Cameron ora sta da solo davanti alla porta dell’Europa/ WSJ: Aumentano le tensioni al vertice Ue

Die Welt        111209, Dopo il vertice UE – Cameron ora sta da solo davanti alla porta dell’Europa

+ Die Welt     111211, Gran Bretagna: il vice premier Clegg critica il rifiuto di Cameron alla UE

Thomas Kielinger

+ Die Welt     111212, GB: Cameron deve giustificare il suo no a più Europa

+ Wsj 111209, Aumentano le tensioni al vertice Ue – La richiesta di revisione del trattato non riesce ad avere il consenso di tutti; la Banca Centrale spaventa gli investitori

STEPHEN FIDLER, MATTHEW DALTON, BRIAN BLACKSTONE

– Concordi tutti i commentatori: col vertice di Bruxelles si sono compiute due cose che da anni Londra cercava di evitare:

o   un’Europa a due velocità;

o   una Europa con il predominio dell’asse franco-tedesco,

–  che per il Financial Times solo in apparenza èfranco-tedesco, in realtà è “chiaramente Berlino la potenza predominante”. FT ammonisce Berlino: l’unione fiscale non può essere l’unica soluzione, la Germania deve occuparsi della competizione sleale tra i paesi dell’eurozona.

– Il Guardian: c’è il rischio che venga addossato a Cameron l’eventuale fallimento dell’euro.

– Dal gettito del mercato finanziario di Londra dipendono:

o   l’11% del PIL britannico; 1,3 milioni di addetti; oltre £60MD di introiti fiscali.

o   La situazione economica britannica è precaria al punto che nessun capo di governo potrebbe mettere in gioco con nuovi regolamenti questa briscola che ancora rimane alla GB.

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– Non è ancora stabilito che le decisioni di Bruxelles vengano ratificate senza problemi dai parlamenti dei 26 paesi firmatari; per l’Irlanda il ministro per l’Europa prevede un risultato 50/50 in caso di nuovo referendum.

– La critica mette in primo piano che le decisioni di Bruxelles contribuiscono poco o nulla alla risoluzione della crisi di crescita dell’area euro.

– Per Cameron il NO a Merkozy era il male minore a fronte del rischio di una crisi politica in GB; Cameron ha calcolato che una debolezza temporanea della coalizione sia gestibile, diversamente da uno scontro alla Camera Bassa e in tutto il paese sull’Europa, che sarebbe scoppiata se Cameron fosse tornato a casa senza aver incassato concessioni.

o   Il veto decisivo non è venuto da Cameron ma da Sarkozy e Merkel. Se anche Cameron avesse sottoscritto il nuovo trattato, sarebbe stato possibile venisse approvato alla Camera Bassa britannica solo concedendo un referendum, come prescrive la legislazione britannica in caso di trasferimento di competenze dal parlamento a Bruxelles, come prevede l’Unione fiscale. E un referendum sarebbe diventato il quesito fondamentale se rimanere o meno nella UE, con la possibilità di risultato negativo, non desiderato neppure dai conservatori.

o   I laburisti deplorano l’esito di Bruxelles, accusano Cameron di aver bruciato possibili alleanze; conseguenza prevedibile di una strategia negoziale caotica e mal indirizzata è l’isolamento della GB.

– La Merkel ha aperto il vertice ribadendo l’opposizione al progetto, appoggiato da diversi altri paesi, di riconoscere al Meccanismo di Stabilità Europeo, ESM, lo status di banca, che permetterebbe all’ESM di prendere prestiti dalla BCE.

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– Il dibattito in Gran Bretagna sul risultato del vertice di Bruxelles:

o   Sono giunte ad uno spartiacque le relazioni dell’Inghilterra con il resto della UE.

o   Il NO del primo ministro Cameron alla revisione del trattato di Lisbona ha messo la GB in una posizione di isolamento assoluto, da cui non c’è ritorno.

– La maggioranza dei britannici ha applaudito al veto di Cameron, il primo ad appoggiare Cameron il borgomastro di Londra, Johnson: il veto di Cameron era l’unica possibilità lasciatagli da Sarkozy e Merkel. Tutto è fallito a causa della volontà di porre sotto più rigido controllo il mercato finanziario britannico.

o   Se il nuovo trattato UE fosse stato approvato da tutti i 27 membri, esso avrebbe in seguito consentito l’imposizione di regolamenti più rigidi, anche alla piazza finanziaria di Londra, come desiderato da Merkel e Sarkozy;

o   Sarkozy ha dichiarato che non ci può essere alcuna eccezione per il UK,

o   Diversamente da 20 anni fa, quando il primo ministro John Major riuscì a strapparla per i trattati di Maastricht.

