Mali: il nord in fiamme – Le tappe del nuovo conflitto/Una nuova guerra dell’americano Africom?

Africa Occidentale, Mali

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MALI: Una nuova guerra dell’americano Africom?
Rick Rozoff

●    Tesi: Il martellamento di notizie allarmistiche sul Mali segnala l’intenzione dell’Occidente di aprire un altro fronte militare in Africa, dopo quello libico, e le operazioni in corso in Somalia e Africa Centrale, con il recente dispiegamento di forze speciali in Uganda, Congo, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan.

o   Il Mali potrebbe essere la seconda operazione militare di Africom.

–   Nel febbraio 2011, le forze francesi con l’accordo delle forze Onu, hanno bombardato in Costa d’Avorio (confinante con il Mali) il palazzo presidenziale portando via con la forza il presidente Gbagbo.

–   AFRICOM (il comando Usa per l’Africa) è divenuto operativo per la prima volta a marzo 2011, nelle prime due settimane della guerra contro la Libia (Odissea all’alba), prima di trasferire la campagna militare alla Nato.

–   Il Mali fa parte dell’ex Africa Occidentale francese, e confina con tutte le altre ex colonie tranne il Benin, Burkina Faso, Guinea (Conakry), Costa d’Avorio, Mauritania, Niger e Senegal.

–   È il 3° maggior produttore africano di oro, dopo Sud Africa e Ghana; ha importanti giacimenti di uranio, gestiti da concessioni francesi nel Nord del paese, dove sono in corso gli scontri.

–   Le rivendicazioni dei tuareg comprendono una quota di controllo sulle miniere di uranio e sugli introiti derivanti.

–   Nel Nord, negli ultimi anni ci sono state importanti prospezioni per petrolio e gas.

–   Il Mali è uno membro chiave della Alleanza trans-sahariana contro il terrorismo creata dagli Usa nel 2005, anno della prima operazione Flintlock, con l’invio di 1000 soldati per addestrare le forze armate dei 7 membri originari dell’Alleanza: Mali, Algeria, Chad, Mauritania, Niger, Senegal e Tunisia; ad essi si sono poi aggiunti Burkina Faso, Marocco e Nigeria. Flintlock è divenuta un’esercitazione annuale con i suddetti paesi del Sahel e del Maghreb.

o   Il 7 febbraio 2012 Usa e Mali hanno iniziato esercitazioni aeree congiunte previste nell’Accordo Atlas 12, ma quelle di Flintlock 12 sono state rinviate a causa degli scontri nel Nord.

–   L’applicazione pratica dell’addestramento operato dal Pentagono e il dispiegamento nell’Africa N-O è stato il combattere contro le milizie tuareg, invece che contro i terroristi di al-Qaedan del Maghreb islamico o Boko Haram in Nigeria.

–   Anche le notizie su quanto sta accadendo in Mali, provenienti dalle grandi agenzie internazionali, quelle dei paesi Nato – come Associated Press, Reuters, Agence France-Presse, BBC News e Deutsche Presse-Agentur – riflettono i pregiudizi e gli interessi occidentali: alcuni titoli emblematici

o   di uomini Reuters, CNN, The Scotsman parlano di aiuti dalla Libia per i ribelli del Mali;

o   Agence France-Presse e Voice of America denunciano le atrocità dell’offensiva dei ribelli tuareg.

–   Dato che il Mali è a circa 500 miglia dalla Libia, passando per Algeria e/o Niger e che i ribelli tuyareg non possiedono trasporti aerei militari, la propaganda di cui sopra presuppone che i tuareg abbiano percorso questa distanza con convogli con armi pesanti, attraverso Algeria o Niger, senza essere fermati,

o   e di aver potuto lanciare un’offensiva a tre mesi dalla morte di Gheddafi.

–   Il fatto che l’Algeria in particolare sia stata complice è utile a giustificare l’espansione di interventi occidentali nella regione.

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Nigrizia          120210
Mali: il nord in fiamme – Le tappe del nuovo conflitto

Prosegue l’avanzata dei combattenti tuareg verso le grandi città del nord con il conseguente flusso di civili in fuga. La ripresa della ribellione indipendentista dei popoli di lingua tamashek, ha già provocato almeno 50.000 sfollati. Ma sta anche mettendo a dura prova il governo di Bamako alla vigilia delle elezioni.

Già sette le città del nord del Mali attaccate dal Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA).

Almeno 30.000 sfollati interni, 10.000 in Niger, 9.000 in Mauritania e 3.000 in Burkina Faso.

Offensiva improvvisa di un movimento ben organizzato e molto ben equipaggiato in armi, rafforzato, sostiene Bamako, dall’afflusso dalla Libia di ex combattenti pro-Gheddafi. Ma rinvigorito anche dalle defezioni di soldati che si uniscono ai ribelli e dal sostegno, diretto e indiretto, di una consistente parte della popolazione. Non solo touareg.

Il movimento accusa il governo di aver mantenuto un atteggiamento discriminatorio nell’inserimento di touareg ai posti di potere, e torna a rivendicare l’indipendenza dei territori della regione dell’Azawad (territorio storicamente abitato dalle popolazioni nomadi di lingua tamashek che comprende il nord del Mali e del Niger, e parte dell’Algeria del sud).

La Francia teme il dilagare del conflitto al vicino Niger e la ripresa delle ostilità dei gruppi touareg nella regione mineraria di Arlit, da cui Areva, il colosso francese del nucleare, estrae un terzo dalla sua produzione mondiale (oltre 8.600 tonnellate nel 2009). (m.t.)

