrieben.[1] Demnach hat das boomende China in den vergangenen Jahren seine wirtschaftliche Stellung dort stark ausgebaut. Es sei heute "ein zentraler Handelspartner der Länder in der Region"; in der Tat hat es im Außenhandel mit den ASEAN-Staaten [2] mittlerweile nicht nur Japan und die USA, sondern auch die EU überholt.

–   Günstig wirkt sich das Freihandelsabkommen zwischen China und ASEAN aus, das am 1. Januar 2010 in Kraft getreten ist.

–   Lediglich bei den Investitionen ist die Volksrepublik noch abgeschlagen, holt allerdings auf. Die sich rapide verdichtenden ökonomischen Bindungen sind mit steigendem politischen Einfluss verbunden. Europa und die USA fallen zurück, bemühen sich inzwischen jedoch verstärkt, Schritt zu halten. Dabei schlagen zur Zeit besonders die US-Anstrengungen hohe Wellen.

–   Um sich unentbehrlich zu machen, setzten die Vereinigten Staaten auf "eine kalkulierte Konfrontation mit China", urteilt der SIPRI-Experte: Sie nutzten Streitigkeiten zwischen Beijing und diversen ASEAN-Ländern, um sich bei diesen als Verbündeter gegen China unentbehrlich zu machen. Anlass böten Territorialkonflikte im Südchinesischen Meer.

Manöver gegen China

–   Tatsächlich streiten sich China und eine Reihe von ASEAN-Staaten um den Besitz verschiedener Inselgruppen im Südchinesischen Meer, die aufgrund unter dem Meeresboden vermuteter großer Rohstoffvorkommen von beträchtlicher Bedeutung sind.

–   Die Konflikte sind alt und entzweien auch ASEAN-Mitglieder untereinander. Beijing bemüht sich seit den 1990er Jahren um eine Lösung der Streitigkeiten auf diplomatischem Weg [3] und hat im Jahr 2002 in einer gemeinsam mit ASEAN unterzeichneten Erklärung der Verabschiedung eines "Verhaltenskodexes" für das Südchinesische Meer zugestimmt [4]. Im November 2011 kündigte der chinesische Ministerpräsident Wen Jiabao die Einrichtung eines China-ASEAN-Fonds von drei Milliarden Yuan (475 Millionen US-Dollar) an, um die maritime Kooperation auszubauen.

–   Vor allem zwei ASEAN-Mitglieder – die Philippinen und Vietnam – sind jedoch mittlerweile dazu übergegangen, Washingtons gegen Beijing gerichtetes Bündnisangebot anzunehmen und die bilateralen Militärbeziehungen zu stärken. An diesem Freitag geht ein fünftägiges Manöver von rund 1.400 US-Soldaten sowie vietnamesischen Militäreinheiten im Südchinesischen Meer zu Ende. Kurz zuvor hatten die Streitkräfte der USA und der Philippinen gemeinsam trainiert. Der "konfrontative Kurs" sei innerhalb ASEANs keineswegs unumstritten; er habe bereits erkennbar "Stirnrunzeln verursacht", teilt der SIPRI-Experte mit.[5]

Krisenmanagement

–   Vor dem Hintergrund wachsenden chinesischen Einflusses und der von den USA angekündigten weltpolitischen Schwerpunktverlagerung ("pazifisches Jahrhundert" [6]) bemühen sich auch Berlin und Brüssel, den Anschluss nicht zu verlieren. Ökonomisch hinkt die EU China klar hinterher: Die Verhandlungen über ein Freihandelsabkommen zwischen ihr und ASEAN sind 2009 gescheitert. Brüssel will nun wenigstens mit den bedeutendsten ASEAN-Staaten solche Abkommen schließen und hat darüber Gespräche mit Singapur, Malaysia sowie zuletzt Vietnam aufgenommen.

–   Auf dem Wege der Spaltung der Verhandlungspartner wolle man Hindernisse aus dem Weg räumen, um schließlich doch noch eine gemeinsame Freihandelsvereinbarung zwischen der EU und ASEAN zu erzielen, wird EU-Handelskommissar Karel De Gucht zitiert.[7] Das am heutigen Freitag zu Ende gehende EU-ASEAN-Außenministertreffen hat – außer dem Ausbau der Wirtschaftskontakte – vor allem eine Erweiterung der "sicherheitspolitischen" Kooperation zum Ziel. Man werde über ein gemeinsames "Krisenmanagement" diskutieren, kündigt die EU-Außenbeauftragte Ashton an.[8] In Frage kämen beispielsweise EU-Projekte zur Beilegung bewaffneter Konflikte auf den Philippinen [9] und im Süden Thailands, spekulieren Medien; einen Anfang habe Brüssel schon vor Jahren mit seiner Intervention im indonesischen Aceh gemacht (german-foreign-policy.com berichtete [10]).