– Non è da escludere una crisi della coalizione di governo britannica, vista la divisione tra le fila Lib-dem, che finora aveva esibito un comportamento disciplinato di appoggio al capo del governo, Cameron.

o   Sconcerto anche tra le fila dei Conservatori, come il ministro Giustizia, Kenneth Clarke, filo euro; 

o   I ministri lib-dem per Energia e Commercio – da sempre contrari a che il ruolo della GB in Europa fosse sacrificato alla City, chiedono di risanare l’economia e di renderla meno dipendente dai banchieri della City.

o   Nick Clegg, vice-primo ministro e capo dei Lib-dem – filo-europei e alleati della coalizione di governo, egli stesso per anni parlamentare europeo, dopo aver in un primo tempo giustificato le richieste di Cameron, sotto la pressione della base del suo partito, in un’intervista alla BBC: il veto di Cameron è un “male per la GB”, la fa “isolare e marginalizzare”; si dice “amaramente dispiaciuto” per l’esito di Bruxelles; raddoppierà gli sforzi per impedire che il contraccolpo produca una frattura permanente. Critica Parigi e Berlino di “essere ostinati”.

o   Clegg non può e non vuole però un conflitto nella coalizione: in caso di rottura e nuove elezioni i LibDem rischierebbero di essere esclusi dalla Camera Bassa (dai recenti sondaggi ha un consenso dell’11%); devono però anche valutare se sacrificare alla loro posizione filo-europea la possibilità di altre cariche nel governo, in caso riuscissero a migliorare il consenso popolare. 

o   Critiche al No di Cameronanche dal capo del governo scozzese, Alex Salmond, che parla di “errore grossolano”; ha modificato le relazioni della GB con la UE; ampie conseguenze sulle relazioni con la UE di Scozia, Galles e Irlanda del Nord.

o   Critiche dal capo del governo gallese, Carwyn Jones: la GB non potrà più negoziare sui trattati UE.

o   Ipotesi di possibilità di uscita della GB dalla UE (un politologo della Buckingham University di Londra)

– Prima del vertice i Lib conoscevano bene la posizione britannica in tutti i suoi particolari, ma tanto Cameron che Clegg non hanno previsto l’isolamento di Londra che ne sarebbe conseguito, contavano sull’appoggio di diversi paesi UE, invece venuto meno.

o   SecondoFAZ i LibDem sono di fronte ad una domanda decisiva: è possibile continuare a far parte di una coalizione sempre più contrassegnata dall’euroscetticismo del partito di maggioranza, i Tory?

o   L’ex leader dei LibDem, Lord Ashdown: la decisione di Cameron butta alle ortiche 40 anni di diplomazia britannica, valutazione condivisa da altri autorevoli Lib, e da giornali come Observer e Indipendent.

o   I giornali britannici conservatori, (come Sunday Times, Sunday Telegraph, Mail on Sunday): con il loro rifiuto a trattare le richieste britanniche, Germania e Francia hanno lasciato a Cameron un’unica scelta, quella del NO.

o   Il Sunday Telegraph ha sottolineato il nocciolo degli obiettivi fissati dal documento congiunto Merkel-Sarkozy, prima del vertice: Un accordo quadro per veloci progressi in campi specifici come il regolamento del mercato finanziario e del lavoro, della convergenza e armonizzazione dell’imposta sulle società e la creazione di una imposta sulle transazioni fiscali”.

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Decisioni del vertice di Bruxelles

– Accordo tra i capi di stato e di governo UE per un ulteriore inasprimento dei controlli dei bilanci dell’area dell’euro;

– Saranno migliorati gli strumenti a difesa dei paesi più in difficoltà, il meccanismo di salvataggio dell’euro, ESM, non sarà però rafforzato.

– I paesi dell’euro devono porsi l’obiettivo del pareggio di bilancio, ammesso il deficit fino al 3% del PIL, …;

– Il pareggio di bilancio sarebbe raggiunto con un deficit strutturale (aggiustato degli effetti congiunturali, di non più dello 0,5% del PIL;

– Il tribunale europeo deve sorvegliare sul suo inserimento nella legislazione nazionale.

– Una maggioranza qualificata dei ministri Finanze UE potrà in futuro avviare il procedimento sanzionatorio in caso di superamento del tetto di deficit del 3%, finora questo non era possibile.

– I paesi contro cui vengono elevate sanzioni … devono presentare alla Commissione e al Consiglio UE un programma vincolante di riforme e di riduzione del deficit.

– Al più presto devono essere attuata la proposta della Commissione che prevede una maggiore partecipazione alla stesura dei bilanci nazionali; la Commissione può chiedere un progetto di bilancio diverso, se il bilancio preventivo presentato andasse contro il patto di stabilità.

– Cancellata su pressione della Germania la proposta del presidente del consiglio UE di introduzione di eurobond.