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Nigrizia          080723

Mali: accordo di pace tra ribelli e governo – Ripreso il dialogo sulla base degli accordi firmati nel 2006

–   In Algeria, principale mediatore tra le due parti, 200 delegati rappresentanti del governo maliano e dei ribelli tuareg dell’“Alleanza democratica del 23 maggio per il cambiamento” hanno firmato un accordo per l’immediata fine delle ostilità,

o   che rientra negli accordi del 2006, che riaffermano l’unità del paese, e stabiliscono quindi che i ribelli non possono proclamare l’indipendenza da Bamako.

o   Nelle future trattative i ribelli avanzeranno la richiesta di poter beneficiare dei proventi dello sfruttamento dell’uranio di cui è ricca la loro terra: come in Niger, le regioni abitate dai tuareg sono le più povere del paese.

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Nigrizia          071114
Tuareg contro le multinazionali dell’uranio

–   Secondo la ricostruzione del geografo Edmond Bernus, grande specialista del mondo tuareg, Temust n imajeghan, la regione dei tuareg si estende su sette stati sahelo-sahariani (Niger, Mali, Burkina, Algeria, Libia, Mauritania, Nigeria), senza contare le diaspore (Ciad, Sudan). Tuttavia, gli imajeghan vivono per metà in Niger e per un altro terzo almeno in Mali.

–   I tuareg combattono da 130 anni per veder riconosciuta la propria dignità di popolo. Dapprima contro i colonizzatori francesi, a partire dalla famosa missione Flatters, schiacciata nel 1881 a In-Uwahen. Quindi, contro gli stati indipendenti, che ereditano dalla Francia il sistema delle frontiere coloniali e, con esso, il principio dell’inesistenza di una nazione tuareg.

–   Il sogno dell’unità politica tramonta nel 1919, con l’annientamento delle armate di Kaosen. Nel 1957 fallisce il tentativo di dar corpo all’Organizzazione comune delle regioni sahariane (Ocrs), del tutto strumentale agli interessi petroliferi della Francia.

–   Ma i tuareg hanno continuato a domandare l’autonomia amministrativa per le loro terre ancestrali nell’ambito degli ordinamenti statali.

–   La risposta è stata una serie di spedizioni militari, repressioni, promesse non mantenute, intese sancite internazionalmente ma non rispettate. Anche l’accordo di Algeri dello scorso anno, firmato dal governo maliano e dalla ribellione, è stato quasi ignorato da Bamako.

–   Il Temust n imajeghan è di nuovo in fiamme. Parecchie cancellerie sono in allerta: ogni questione riguardante i nomadisi trasforma, data la loro grande mobilità transfrontaliera, in un problema internazionale.

–   Sulla trama della dissidenza tuareg sono andati aggrumandosi altri motivi di tensione. Nella fascia sahelo-sahariana un attivo banditismo transfrontaliero alimenta traffici d’ogni tipo: armi, esseri umani, droga.

 

–   La penetrazione jihadista, particolarmente del gruppo Al-Qaida per il Maghreb islamico allarma l’Algeria, sollecita nell’aiuto logistico alle truppe regolari maliane, e gli Usa, che hanno appoggiato apertamente il Mali nelle operazioni di repressione nel Nord.

–   Dopo il Corno d’Africa, questa è la regione dove militarmente gli Usa sono più impegnati nel continente africano, e dove il Pentagono mirava a installare (lo ha fatto nel novembre 2008 N.d.R) il comando militare unificato per l’Africa (Africom).

[1]

o   In Mali la dissidenza è guidata da Ibrahim Ag Bahanga, cui si è aggiunto di recente il colonnello Hasan Fagaga: la rivolta va avanti da più di un anno.

o   In Niger i combattimenti sono iniziati in febbraio, sotto le bandiere del Movimento nigerino per la giustizia (Mnj), guidato da Agaly Alambo.

o   A fine agosto è viene annunciata la saldatura dei movimenti insurrezionali, con la creazione di un’Alleanza tuareg Niger-Mali (Atnm), il 19 settembre è stato diffuso, via internet, l’atto di fondazione della Repubblica Toumoujgha, «con la città storica di Agadez come capitale politica».

–   (Nigrizia nov. 2007) Gheddafi ha un ruolo importante nella partita che si sta giocando. Molti credono che sia lui a soffiare sul fuoco della dissidenza tamajeq, infiammando le passioni irredentiste, con il miraggio del “Grande Sahara”.

–   A complicare il quadro c’è l’uranio, in cima alle esportazioni del Niger, che è il terzo produttore mondiale e di gran lunga il primo dei paesi africani.

–   La Francia si trova da sempre in posizione di monopolio nello sfruttamento del minerale nigerino, iniziato nel 1971 sul sito di Arlit, nell’estremo nord.

–   Da molti mesi, Tandja è impegnato nella rinegoziazione del prezzo dell’uranio con l’Areva, gi-gante francese dell’industria nucleare. Il 1° agosto, un risultato importante: l’aumento di quasi il 50% del prezzo, passato a 40.000 franchi cfa al kg, con effetto retroattivo al 1° gennaio 2007.

–   È in questa prospettiva che entrano in scena altre multinazionali del settore: canadesi, australiane e soprattutto cinesi. Attraverso la China Nuclear Engineering and Construction Corporation (Cnec), il dragone asiatico avrebbe incamerato una decina di permessi di prospezione, qualcosa come la metà di quelli complessivamente in gioco.