Militärkooperation

–   Stärkere "sicherheitspolitische" Aktivitäten gleich welcher Art gelten in Berlin und Brüssel als unumgänglich, um die deutsch-europäische Stellung gegenüber dem wirtschaftlich übermächtigen China in dessen südostasiatischem "Hinterhof" auszubauen.

–   Dazu gehört, dass die Bundeswehr seit geraumer Zeit ihre Kooperation mit ausgewählten ASEAN-Ländern intensiviert. Dies gilt etwa für Vietnam, wo Deutschland – dies behaupten die deutschen Streitkräfte – "Wunschkandidat für eine noch intensivere Zusammenarbeit mit dem Westen" sei.[11] Ausgedehnt wird auch die Kooperation mit Singapur, das nicht nur als Handelsdrehscheibe für Südostasien fungiert, sondern auch wegen seiner Lage an der Meerenge von Malakka, einer der wichtigsten Seehandelsstraßen der Welt, hohe geostrategische Bedeutung hat.

–   Weil Singapur seine Panzerstreitkräfte mit dem deutschen Leopard 2 ausgerüstet hat, trainieren seit 2009 jährlich rund 350 seiner Soldaten in Deutschland; sie erhalten nicht nur Einweisung in die technische Bedienung der Kampfpanzer, sondern inzwischen auch eine vollständige Gefechtsausbildung. Singapur gehört seit Jahren zu den größten Abnehmern deutscher Rüstungsexporte; seine Käufe bei deutschen Waffenschmieden beliefen sich in den Jahren 2005 bis 2010 auf insgesamt über 900 Millionen Euro.

–   Das Sultanat Brunei, Gastgeber des heutigen Treffens der EU- und der ASEAN-Außenminister, war 2009 der viertgrößte Käufer deutschen Kriegsgeräts: Es kaufte für fast eine halbe Milliarde Euro deutsche Patrouillenboote.[12] Brunei liegt mit China im Streit um eine Inselgruppe im Südchinesischen Meer; das Beispiel zeigt, wie Berlin mit seinen Rüstungsexporten Staaten bedient, deren Territorialansprüche von den USA gegen die Volksrepublik unterstützt werden.

Ein entspannter Putsch

–   Zu den ASEAN-Staaten, die Berlin mit Rüstungsexporten und militärischen Trainingsmaßnahmen in Stellung bringt – zumindest potenziell gegen China -, gehört auch Thailand. Der Staat, in den Außenminister Westerwelle nach dem heute zu Ende gehenden ASEAN-Ministertreffen weiterreist, wird seit Jahren regelmäßig mit Rüstungsprodukten aus Deutschland beliefert – von Schusswaffen inklusive Munition über gepanzerte Mannschaftstransporter bis hin zu Jagdbombern. Der Kauf von vier ausgemusterten U-Booten der deutschen Kriegsmarine ist im März geplatzt – nicht weil Berlin Einwände gehabt hätte, sondern weil die thailändische Regierung sich dagegen entschied.

–   Daneben leistet die Bundeswehr militärische Ausbildungshilfe für die Streitkräfte des Landes. Vor rund zwei Jahren geriet Berlin wegen seiner Unterstützung für das thailändische Militär unter Kritik: Damals schossen Thailands Repressionsapparate Massenproteste nieder, die sich gegen das mit Hilfe von Putschisten installierte Regime in Bangkok wandten.

–   Besondere Unterstützung erhielt das Regime damals von der Friedrich-Naumann-Stiftung (german-foreign-policy.com berichtete [13]), die der Partei von Außenminister Westerwelle nahe steht.

–   Heute sind in Bangkok – demokratisch gewählt – Kräfte an der Macht, die in Opposition zu den Putschisten und dem von ihnen installierten Regime standen und von den Partnern der Friedrich-Naumann-Stiftung blutig bekämpft wurden. Zumindest die FDP hat sich an die neue Lage angepasst. Ihre Parteistiftung lobte noch vor wenigen Jahren, der Staatsstreich in Thailand sei ein "entspannter und gemütlicher" Putsch gewesen.[14] Heute bestätigt ihr Minister ausdrücklich, er werde in Bangkok "demokratische Entwicklungen" fördern.[15]

[1] Bernt Berger: Dominanz oder Kooperation im "pazifischen Zeitalter"? Die USA und China zwischen militärischen und politischen Sicherheitsstrukturen; www.readersipo.de 26.01.2012

[2] ASEAN gehören Brunei, Indonesien, Kambodscha, Laos, Malaysia, Myanmar, die Philippinen, Singapur, Thailand und Vietnam an.