– Sfruttare maggiormente la possibilità di cooperazione nella politica economica, offerta dai regolamenti dei paesi euro, senza dimenticare il mercato interno dei 27 UE.

– Non avendo potuto ottenere l’accordo unanime per il cambiamento del trattato UE, da marzo 2012 i 17 paesi euro, intendono concordare un loro trattato. La dichiarazione espressamente sottolinea la necessità di ancorare i regolamenti nel trattato UE. Bulgaria, Danimarca, Lituania, Lettonia, Polonia e Romania hanno già dichiarato la volontà di aderire all’accordo. Cekia e Svezia devono discuterne in parlamento; l’Ungheria deve verificare la situazione; solo la GB ha espresso il proprio rifiuto ad aderire.

Anti-crisi 1

– Da metà 2012 coesisteranno per un anno il meccanismo permanente salva euro, ESM, (anticipato di un anno) e il fondo temporaneo EFSF. L’ESM disporrà, come prima previsto, di €500MD; a marzo 2012 si verificherà se occorre un ammontare maggiore per l’ESM.

Anti-crisi 2

Dipenderà dai singoli casi e non dalle regole esistenti se si giungerà ad una ristrutturazione del debito, come la Germania aveva imposto originalmente.

Anti-crisi 3

Per rendere effettivo l’impiego dell’ESM, l’unanimità richiesta viene sostituita da una maggioranza qualificata dell’85%. I grandi paesi Germania, Francia e Italia mantengono di fatto un diritto di veto, dato che hanno oltre il 15% della quota ESM.

Die Welt          111209

Nach dem EU-Gipfel – Cameron steht in Europa nun allein vor der Tür

Thomas Kielinger| 09.12.2011

Die britische Regierung lehnt aus Angst um ihren Finanzplatz Londoner City eine EU-Vertragsänderung ab. Jetzt steht England an einer Wasserscheide.

–   Wie ein Blitz ist das Ergebnis des Brüsseler EU-Gipfels in Großbritannien eingeschlagen. Der Tenor der Debatten auf der Insel lautet: Wir sind an einer Wasserscheide in den Beziehungen Englands mit dem Rest der EU angekommen. Das Nein, welches David Cameron zur Neufassung des Lissabonner Vertrages in den frühen Morgenstunden des Freitag ausgesprochen hat, versetzt uns in absolut isolierte Lage, von der aus es keinen Rückweg geben wird in erneut enge Beziehungen zum Kontinent. Steht gar eine Ehescheidung zwischen London und der EU bevor?

–   Dies würde die wachsende Zahl der Euroskeptiker in den Reihen der regierenden Tories nur zu gerne sehen, die jubelten über Camerons Veto. Auch die Mehrheit der Briten spendet der ablehnenden Haltung ihres Premiers Beifall. Stimmführer dieser Einschätzung war Freitagfrüh Londons Bürgermeister Boris Johnson, der Cameron dafür lobte, eine glänzende Figur abgegeben zu haben, wobei er eine Metapher aus der Kricket-Sprache benutzte: „Cameron played a blinder“, das heißt, er warf einen Ball, den der gegnerische Schlagmann – sprich: die EU-Mehrheit – nicht parieren konnte.

–   Cameron beantwortete damit aber nur das Vorgehen des französischen Präsidenten Nicholas Sarkozy und der deutschen Kanzlerin Angela Merkel, die ihm keinen anderen Ausweg gelassen hatten als das Veto.

–   Alles scheiterte an dem Wunsch, die Londoner City, den britischen Finanzmarkt, unter stärkere Kontrollen zu stellen. Dieses Anliegen war zwar nicht Inhalt der in Brüssel verhandelten Vertragsänderung. Sie wäre aber akut geworden, weil ein Vertrag, den alle 27 EU-Staaten unterzeichen, zwangsläufig Auswirkungen auf den Europäische Binnenmarkt hat und auf die dort geltenden Regeln, die Mehrheitsentscheidungen unterliegen.

–   Dieser Punkt wurde in London mehrfach betont, auch in Antwort auf ein BBC-Interview, dass der konservative Europa-Abgeordnete Elmar Brook gab, der darauf hinwies, Cameron habe sein Veto gar nicht einlegen müssen, denn um den Finanzmarkt London sei es gar nicht gegangen, sondern nur um die Stabilisierung des Euro.