– A fine anno (2007) i permessi di sfruttamento decadono e sarà necessario un riassetto complessivo del dossier minerario;

o   in questo quadro s’iscrive l’attacco dell’Mnj in aprile al sito di Imuraren, uno dei più ricchi dell’Areva.

–   Non sono pochi nella capitale Niamey coloro che pensano che l’Areva abbia qualcosa a che fare con la ribellione, al fine di dissuadere i concorrenti cinesi.

–   Dopo 30 anni di sfruttamento esclusivo da parte della società francese Areva, da quest’anno (2007) Niamey ha distribuito permessi di prospezione a Canada, Australia, e Cina.

–   I tuareg, oltre a rivendicare maggiore autonomia e il diritto di muoversi liberamente nella loro terra, Azawed, la regione al confine tra 3 stati: nord del Niger, del Mali, e il sud dell’Algeria, chiedono parte dei proventi dello sfruttamento dell’uranio, sul loro territorio.

–   Lo sfruttamento di una miniera d’uranio ad Azelik, città vicino ad Agadez, è solo l’ultimo contenzioso tra il Movimento dei nigerini per la giustizia (Mnj), gruppo ribelle armato a maggioranza tuareg, e il governo di Niamey.

–   Il governo di Niamey ha ceduto alla Somina, società nigerina con soci cinesi, lo sfruttamento della miniera. La Somina potrà produrre 700 tonnellate di uranio in un anno, dal 2009 al 2010.

In Niger Pechino sta realizzando il suo maggior investimento in Africa Occidentale: la costruzione del secondo ponte sul fiume Niger.

[1] Da Agora, 6 novembre 2008, art. di Antonio Mazzeo. Il Mali trampolino di guerra degli Stati Uniti. L’asse militare Usa-Mali è uno tra i più consolidati nel continente africano. Negli ultimi due anni, il Pentagono ha trasferito al paese tecnologie militari per un valore di 7.727 milioni di dollari, mentre grazie al programma “ATA Anti-Terrorism Assistance”, la polizia del Mali è stata equipaggiata con armi leggere per un valore di 564.000 dollari. Dal 2006 lo scalo aereo di Senou, Bamako, è stato messo a disposizione delle forze armate statunitensi come “base operativa avanzata per il combattimento, la sorveglianza ed altre operazioni militari”. Dal 3 novembre 2008 la Repubblica del Mali, in Africa occidentale, è sede di un’imponente esercitazione militare (“Flintlock 2008”) che sancisce l’esordio operativo del comando per le operazioni delle forze armate statunitensi in Africa (Africom), insediatosi a Stoccarda (Germania). All’esercitazione, oltre a Stati Uniti e Mali, partecipano militari di alcuni paesi africani alleati della regione.

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Mali: U.S. Africa Command’s New War?

By Rick Rozoff
15 February 2012 – Stop NATO

map-mali.pngThe press wires are reporting on intensified fighting in Mali between the nation’s military and ethnic Tuareg rebels of the Azawad National Liberation Movement in the north of the nation.

–   As the only news agencies with global sweep and the funds and infrastructure to maintain bureaus and correspondents throughout the world are those based in leading member states of the North Atlantic Treaty Organization – the Associated Press, Reuters, Agence France-Presse, BBC News and Deutsche Presse-Agentur – the coverage of ongoing developments in Mali, like those in most every other country, reflects a Western bias and a Western agenda.

Typical headlines on the topic, then, include the following:

    ‘Arms and men out of Libya fortify Mali rebellion’ Reuters

    President: Tuareg fighters from Libya stoke violence in Mali’ CNN

    ‘Colonel Gaddafi armed Tuaregs pound Mali’ The Scotsman

    ‘France denounces killings in Mali rebel offensive’ Agence France-Presse

    ‘Mali, France Condemn Alleged Tuareg Rebel Atrocities’ Voice of America

–   To reach Mali from Libya is at least a 500-mile journey through Algeria and/or Niger. As the rebels of course don’t have an air force, don’t have military transport aircraft, the above headlines and the propaganda they synopsize imply that Tuareg fighters marched the entire distance from Libya to their homeland in convoys containing heavy weapons through at least one other nation without being detected or deterred by local authorities.

–   And that, moreover, to launch an offensive three months following the murder of Libyan leader Muammar Gaddafi after his convoy was struck by French bombs and a U.S. Hellfire missile last October. But the implication that Algeria and Niger, especially the first, are complicit in the transit of Tuareg fighters and arms from Libya to Mali is ominous in terms of expanding Western accusations – and actions – in the region.

–   Armed rebellions are handled differently in Western-dominated world news reporting depending on how the rebels and the governments they oppose are viewed by leading NATO members.

–   In recent years the latter have provided military and logistical support to armed rebel formations – in most instances engaged in cross-order attacks and with separatist and irredentist agendas – in Kosovo, Macedonia, Liberia, Ivory Coast, Libya and now Syria, and on the intelligence and ‘diplomatic’ fronts in Russia, China, Pakistan, Sudan, Iran, Indonesia, Congo, Myanmar, Laos and Bolivia.

However, major NATO powers have adopted the opposite tack when it comes to Turkey, Morocco (with its 37-year occupation of the Western Sahara), Colombia, the Philippines, the Central African Republic, Chad and other nations that are their military clients or territory controlled by them, where the U.S. and its Western allies supply weapons, advisers, special forces and so-called peacekeeping forces.

–   The drumbeat of alarmist news concerning Mali is a signal that the West intends to open another military front on the African continent following last year’s seven-month air, naval and special operations campaign against Libya and ongoing operations in Somalia and Central Africa with the recent deployment of American special forces to Uganda, Congo, the Central African Republic and South Sudan. In Ivory Coast, Mali’s neighbor to the south, last February the French military with compliant United Nations troops – ‘peacekeepers’ – fired rockets into the presidential residence and forcibly abducted standing president Laurent Gbagbo.