[3] Andreas Ufen: Die ASEAN – ein südostasiatischer Modellfall regionaler Kooperation?, in: Dirk Nabers, Andreas Ufen (Hg.): Regionale Integration – Neue Dynamiken in Afrika, Asien und Lateinamerika, Hamburg 2005

[4] ASEAN and China sign declaration on the code of conduct in the South China Sea; www.aseansec.org 04.11.2002

[5] Bernt Berger: Dominanz oder Kooperation im "pazifischen Zeitalter"? Die USA und China zwischen militärischen und politischen Sicherheitsstrukturen; www.readersipo.de 26.01.2012

[6] s. dazu Das pazirische Jahrhundert

[7] EU Trade Chief Stresses Importance of Asia Trade; online.wsj.com 01.04.2012

[8] Catherine Ashton: An expanding partnership for ASEAN-EU; www.phnompenhpost.com 26.04.2012

[9] s. dazu Auf nach Asien! (III)

[10] s. dazu Im Schatten der Katastrophe, Langfristiger Einsatz und Vorauskommando

[11] Zu Gast beim Vietnamesischen Sanitätsdienst; www.sanitaetsdienst-bundeswehr.de 08.10.2010. S. dazu Verbündete gegen Beijing (I)

[12] s. dazu Ein Feuerring um China

[13] s. dazu Freunde der Monarchie, Das Netzwerk Monarchie, Nach dem Blutbad und Notwendige Übel

[14] s. dazu Ein entspannter und gemütlicher Putsch

[15] Enge Zusammenarbeit mit Südostasien; www.auswaertiges-amt.de 26.04.2012

Copyright © 2005 Informationen zur Deutschen Außenpolitik

 

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Asia Times      120428
Peace lies beyond the South China Sea horizon
By Jingdong Yuan

–   SYDNEY – The ongoing standoff between China and the Philippines over the Scarborough Shoal (Huangyan Island in Chinese) is again focusing the international spotlight on the long-standing territorial disputes between China and a number of claimant states in the South China Sea.

–   The latest tension began in early April when a Philippine naval frigate confronted Chinese fishermen and attempted to place them under arrest under the charge of illegal fishing and poaching in what Manila claims as its territory.

–   Beijing responded by sending its maritime surveillance vessels to the area to block the Philippine warship. The two countries subsequently entered into discussions with each side standing firm on its territorial claims while pledging a diplomatic way out. At the time of writing the Chinese maritime vessels and fishing boats have reportedly left the Scarborough Shoal. But the maritime disputes are far from over.

–   Territorial disputes in the South China Sea emerged in the early 1970s when it was discovered that the region could contain significant deposits of oil and natural gas.

–   China and Vietnam were embroiled in military clashes in 1974 and 1988 and in 1992 Beijing promulgated legislation making territorial claims to the South China Sea based on historical discoveries.

–   The 1990s saw an escalation of tensions between China and the other Southeast Asian claimants – Vietnam, Malaysia, Indonesia, Brunei, and the Philippines, with the 1995 Chinese occupation of the Mischief Reef the most controversial development. Since then, Beijing and Manila, and subsequently China and the 10-member Association of Southeast Asian Nations (ASEAN) entered into a series of dialogues and negotiation, paving the way for the signing of the Declaration on the Conduct of Parties in the South China Sea in 2002.

–   Over the past few years, however, some of the key claimant states to the territorial disputes in the South China Sea, principally China, Vietnam, and the Philippines, have sought to reiterate and strengthen their claims both through stating their positions publicly and by taking more assertive and at time aggressive actions to stake out their claims based on their own interpretations of the 1982 United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS).

These include more active maritime surveillance and exploration activities, tussles over fishing grounds, arrests and harassment of fishermen by each country’s maritime authorities, and threats and endangerment of foreign navigation. These developments have caused serious concerns over the potential escalation of disputes into major maritime and military conflicts.

This is in sharp contrast to the relative peace and tranquillity since the signing of the Declaration on the Conduct of Parties in the South China Sea in 2002 by China and ASEAN countries. What happened?