–   Die Regierung dagegen sieht den Wunsch von „Merkozy“, im nächsten Anlauf einen Finanzplatz wie London schärferen Regulierungen zu unterwerfen, was mit einer Verabschiedung des neuen Vertrages durch alle 27 EU-Staaten möglich geworden wäre. Denn, wie Sarkozy in Brüssel sagte, „ein großer und wesentlicher Teil der heutigen Probleme in der Welt kommt von der mangelnden Regulierung der Finanzdienstleister, und da kann es keine Ausnahme für das Vereinigte Königreich geben.“

Lage der britischen Wirtschaft ist prekär

–   Ergo: Kein opt-out für die Briten, wie es John Major noch von 20 Jahren beim Maastricht-Vertrag für sein Land hatte aushandeln können.

o    Die City ist „ein strategischer Wert für uns“ sagte der Tory-Abgeordnete Bernard Jenkin und wies darauf hin, dass elf Prozent des britischen Inlandprodukts vom Aufkommen des Finanzmarktes London abhängen, 1,3 Millionen Beschäftigte und über 60 Milliarden Pfund Einkommen für den Fiskus.

–   Die Lage der britischen Wirtschaft ist schon jetzt derart prekär, dass kein Regierungschef es wagen könnte, diesen noch verbleibenden Trumpf aufs Spiel zu setzen durch neue Regulierungen und eine mögliche Finanztransaktionssteuer, die zum Abwandern etlicher Dienstleister aus der City führen könnte.

–   „Wir wollten, dass die Länder der Euro-Zone zusammenkommen und ihre Probleme lösen. Aber das innerhalb bestehender Verträge zu tun, geht nur, wenn es ausreichende Absicherungen für den europäischen Binnenmarkt und für britische Kerninteressen gibt. Ohne diese ist es besser, keinen neuen Vertrag innerhalb eines bestehenden Vertrages zu haben und Länder wie uns ihre separaten Arrangements machen zu lassen. Es war eine harte Entscheidung, aber es war die richtige“, sagte Cameron.

–   Sein Koalitionspartner Nick Clegg, der Chef der Liberaldemokraten, „bedauerte“ in einem Statement den Kollaps in Brüssel, hielt aber fest, dass die Forderungen seiner Regierung „maßvoll und vernünftig“ gewesen seien. Darüber herrscht in den Reihen der LibDems keine Einigkeit, so dass eine Koalitionskrise nicht ausgeschlossen werden kann.

–   Die beiden LibDem-Minister Chrus Huhne und Vince Cable zum Beispiel, für Energie und Handel zuständig, waren nie sehr begeistert von dem Gedanken, Englands Rolle in Europa der deregulierten City zuliebe zu opfern. Beide fordern seit langem, die britische Wirtschaft müsse besser als bisher ins Lot gebracht werden und weniger abhängig sein von den Bankern in der City.

–   Die Labour-Opposition beklagte ihrerseits das Brüsseler Ergebnis und warf Cameron vor, mögliche Bündnisse „verbrannt“ zu haben, wie Schattenaußenminister Douglas Alexander sagte. Englands „Isolation“ sei „die vorhersehbare Folge einer chaotischen und fehlgeleiteten Verhandlungsstrategie“ gewesen. Doch konnte weder Alexander noch Parteichef Ed Milliband sich dazu bequemen, zu suggerieren, Cameron hätte in Brüssel unterschreiben sollen. Das unterstreicht noch einmal, wie stark die Position Camerons in der Frage des britischen Vetos tatsächlich ist.

Zwei Dinge, die London seit Jahren verhindern wollte

–   Niemand kann genau ermessen, wie es jetzt weitergeht. Die Kommentatoren sind sich einig darin, dass jetzt zwei Dinge eingetreten sind, die London seit Jahren verhindern wollte: Ein Europa der zwei Geschwindigkeiten und eines, das von der französisch-deutschen Achse dominiert wird.

–   Wobei Philip Stephens von der „Financial Times“ darauf hinwies, dass dies nur schöner Schein sei. In Wahrheit sei Berlin „sichtlich die prädominante Macht“. Er mahnte gleichsam an die deutsche Adresse, dass die Fiskalunion[e] nicht die alleinige Lösung sein könne; vielmehr müsste Berlin sich jetzt den Wettbewerbsverzerrungen stellen, die zwischen den Ländern der Eurozone herrschen.

–   Andere sehen die Gefahr, so Patrick Wintour im „Guardian“, dass Cameron die Schuld für den Zusammenbruch des Euro zugeschoben werden könnte, sollte es dazu kommen. „Mit riesigen diplomatischen Konsequenzen für die Beziehungen Londons zum Kontinent.“ Die stehen schon jetzt vor der Tür, wie viele glauben, wenn Großbritannien unter den 27 EU-Mitgliedsstaaten am Ende alleine stehen sollte, was noch keinesfalls ausgemacht ist.

Der "Independent" empfiehlt den Beitritt des Pfunds zum Euro

–   Cameron hatte gehofft, die Europa-Frage von seiner Regierung fernhalten zu können. Stattdessen hat sie ihn nun voll getroffen. Seit 38 Jahren Mitglied der Europäischen Gemeinschaft, wie sie zunächst hieß, haben die Briten sich durch Jahrzehnte kluger Vorbehalte hindurch gewunden und dabei immer mutig auf das demokratische Prinzip der Hoheit ihres Parlaments hingewiesen. Jetzt ist es erneut zum Schwur gekommen – und es könnte der Moment nahen, an dem sich die Insel aus der Ehe mit den Brüsseler Institutionen löst.