Flintlock 08

–   U.S. Africa Command (AFRICOM) first became operational as the warfighting force it was intended to be from the beginning in running the first two weeks of the war against Libya last March with Operation Odyssey Dawn before turning the campaign over to NATO for seven more months of relentless bombing and missile strikes.

Mali may be the second military operation conducted by AFRICOM.

–   The landlocked country is the spoke of the wheel of former French West Africa, bordered by every other member except Benin: Burkina Faso, Guinea (Conakry), Ivory Coast, Mauritania, Niger and Senegal. It also shares a border with Algeria, another former French possession, on its north.

–   Mali is Africa’s third largest producer of gold after South Africa and Ghana. It possesses sizeable uranium deposits run by French concessions in the north of the country, the scene of the current fighting.

o    Tuareg demands include granting some control over the uranium mines and the revenue they generate.

–   Major explorations for oil and natural gas, also in the north, have been conducted in recent years as well.

–   The nation is also a key pivot for the U.S.’s Trans-Saharan Counter-Terrorism Partnership established in 2005 (initially as the Trans-Saharan Counter-Terrorism Initiative), which grew out of the Pan Sahel Initiative of 2003-2004.

–   In May of 2005 U.S. Special Operations Command Europe inaugurated the Trans-Saharan Counter-Terrorism Initiative by dispatching 1,000 special forces troops to Northwest Africa for Operation Flintlock to train the armed forces of Mali, Algeria, Chad, Mauritania, Niger, Senegal and Tunisia, the seven original African members of the Trans-Saharan Counter-Terrorism Initiative, which in its current format also includes Burkina Faso, Morocco and Nigeria. Libya will soon be brought into that format as it will the NATO Mediterranean Dialogue military partnership.

–   The American special forces led the first of what have now become annual Operation Flintlock counterinsurgency exercises with the above nations of the Sahel and Maghreb. The following year NATO conducted the large-scale Steadfast Jaguar war games in the West African island nation of Cape Verde to launch the NATO Response Force, after which the African Standby Force has been modeled.

–   Flintlock 07 and 08 were held in Mali. Flintlock 10 was held in several African nations, including Mali.

–   On February 7 of this year the U.S. and Mali began the Atlas Accord 12 joint air delivery exercise in the African nation, but Flintlock 12, scheduled for later in the month, was postponed because of the fighting in the north. Sixteen nations were to have participated, including several of the U.S.’s major NATO allies.

–   Last year’s Flintlock included military units from the U.S., Canada, France, Germany, the Netherlands, Spain, Mali, Burkina Faso, Chad, Mauritania, Nigeria and Senegal.

–   When AFRICOM became an independent Unified Combatant Command on October 1, 2008, the first new overseas U.S. regional military command established in the post-Cold War era, AFRICOM and Special Operations Command Africa’s Joint Special Operations Task Force-Trans Sahara took control of the Flintlock exercises from U.S. European Command and U.S. Special Operations Command Europe.

In 2010 AFRICOM announced that Special Operations Command Africa ‘will gain control over Joint Special Operations Task Force-Trans Sahara (JSOTF-TS) and Special Operations Command and Control Element–Horn of Africa (SOCCE-HOA).’

Last year the AFRICOM website wrote:

–       ‘Conducted by Special Operations Command Africa, Flintlock is a joint multinational exercise to improve information sharing at the operational and tactical levels across the Saharan region while fostering increased collaboration and coordination. It’s focused on military interoperability and capacity-building for U.S., North American and European Partner Nations, and select units in Northern and Western Africa.’

–   Although the stated purposed of the Trans-Saharan Counter-Terrorism Partnership and its Flintlock multinational exercises is to train the militaries of nations in the Sahel and Maghreb to combat Islamist extremist groups in the region, in fact the U.S. and its allies waged war against the government of Libya last year in support of similar elements, and the practical application of Pentagon military training and deployment in Northwest Africa has been to fight Tuareg militias rather than outfits like al-Qaeda in the Islamic Maghreb or Nigeria’s Boko Haram.

–   The U.S. and its NATO allies have also conducted and supported other military exercises in the area for similar purposes. In 2008 the Economic Community of West African States (ECOWAS), the regional economic group from which the U.S.- and NATO-backed West African Standby Force was formed, held a military exercise named Jigui 2008 in Mali, which was ‘supported by the host governments as well as France, Denmark, Canada, Germany, the Netherlands, the United Kingdom, the United States of America and the European Union,’ as the Ghana News Agency reported at the time.

–   AFRICOM also runs annual Africa Endeavor multinational communications interoperability exercises primarily in West Africa. Last year’s planning conference was held in the Malian capital of Bamako and, according to U.S. Army Africa, ‘brought together more than 180 participants from 41 African, European and North American nations, as well as observers from Economic Community of West African States (ECOWAS), Economic Community of Central African States (ECCAS), the Eastern African Standby Force and NATO to plan interoperability testing of communications and information systems of participating nations.’ The main exercise was also held in Mali.

The U.S. military has been ensconced in the nation since at least 2005 and Voice of America revealed in that year that the Pentagon had ‘established a temporary operations center on a Malian air force base near Bamako. The facility is to provide logistical support and emergency services for U.S. troops training with local forces in five countries in the region.’