–   The Scarborough Shoal dispute is a reflection of the underlying tension and competition between China and its neighbors over sovereignty, resources, and security in the South China Sea and has deeper strategic drivers beyond the immediate zone of potential conflict.

–   One is the growing need of all the claimant states for energy and resources in order to sustain growth and achieve prosperity against shrinking land-based resources and growing dependence on critical production inputs imported from the Middle East, Africa, and the Persian Gulf. This recognition of the potential limits to future growth highlights the importance of the South China Sea.

–   Second, while none of the claimant states is unrealistic enough to believe that it can secure its territorial claims against the others short of using military force and risking significant diplomatic backlash and serious economic consequences, each has strong incentives to stand on and strengthen its claim, hoping to be better positioned in future negotiations on the final resolution of the dispute.

–   Rising nationalism and the revolution in communications provide accessible and increasingly influential platforms for public opinions that in turn affect foreign policy formulation and implementation, making conciliation difficult. Witness the highly nationalistic rhetoric in China’s blogosphere and anti-China demonstrations on the streets of Hanoi and Ho Chi Minh City.

–   Third, for rising powers such as China, a growing debate and emerging consensus have informed leaderships that sea power, even for continental countries, is the key to commanding the global commons and an essential ingredient of great powers in the future.

–   And finally, growth and prosperity over the past two decades in East Asia provide the financial wherewithal for military modernization, in particular in the naval patrol and power projection capabilities.

–   The geostrategic ramifications of the ongoing territorial disputes in the South China Sea go beyond their geographic confines and affect US interests and its relations with China. To begin with, the growing Chinese assertiveness, whether misperceived or real, raises serious questions about US interests and staying power in the region, as well as the credibility of its alliance commitments.

–   First, the re-emergence and intensification of territorial disputes are taking place during a period of perceived US retraction from the region in the aftermath of the Afghanistan and Iraq wars and the global financial crisis of 2008, which have left Washington increasingly focused on domestic issues and budgetary woes. In contrast, the past decade has witnessed the phenomenal rise of China, in economic power, political influence, and military capabilities.

–   Second, China’s sovereignty claims and its growing assertiveness directly challenge what Washington has always regarded as its fundamental right – freedom of navigation in the South China Sea. This allows the US to carry out its diplomatic and military missions and fulfill its alliance commitments, including joint military exercises, search and rescue, and humanitarian assistance.

–   However, while Beijing maintains that it does not challenge the principle of freedom of navigation, it does raise serious concerns over and publicly objects to the military intelligence gathering and surveillance close to China’s naval installations. The Hainan Island incident in 2001 and the USS Impeccable incident of 2009 are reflection of this growing tension between China and the United States.

–   Third, being the smaller and weaker parties to the South China Sea disputes, Vietnam and the Philippines, and indeed other ASEAN claimant states, naturally have strong incentives to get US support to counter China. In recent years, Hanoi and Manila have sought out and engaged Washington in ever expanding military, as well as diplomatic and economic ties, with defense exchanges, naval port calls and joint exercises, and purchases of US equipment. Manila in particular has sought to secure firm commitments from Washington with regard to the latter’s obligation to the 1951 mutual defense treaty should the country get into military conflicts with China.

–   This presents serious challenges for the Barack Obama administration – not least how to manage China’s rise and not be entrapped in the territorial disputes in the South China Sea. The administration’s "pivoting" or "rebalancing" to East Asia is clearly driven by its geo-strategic calculations against the changing power relations in the region. But this hedging does not preclude engaging China and certainly does not preordain direct confrontation between the world’s two largest powers.

–   Clearly, the right approach for Washington is to remain impartial while encouraging dialogue among the claimant parties. To strengthen its own case in maritime navigation, the US has to seriously consider its legal status within the framework of UNCLOS. But most importantly, Washington and Beijing need to discuss and/or implement existing and new bilateral mechanisms to manage and prevent future incidents at sea that could drag the two navies into open conflict. The next round of Strategic and Economic Dialogue may be the right platform to begin serious discussion.

Proper management and eventual resolution of the territorial disputes in the South China Sea requires both bilateral (China vis-a-vis its key claimant states and US-China) and multilateral efforts (ASEAN Regional Forum, ASEAN plus one, plus three, East Asia Summit) for crisis management, conflict control, and confidence building. None is easy and requires strategic vision and diplomacy, which are in critical demands at a time of rising nationalism, leadership transition, and the growing importance of maritime resources for national economic development.

Dr Jingdong Yuan is Acting Director of the Center for International Security Studies and an Associate Professor at the Department of Government and International Relations, University of Sydney.

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