–   Schon geht der Zug in Richtung eines separaten Vertrags unter den 17 Eurozonen-Staaten. Wie lange will London draußen bleiben, fragt der „Independent“ am Freitag und empfiehlt als Lösung: Den Beitritt des Pfundes zum Euro. Davon sind die Briten noch Lichtjahre entfernt. Aber die Versessenheit der Skeptiker auf ein „Los von der EU“ erscheint der Mehrheit ebenfalls als höchst unattraktiv.

Euro-Zone verordnet sich strengeres Fiskalregime

Die EU-Staats- und Regierungschefs haben sich auf eine weitere Verschärfung der Haushaltskontrolle in der Euro-Zone geeinigt. Zudem werden die Instrumente zum Schutz klammer Mitgliedsländer qualitativ verbessert, auch wenn der dauerhafte Euro-Rettungsmechanismus ESM vorerst nicht aufgestockt wird.

SCHULDENBREMSE IN DIE VERFASSUNGEN

Die Euro-Staaten sollen grundsätzlich den Staatshaushalt ausgleichen. Bei außergewöhnlichen Umständen oder schlechter Konjunktur wären Defizite aber weiterhin im Rahmen der Drei-Prozent-Grenze zulässig. Der Haushaltsausgleich wäre erreicht bei einem strukturellen – also um Konjunktureffekte bereinigten – Defizit von nicht mehr als 0,5 Prozent des Bruttoinlandsprodukts. Bei Überschreiten dieser Grenze müsste ein „automatischer Korrekturmechanismus" in Gang gesetzt werden. Der Europäische Gerichtshof soll über die Umsetzung in nationales Recht wachen. Der betreffende Staat soll ein wirtschaftliches Partnerschaftsprogramm mit der EU-Kommission abschließen müssen, in dem seine Reformverpflichtungen festgelegt werden.

SCHÄRFERES SANKTIONSVERFAHREN

Künftig soll auch die Einleitung des Sanktionsverfahrens bei Überschreiten der Drei-Prozent-Defizitgrenze nur mit einer qualifizierten Mehrheit der EU-Finanzminister zu stoppen sein. Das ist nach dem EU-Vertrag bisher nicht möglich. Länder, gegen die ein Sanktionsverfahren wegen zu hoher Neuverschuldung läuft, sollen ein verbindliches Programm zu Reformen und Defizitabbau bei der Kommission und beim Rat abliefern.

STÄRKERE KONTROLLE DER NATIONALEN HAUSHALTSPLÄNE

Die Vorschläge der EU-Kommission von Ende November, die eine stärkere Beteiligung der Behörde an der Aufstellung der nationalen Haushalte vorsieht, sollen rasch verabschiedet werden. Die Kommission kann einen veränderten Haushaltsentwurf verlangen, wenn das Budget dem Stabilitätspakt zuwider läuft.

KEINE EURO-BONDS

Der vom EU-Ratspräsidenten vorgelegte Entwurf der Erklärung sah zunächst auch vor, sich einen Fahrplan zur Einführung von Euro-Bonds vorzunehmen. Diese Passage wurde aber auf Druck Deutschlands gestrichen.

WIRTSCHAFTSPOLITISCHE ZUSAMMENARBEIT

Die Euro-Länder wollen von der Möglichkeit einer verstärkten Zusammenarbeit in der Wirtschaftspolitik mehr Gebrauch machen. Dies ermöglicht Regelungen im Kreis der Euro-Länder, doch soll der Binnenmarkt der 27 EU-Staaten nicht untergraben werden.

EIGENER VERTRAG

Weil die nötige Einstimmigkeit für eine EU-Vertragsänderung nicht erreicht werden konnte, wollen die 17 Euro-Staaten noch vor März einen eigenen Vertrag schließen. Ausdrücklich wird in der Erklärung betont, dass immer noch angestrebt werde, die Regelungen in dem EU-Vertrag zu verankern. Die Regierungen von Bulgarien, Dänemark, Litauen, Lettland, Polen und Rumänien erklärten bereits jetzt ihren Willen, dem Abkommen beizutreten. Tschechien und Schweden müssen zunächst ihre Parlamente befragen. Ungarn will die Lage noch prüfen. Nur Großbritannien hat bereits seine Ablehnung erklärt, dem Vertrag beizutreten.