The following year U.S. European Command and NATO Supreme Allied Command Europe chief Marine General James Jones, subsequently the Obama administration’s first national security advisor, ‘made the disclosure [that] the Pentagon was seeking to acquire access to…bases in Senegal, Ghana, Mali and Kenya and other African countries,’ according to a story published on Ghana Web.

In 2007 a soldier with the 1st Battalion, 10th Special Forces Group based in Stuttgart, Germany, where AFRICOM headquarters are based, died in Kidal, Mali, where fighting is currently occurring. His death was attributed to a ‘non-combat related incident.’ The next year a soldier with the Canadian Forces Military Training Assistance Programme also lost his life in Mali.

Last year the Canadian Special Operations Regiment deployed troops to the northern Mali conflict zone for what was described ‘an ongoing mission.’ Canadian Special Operations Regiment forces also participated in the Flintlock 11 exercise in Senegal.

In September of 2007 an American C-130 Hercules military transport plane was hit by rifle fire while dropping supplies to Malian troops under siege by Tuareg forces.

According to Stars and Stripes:

    ‘The plane and its crew, which belong to the 67th Special Operations Squadron, were in Mali as part of a previously scheduled exercise called Flintlock 2007…Malian troops had become surrounded at their base in the Tin-Zaouatene region near the Algerian border by armed fighters and couldn’t get supplies…[T]he Mali government asked the U.S. forces to perform the airdrops…’

In 2009 the U.S. announced it was providing the government of Mali with over $5 million in new vehicles and other equipment.

Later in the year the website of U.S. Air Forces in Europe reported:

    ‘The first C-130J Super Hercules mission in support of U.S. Air Forces Africa, or 17th Air Force, opened up doors to a future partnership of support between the 86th Airlift Wing and upcoming missions into Africa.

    ‘The mission’s aircraft commander, Maj. Robert May of the 37th Airlift Squadron, and his crew were tasked to fly into Mali Dec. 19 to bring home 17 troops who were assisting with training Malian forces.’

–   The U.S. has been involved in the war in Mali for almost twelve years. Recent atrocity stories in the Western press will fuel demands for a ‘Responsibility to Protect’ intervention after the fashion of those in Ivory Coast and Libya a year ago and will provide the pretext for American and NATO military involvement in the country.

AFRICOM may be planning its next war.
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Sometimes, but not always related posts:

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Nigrizia            120210
Mali: il nord in fiamme – Le tappe del nuovo conflitto

–   Prosegue l’avanzata dei combattenti tuareg verso le grandi città del nord con il conseguente flusso di civili in fuga. La ripresa della ribellione indipendentista dei popoli di lingua tamashek, ha già provocato almeno 50.000 sfollati. Ma sta anche mettendo a dura prova il governo di Bamako alla vigilia delle elezioni.

–   Dal 17 gennaio, data d’inizio della nuova offensiva indipendentista, sono già sette le città del nord del Mali attaccate dal Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA). L’ultima, l’8 febbraio, è Tinzaouatène, nel nord-est, proprio sul confine algerino, nella regione di Kidal.

–   Il primo attacco, quello che ha aperto questa nuova fase dell’annoso conflitto tra le popolazioni touareg e il governo di Bamako dopo gli accordi di pace siglati nel 2009, è stato compiuto più a sud, nella regione di Gao, sulle città di Ménaka e Andéramboukane (vicino al confine con il Niger). Solo ventiquattrore dopo sono cadute Aguelhoc e Tessalit (vicino alla frontiera algerina), seguite, a distanza di una settimana, dall’apertura di un nuovo fronte a nord-ovest, vicino al confine con la Mauritania, con la presa di Léré e Niafounké. Conquiste, queste, facilitate dalla strategia adottata dall’esercito: ritirare i contingenti dalle postazioni isolate per concentrare le forze a difesa delle grandi città: Kidal, Gao e Timbouctou.

–   Con l’intensificarsi degli scontri e l’avanzata dei touareg verso le grandi città, aumenta anche il flusso di civili in fuga. Almeno 30.000 sfollati interni, 10.000 in Niger, 9.000 in Mauritania e 3.000 in Burkina Faso, secondo i dati della croce Rossa Internazionale e dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati.

–   Un’offensiva improvvisa, compiuta da un movimento che appare ben organizzato e molto ben equipaggiato in armi, rafforzato, sostiene Bamako, dall’afflusso dalla Libia di ex combattenti pro-Gheddafi. Ma rinvigorito anche dalle defezioni di soldati che si uniscono ai ribelli e dal sostegno, diretto e indiretto, di una consistente parte della popolazione. Non solo touareg. A nemmeno due settimane dall’inizio di questo nuovo conflitto, all’inizio di febbraio, la capitale è stata, infatti, investita da una serie di manifestazioni spontanee. Le donne dei soldati impegnati nei combattimenti, hanno raggiunto il palazzo Presidenziale denunciando la mancanza di informazioni sulla sorte dei mariti e la cattiva gestione della crisi da parte dell’esecutivo. Le proteste si sono estese in seguito anche ad altre città del paese.

Solo pochi giorni prima il presidente Amadou Toumani Toure aveva lanciato un appello, invitando i maliani a non fare "amalgama" con ribelli e civili touareg. Appello rilanciato più volte negli ultimi giorni, assieme alla richiesta di un cessate-il-fuoco rivolto ai vertici del MNLA, invitati a sedersi ad un tavolo negoziale. Inviti che sono stati però decisamente respinti dal Movimento, che accusa il governo di aver mantenuto un atteggiamento discriminatorio nell’inserimento di touareg ai posti di potere, e torna a rivendicare l’indipendenza dei territori della regione dell’Azawad (territorio storicamente abitato dalle popolazioni nomadi di lingua tamashek che comprende il nord del Mali e del Niger, e parte dell’Algeria del sud).