KRISENABWEHR 1

Der permanente Rettungsmechanismus ESM und der vorläufige Feuerwehrfonds EFSF sollen ab Mitte 2012 ein Jahr lang parallel existieren. Das Inkrafttreten des ESM wird damit um ein Jahr vorgezogen. Das Kreditvolumen des ESM soll wie bisher vorgesehen 500 Milliarden Euro betragen, wobei die Summe die bereits vergebenen Hilfskredite einschließt. Im März 2012 soll aber überprüft werden, ob ein höheres Volumen für den ESM notwendig ist.

KRISENABWEHR 2

Ein Forderungsverzicht privater Gläubiger würde künftig so wie beim IWF gehandhabt. Das heißt, es wäre vom Einzelfall abhängig, ob es zu einem Schuldenschnitt kommt und nicht von vorgegebenen Regeln, wie es Deutschland ursprünglich durchgesetzt hatte. Künftige Euro-Staatsanleihen werden aber die standardisierten sogenannten Collectives Actions Clauses (CAC) erhalten, mit denen im Umschuldungsfall schneller Absprachen zwischen den Gläubigern getroffen werden können.

KRISENABWEHR 3

Um den Einsatz des ESM effektiver zu machen, wird die nötige Einstimmigkeit durch eine qualifizierte Mehrheit von 85 Prozent ersetzt. Die großen Euro-Länder Deutschland, Frankreich und Italien behalten damit aber faktisch ihr Vetorecht, weil sie mehr als 15 Prozent der ESM-Anteile halten.
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Die Welt          111211
Großbritannien: Vizepremier Clegg kritisiert Camerons Absage an EU
Thomas Kielinger

–   Die Konservativen feiern ihren Regierungschef für seine Standhaftigkeit in Brüssel, doch die ohnehin schwierige Koalition mit den LibDems steht nun vor einer Zerreißprobe.

–   Kommt es nach dem Brüsseler Nein David Camerons zum vorliegenden Vertragsentwurf der EU jetzt zur ersten handfesten Koalitionskrise in London? Bisher haben die beiden Parteien, Konservative und Liberaldemokraten („LibDems“), eigentlich zwei sehr ungleiche Partner, erstaunliche Disziplin an den Tag gelegt.

–   Sie umschifften alle Sollbruchstellen, die ihnen von den Auguren vorausgesagt worden waren. Beim Thema Europa lässt sich diese Disziplin nicht mehr so leicht durchhalten.

–   Vielmehr erfährt Nick Clegg, Vizepremier und Anführer der Liberalen, enormem Druck seitens der Basis seiner Partei, sich von der durch Cameron vorgenommenen Weichenstellung zu distanzieren.

Clegg gibt sich "bitter enttäuscht" über Brüsseler Ergebnis

 

–   Das tat er in einem Gespräch mit der BBC, in dem er konstatierte, Camerons Veto sei „schlecht für Großbritannien“, indem es das Land möglicherweise “isoliert und marginalisiert“ zurücklasse. Er sei „bitter enttäuscht“ über das Brüsseler Ergebnis, werde nun aber seine Anstrengungen verdoppeln, „dass aus dem Rückschlag kein permanenter Graben wird.“

–   Schon in seiner spontanen Reaktion auf das Ergebnis, das ihm Cameron telefonisch nach Sheffield, Cleggs Wahlkreis und Wohnsitz, durchgegeben hatte, will er den Premier gewarnt haben, er könne nicht erwarten, „dass ich das willkommen heiße“.

 

–   Kein Zweifel: Die LibDems, eine durch und durch Europa-freundliche Partei – Clegg war selber mehrere Jahre lang Abgeordneter im Europaparlament – stehen angesichts der von Cameron gewählten „splendid isolation“ in Europa vor einer Gretchenfrage: Können sie in einer Koalition weiter dienen, die zunehmend von der Euroskepsis der Mehrheitspartei, der Tories, geprägt ist?

–   Einer der Grandseigneure der Liberalen, Lord Ashdown, einst Cleggs Vorgänger in der Parteiführung, gab im „Observer“ ungeschminkt zu Protokoll, mit Camerons Entscheidung seien „vierzig Jahre britischer Diplomatie einfach in den Abguss geschüttet worden“.

LibDems können keinen Koalitionskonflikt riskieren

–   Andere namhafte Liberale, Baronin Shirley Williams im House of Lords etwa, schlossen sich dieser pessimistischen Einschätzung an. Dem folgen Zeitungen wie „Observer“ und „Independent“ auf ganzer Linie, mit zum Teil heftigen Ausdrücken: „Ein Akt von krasser Dummheit“, so die Überschrift eines Gastbeitrags im Oberserver.

–   Aber auch in Camerons eigener Partei äußerte Justizminister Kenneth Clarke, ein attestierter Eurofreund, seine Betroffenheit. Er sei gespannt auf Camerons Kommentare, wenn dieser am heutigen Montag vor das Unterhaus tritt, um das Brüsseler Ergebnis zu erläutern.