–   Il governo dell’ex colonia francese appare intimorito. Anche perché l’apertura inattesa di questo nuovo scenario – che evidenzia le carenze e gli errori compiuti sul piano dell’unità nazionale dopo la fine del precedente conflitto – arriva in un momento particolarmente delicato: le elezioni presidenziali del 29 aprile, previste in concomitanza con un referendum costituzionale, a cui seguiranno, a giugno e luglio, le legislative.

–   Apertamente preoccupata è invece Parigi. La Francia teme il dilagare del conflitto al vicino Niger e la ripresa delle ostilità dei gruppi touareg nella regione mineraria di Arlit, da cui Areva, il colosso francese del nucleare, estrae un terzo dalla sua produzione mondiale (oltre 8.600 tonnellate nel 2009). (m.t.)

La redazione di Nigrizia – 10/2/2012

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Nigrizia            23.7.08

Mali: accordo di pace tra ribelli e governo – Ripreso il dialogo sulla base degli accordi firmati nel 2006

La fine delle ostilità immediata e un incontro dopo il 15 agosto per cominciare le trattative di pace: è il contenuto dell’accordo firmato da ribelli tuareg e governo di Bamako il 21 luglio ad Algeri.

Nigrizia.it – Dopo 4 giorni di negoziati a porte chiuse, 200 delegati rappresentanti del governo maliano e dei ribelli tuareg dell’ “Alleanza democratica del 23 maggio per il cambiamento”: hanno firmato lunedì ad Algeri un accordo per l’immediata fine delle ostilità. L’intesa rientra negli accordi raggiunti nel 2006 sempre in Algeria, principale mediatore tra le due parti, che riaffermano l’unità del paese, e stabiliscono quindi che i ribelli non possono proclamare l’indipendenza da Bamako, ma impongono anche al governo maliano di lavorare per lo sviluppo della regione settentrionali, dove vivono i tuareg.

–   L’accordo raggiunto il 21 luglio prevede una serie di provvedimenti da concretizzare entro il 15 agosto: la liberazione dei reciproci prigionieri, lo sminamento delle regioni del nord e il ritorno di profughi, in particolare dall’Algeria. Il governo ha chiesto anche la restituzione del materiale militare rubato dai ribelli nei loro attacchi. Dopo metà agosto, le parti s’incontreranno di nuovo per organizzare il parziale disarmo delle postazioni militari nel nord, lo smantellamento delle basi ribelli e il reinserimento degli ex-combattenti nelle fila dell’esercito, ma soprattutto per confrontarsi sulle rispettive rivendicazioni.

–   Tra le richieste dei ribelli, che saranno al centro delle future trattative, la richiesta di poter beneficiare dei proventi dello sfruttamento dell’uranio di cui è ricca la loro terra: come accade anche in Niger, le regioni abitate dai tuareg sono le più povere del paese.

–   Il trattato era stato ratificato lo scorso aprile a Tripoli, ma poi nella regione sono ricominciate le violenze, attribuite all’Alleanza tuareg per il cambiamento del nord del Mali ai miliziani guidati da Ibrahim ag Bahanga, che accusano il governo di non mantenere le promesse.

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Nigrizia            071114
Tuareg contro le multinazionali dell’uranio

Il popolo del deserto rivendica l’autonomia amministrativa e si batte per preservare il proprio patrimonio identitario e culturale. Ma non trova interlocutori politici intenzionati a considerare, sul serio, le sue ragioni. A complicare il quadro, le preoccupazioni Usa in chiave antiterrorismo e quelle di Parigi per l’uranio nigerino.

I venti della ribellione spazzano il deserto. Temust n imajeghan, il paese dei tuareg, è di nuovo in fiamme. Parecchie cancellerie sono in allerta. E si capisce. La regione è sensibile e ogni faccenda che riguarda i nomadi, per la loro grande mobilità transfrontaliera, si trasforma in un problema internazionale. Le armi crepitano. In Mali la dissidenza è guidata da Ibrahim Ag Bahanga, cui si è aggiunto di recente il colonnello Hasan Fagaga: la rivolta va avanti da più di un anno, sia pure in fasi che alternano tregua e violenza.

–   In Niger i combattimenti sono iniziati in febbraio, sotto le bandiere del Movimento nigerino per la giustizia (Mnj), guidato da Agaly Alambo. Il profilo securitario degli eventi non sfugge a nessuno. E però, da Algeri a Tripoli, da Ouagadougou a Nouakchott, da Niamey a Bamako, da Washington a Parigi, da New York a Bruxelles e ad Addis Abeba, andando in giro per le diverse capitali che pure dovrebbero essere interessate, per un motivo o per l’altro, a quel che capita nel cuore del Sahara, si ha l’impressione, ancora una volta, che una “questione tuareg” non esista e non sia mai esistita.

–   Eppure, a fine agosto viene annunciata la saldatura dei movimenti insurrezionali, con la creazione di un’Alleanza tuareg Niger-Mali (Atnm), mentre il 19 settembre è addirittura promulgato, via internet, l’atto di fondazione della Repubblica Toumoujgha, «con la città storica di Agadez come capitale politica».