–   Nick Clegg kann und will freilich keinen Koalitionskonflikt riskieren. Seine Partei hat in der öffentlichen Meinung nach jüngsten Umfragen einen Rückhalt von kümmerlichen elf Prozent, was die LibDems, wären morgen Wahlen, bei dem geltenden Direktwahlrecht im Unterhaus auslöschen würde.

–   Sie müssen sich also fragen, ob sie ihrer Pro-Europa-Haltung zuliebe die Chance, in der Koalition weiter Regierungsverantwortung ausüben zu können, mit der Hoffnung, ihr Standing in der Öffentlichkeit doch noch zu verbessern, opfern wollen.

Kritik an "Unnachgiebigkeit" von Paris und Berlin

–   Auch daher fügte Clegg seiner Enttäuschung über Camerons Veto zur Ausgewogenheit eine scharfe Kritik an Paris und Berlin hinzu, die er für ihre „Unnachgiebigkeit“ geißelte. Camerons Vorschläge hatte Clegg öffentlich noch als „maßvoll und vernünftig“ bezeichnet.

–   Die deutsch-französische Weigerung, darüber zu verhandeln, hätte aber zusammen mit der ausgesprochenen Feindseligkeit von Teilen der Tories gegenüber allem, was aus Europa kommt, „Cameron in eine schwierige Position gebracht“, sagte er.

–   Im Übrigen waren die Liberalen im Vorfeld des Gipfels mit allen Einzelheiten der britischen Position vertraut und hatten sie mit abgesegnet. Nur hatte Clegg ebenso wenig wie Cameron vorausgesehen, wie isoliert London am Ende dastehen würde. Man hatte sich Unterstützung von mehreren EU-Ländern erhofft, die aber ausblieb.

Wurde Cameron in eine Falle gelockt?

Was der Chef der Liberalen eine „schwierige Position“ nennt, ist im Grunde der Angelpunkt der ganzen britischen Diskussion.

–   Auf dem konservativen Spektrum der veröffentlichten Meinung, in Zeitungen wie der „Sunday Times“, dem „Sunday Telegraph“ oder der „Mail on Sunday“, dominiert eindeutig der Tenor, dass Paris und Berlin mit ihrer Weigerung, über die britischen Vorschläge zu verhandeln, den Premier bewusst in eine Falle lockten, die ihm keinen anderen Ausweg ließen als sein Nein.

–   Entsprechend dieser Sicht kam das entscheidende Veto nicht von David Cameron, sondern von Nicolas Sarkozy und Angela Merkel – das löste dann bei dem Briten das Nein aus.

–   Was wäre, so reflektieren diese Zeitungen, passiert, wenn Cameron dem vorliegenden Papier, einer Überarbeitung des Lissabonner Vertrages, ohne Kautelen zugestimmt hätte? Man ist sich einig: Die Vereinbarung wäre im Unterhaus nicht durchgekommen ohne die Konzession eines Referendums. So schreibt es die britische Gesetzgebung vor, wenn neue Kompetenzen vom Parlament an Brüssel übertragen werden sollen, was die geplante Fiskalunion vorsieht.

–   Das Referendum aber wäre in eine Grundsatzfrage über den Verbleib Englands in der EU gemündet – mit der Möglichkeit eines negativen Ausgangs. Eine Situation, die selbst viele konservative Euroskeptiker keineswegs herbeiwünschen, von der Cameron/Clegg-Koalition ganz zu schweigen. Diese wäre angesichts der landesweiten Zerrissenheit in der Europa-Frage zerbrochen.

Nein zu "Merkozy" war für Cameron das kleinere Übel

–   Dies müssen „Merkozy“ gewusst haben, als sie sich strikt weigerten, Cameron entgegenzukommen. Der britische Premierminister wurde mithin gezwungen, das kleinere Übel zu wählen – allein zu stehen mit seinem Nein, statt eine unabsehbare Folge von politischen Krise in seinem Land zu riskieren. Dass die Koalition im Moment etwas schwächelt, lässt sich, so glaubt er, noch beherrschen.

–   Ein Kampf im Unterhaus und im gesamten Land um Europa wäre seiner Kontrolle entglitten. Selbst Nick Clegg musste konzedieren, dass die Krise um Europa, wäre Cameron ohne Konzessionen nach Hause gekommen, „mit Verzögerung“ ausgebrochen wäre. Es war eine Zwickmühle, aus der sich der Premier mit seinem Nein befreite, mit allen noch ungewissen Folgen.

–   Die meisten Briten sind sich mit ihrer Regierung einig, dass man der neu beschlossenen europäischen Fiskalunion nicht über den Weg trauen könne, was deren Auswirkungen auf die britische Handelsfreiheit angeht und den Schutz der Londoner City.