Intossicazione mediatica? Forse. Certo è che la gestione politica di questa crisi sembra del tutto inadeguata, a cominciare dal volo piatto dell’Unione africana, pur presieduta da un rispettabile uomo di stato maliano come Alpha Oumar Konaré. Del resto, il grande pubblico continua a filtrare i problemi degli imajeghan – così i tuareg chiamano sé stessi in tamajeq, la loro lingua – con la trama delle retoriche sugli “uomini velati”, gli “uomini blu”, avvolti nel mistero delle loro remote origini, mischiate ai ricordi di vecchi film sulla legione straniera impegnata in epiche gesta per la pacificazione del Sahara.

–   Eppure, i tuareg combattono da 130 anni per veder riconosciuta la propria dignità di popolo. Dapprima contro i colonizzatori francesi, a partire dalla famosa missione Flatters, schiacciata nel 1881 a In-Uwahen. Quindi, contro gli stati indipendenti, che ereditano dalla Francia il sistema delle frontiere coloniali e, con esso, il principio dell’inesistenza di una nazione tuareg. Secondo la ricostruzione del geografo Edmond Bernus, grande specialista del mondo tuareg, Temust n imajeghan si estende su sette stati sahelo-sahariani (Niger, Mali, Burkina, Algeria, Libia, Mauritania, Nigeria), senza contare le diaspore (Ciad, Sudan). Tuttavia, gli imajeghan vivono per metà in Niger e per un altro terzo almeno in Mali.

–   Il sogno dell’unità politica tramonta nel 1919, con l’annientamento delle armate di Kaosen. Nel 1957 fallisce il tentativo di dar corpo all’Organizzazione comune delle regioni sahariane (Ocrs), del tutto strumentale agli interessi petroliferi della Francia. Di fatto, nell’ultimo mezzo secolo i tuareg hanno continuato a battersi per preservare la loro cultura e il loro patrimonio identitario. Da tempo, in Niger e in Mali soprattutto, gli antichi irredentisti chiedono solo il riconoscimento dei loro diritti di cittadinanza, alla pari con gli altri popoli che vivono in quegli stati.

Da tempo dismessi gli abiti della secessione, i tuareg si ostinano a domandare l’autonomia amministrativa per le loro terre ancestrali nell’ambito degli ordinamenti statali. In risposta, una sconcertante sequenza di spedizioni militari, repressioni, promesse non mantenute, intese sancite internazionalmente ma non rispettate. Ultimo, l’accordo di Algeri dello scorso anno, firmato dal governo maliano e dalla ribellione, ma poi quasi ignorato da Bamako.

 
Gheddafi in campo

–   Intanto, sulla trama della dissidenza tuareg sono andati aggrumandosi altri e preoccupanti motivi di tensione. Nella fascia sahelo-sahariana un attivo banditismo transfrontaliero alimenta traffici d’ogni tipo: armi, esseri umani, droga. La penetrazione jihadista, particolarmente del gruppo Al-Qaida per il Maghreb islamico, viene segnalata da più parti. E non è un caso, forse, se proprio in queste settimane si registra una ripresa degli attentati nel nord algerino. Val la pena tuttavia sottolineare che i rapporti della ribellione tuareg con le bande del terrore – qaidisti o salafisti – sono costellati di frizioni e scontri aperti. Insomma, per niente tranquilli.

Tutto ciò allarma l’Algeria, sollecita nell’aiuto logistico alle truppe regolari maliane impegnate nella repressione anti-tuareg. Ma allarma ancor più gli americani, che hanno individuato in questa zona uno dei fronti caldi della lotta al terrorismo. Gli Stati Uniti appoggiano apertamente il Mali nelle operazioni miranti a dare sicurezza al nord; la stessa ambasciata americana a Bamako ha ammesso che un aereo militare, fatto bersaglio dai tiri della ribellione, è tornato integro alla base.

–   Dopo il Corno d’Africa, questa è la regione dove militarmente gli Usa sono più impegnati nel continente. Le esercitazioni antiterroristiche si susseguono, nel quadro di programmi pluriennali che coinvolgono una decina di paesi. Questa, del resto, è una delle aree in cui il Pentagono medita di installare il comando militare unificato per l’Africa (Africom), ma deve fare i conti con l’opposizione sia dell’Algeria che della Libia.

Per quanto ambiguo come al solito, Gheddafi ha un ruolo importante nella partita che si sta giocando. Molti credono che sia lui a soffiare sul fuoco della dissidenza tamajeq, infiammando le passioni irredentiste, con il miraggio del “Grande Sahara”, uno spazio politico per i popoli del deserto. Gli osservatori notano che il braccio armato della dissidenza è passato attraverso i campi di addestramento libici, formandosi nei ranghi della “Legione verde”, il corpo d’élite costituito alla fine degli anni ’80 e impiegato di preferenza nelle operazioni all’estero.

–   Sollecitato dal presidente nigerino, Mamadou Tandja, a fare da mediatore nel conflitto, il colonnello avrebbe posto come precondizione il riconoscimento dell’Mnj. La “Guida” non ama che lo si menzioni a proposito della dissidenza tuareg. A questo riguardo, ha inaugurato una strategia destinata probabilmente a fare scuola. Denuncia, infatti, per calunnia i giornali che fanno cenno alla sua posizione e alle sue presunte responsabilità. Nell’impossibilità di esibire prove giuridicamente valide in tribunale, gli organi di stampa rischiano condanne pecuniarie elevate, al punto da metterne in forse la sopravvivenza.

 
Porte chiuse a Niamey

–   A complicare enormemente il quadro c’è l’uranio, in cima alle esportazioni del Niger, che è il terzo produttore mondiale e di gran lunga il primo dei paesi africani.

–   La Francia si trova da sempre in posizione di monopolio nello sfruttamento del minerale nigerino, iniziato nel 1971 sul sito di Arlit, nell’estremo nord.

–   Da molti mesi, Tandja è impegnato nella rinegoziazione del prezzo dell’uranio con l’Areva, gigante francese dell’industria nucleare. Il 1° agosto, un risultato importante: l’aumento di quasi il 50% del prezzo, passato a 40.000 franchi cfa al kg, con effetto retroattivo al 1° gennaio 2007. Risorse aggiuntive preziose per uno dei paesi più poveri del mondo. Il fatto è che l’uranio è un minerale strategico per la Francia, e ogni negoziato si pone nel quadro degli accordi di cooperazione militare franco-nigerini. In più, a fine anno i permessi di sfruttamento decadono e sarà necessario un riassetto complessivo del dossier minerario.

–   È in questa prospettiva che entrano in scena altre multinazionali del settore: canadesi, australiane e soprattutto cinesi. Attraverso la China Nuclear Engineering and Construction Corporation (Cnec), il dragone asiatico avrebbe incamerato una decina di permessi di prospezione, qualcosa come la metà di quelli complessivamente in gioco.

o    In questo quadro s’iscrive l’attacco dell’Mnj in aprile al sito di Imuraren, uno dei più ricchi dell’Areva. E se, da una parte, Nicolas Sarkozy moltiplica le dichiarazioni di simpatia e di amicizia nei confronti del Niger, dall’altra non sono pochi nella capitale Niamey coloro che pensano che l’Areva abbia qualcosa a che fare con la ribellione, al fine di dissuadere i concorrenti cinesi.

Il fardello sociale di questo ginepraio si fa sentire nei due principali paesi interessati. Un sentimento di malessere si diffonde in Mali, dove i combattenti tuareg sempre più vengono accostati ai terroristi, per i loro metodi di violenza indiscriminata a causa della disseminazione nella zona di mine antiuomo. Tanto più apprezzabile, quindi, è l’apertura del governo. Grazie agli sforzi del presidente Amadou Toumani Touré, l’Algeria ha offerto le risorse finanziarie per rimettere in moto il processo di attuazione degli accordi di Algeri.

L’atteggiamento nigerino, viceversa, è di chiusura. Amnesty International, con le associazioni umanitarie nigerine, denuncia l’emanazione dello “stato di attenzione”, che sospende i diritti fondamentali ed è all’origine degli arresti e torture della popolazione civile. L’intimidazione della stampa è all’ordine del giorno.

Moussa Kaka, direttore della radio privata Saraouniya e corrispondente di Rfi e di Rsf, viene arrestato a Niamey il 20 settembre, con l’accusa di «attentato all’autorità dello stato». È tuttora in prigione.

–   Per quanto tempo ancora il presidente Tandja potrà ignorare le aspirazioni degli imajeghan e considerare la dissidenza tuareg come un’orda di banditi?

Tuareg contro le multinazionali dell’uranio

–   Rivendicano maggiore autonomia e il diritto di muoversi liberamente nella loro terra, divisa al confine tra 3 stati: Niger, Mali, Algeria. E chiedono parte dei proventi dello sfruttamento dell’uranio, sul loro territorio. Foto: città di Agadez, Silvia Baioni

–   Lo sfruttamento di una miniera d’uranio ad Azelik, città vicino ad Agadez, è solo l’ultimo contenzioso tra il Movimento dei nigerini per la giustizia (Mnj), gruppo ribelle armato a maggioranza tuareg, e il governo di Niamey.

Dal febbraio di quest’anno gli scontri, anche aperti, tra i ribelli e l’esercito sono ripresi e si sono intensificati, tanto che alcuni studiosi parlano di seconda rivolta tuareg, dopo quella che si concluse con la firma di un accordo, nell’aprile 92, che proclamava il cessate il fuoco e impegnava i governi di Niger e Mali a venire incontro alle esigenze dei tuareg. ma in 15 anni le cose non sono cambiate, e i ribelli hanno ripreso le armi in mano. Almeno 45 le vittime negli ultimi 10 mesi, soprattutto soldati governativi, mentre da fine agosto, alcuni ostaggi sono ancora in mano ai ribelli.

–   Accantonato il sogno, difficilmente realizzabile, di una nazione tuareg, i ribelli da sempre chiedono autonomia amministrativa da Niamey e da Bamako, la possibilità di muoversi liberamente all’interno di quella che viene chiamata Azawed, cioè la regione che comprende il nord del Niger, quello del Mali, ed il sud dell’Algeria.

–   Sul tavolo c’è anche quell’uranio di cui il sottosuolo del Niger è ricco, ma da cui, da oltre 30 anni, traggono beneficio solo le multinazionali straniere. Dopo 30 anni di sfruttamento esclusivo da parte della società francese Areva, da quest’anno Niamey ha distribuito permessi di prospezione a Canada, Australia, e Cina.

o    Una mossa che la Francia non sembra aver accettato passivamente: recentemente, le autorità nigerine hanno accusato apertamente Areva di finanziare la guerriglia.

–   Quello di Azelik è solo l’ultimo caso: il governo di Niamey ha ceduto alla Somina, società nigerina con soci cinesi, lo sfruttamento della miniera. La Somina potrà produrre 700 tonnellate di uranio in un anno, dal 2009 al 2010.

–   Nel paese, Pechino sta realizzando il suo maggior investimento in Africa Occidentale: la costruzione del secondo ponte sul fiume Niger. Un progetto che i ribelli contestano apertamente, perché nella regione nord del paese, terzo produttore al mondo di uranio, mancano le infrastrutture di base, a partire da ospedali e scuole.

 

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