Freudloses Regime von Strafen, Disziplin und Ressentiments

–   Der „Sunday Telegraph“ erinnerte an den gemeinsamen Brief von Merkel und Sarkozy in der Woche vor dem Brüsseler Gipfel, in dem klar vorformuliert wurde, was Paris und Berlin sich von der Fiskalunion erhoffen: „Ein Rahmenwerk, um schnelleren Fortschritt zu erzielen in spezifischen Bereichen wie der Regulierung im Finanz- und Arbeitsmarkt, bei der Konvergenz und Harmonisierung der Körperschaftssteuer sowie der Schaffung einer Finanztransaktionssteuer.“

–   Da liegen noch viele Tretminen im Wege, so hofft man jetzt in Whitehall. Es ist ja noch nicht ausgemacht, dass die Brüsseler Beschlüsse in den Parlamenten der 26 Unterzeichner-Staaten reibungslos durchgehen. So hat Irlands Europa-Ministerin Lucinda Creighton wissen lassen, es stehe 50:50 um die Aussicht eines erneuten irischen Referendums.

–   Überhaupt tritt die Kritik stark in den Vordergrund, dass die Brüsseler Beschlüsse wenig oder gar nichts an der Wachstumskrise des Euroraumes lösen. Charles Grant, Direktor des angesehenen Think Tanks „Centre for European Reform“ sieht zwar Gefahren in der britischen Isolierung, kritisiert aber gleichzeitig die Aussicht auf ein freudloses Regime von Strafen, Disziplin und Ressentiments: „Wir stehen vor zehn Jahren der Austerität, unter Aufsicht grimmiger deutscher Schulmeister, die allen anderen ständig auf die Finger klopfen.“

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Die Welt        111212
Großbritannien: Cameron muss Nein zu mehr Europa rechtfertigen

–   Premierminister Cameron gerät auch in Großbritannien immer stärker in die Kritik. Am Nachmittag will er seine Blockadehaltung im Parlament erklären.

–   Der britische Premier David Cameron wird am Montag vor dem Parlament in London zu seinem Nein zu einer EU-Vertragsreform Stellung nehmen. Für den frühen Nachmittag steht die Erklärung des Regierungschefs zu den Gesprächen in Brüssel auf der Tagesordnung. Cameron hatte beim EU-Gipfel am vergangenen Freitag eine EU-Vertragsreform blockiert, mit der mehr Haushaltsdisziplin der Mitglieder geschaffen werden sollte.

–   In seiner Heimat gerät der Premierminister weiter unter Druck. Nach seinem Vize und Koalitionspartner Nick Clegg äußerte sich auch Schottlands Regierungschef Alex Salmond kritisch zu dem Veto Camerons gegen eine Änderung der EU-Verträge.

–   Cameron habe einen "groben Fehler begangen, als er offenkundig die gesamte Beziehung Großbritanniens zur EU geändert" habe, schrieb Salmon dem Premier in einem Offenen Brief, aus dem die Agentur PA zitierte. Salmond sah in dem Vorgehen Camerons weitreichende Auswirkungen auf die Beziehungen von Schottland, Wales und Nordirland zur EU. Cameron habe praktisch im Alleingang Großbritannien von Europa isoliert.

–   Auch aus Cardiff kamen kritische Worte. Dort bedauerte Carwyn Jones, Regierungschef von Wales, dass Großbritannien künftig nicht mehr an Gesprächen über die EU-Verträge beteiligt würde, obwohl diese Gespräche die Eurozone und "letztlich auch Großbritannien und Wales" betreffen.

–   Der Londone Politologe Anthony Glees hält einen Austritt Großbritanniens aus der Europäischen Union[e] für möglich. „Wenn man nach 50 Jahren europäischer Zusammenarbeit immer noch skeptisch ist (…), dann ist man eigentlich nie für die Europäische Union[e] zu gewinnen“, sagte Glees, Professor an der Buckingham University in London, am Montag im Deutschlandfunk.

In der EU sei es wie in einer Ehe: „In einer Ehe müssen beide Partner glücklich sein. Wenn einer nicht mehr will, dann ist die Ehe aus.“ Mit seiner EU-skeptischen Haltung stoße Premierminister Cameron auf viel Zustimmung in der britischen Bevölkerung. „Das ist die große Gefahr für Europa, für Cameron, aber auch für Großbritannien.“

dpa/mac/tsch
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Wsj      111209

Tensions Rise at EU Summit – Bid to Revise Treaty Fails to Win Full Support; Central Bank Spooks Investors

By STEPHEN FIDLER and MATTHEW DALTON in Brussels and BRIAN BLACKSTONE in Frankfurt

–   EU leaders failed to get all of the bloc’s 27 members to back a change in the EU treaty to tighten their fiscal coordination but a pact of 23 nations pressed on with negotiations. Jenny Paris and Geoffrey Smith discuss the fallout.

European Union[e] leaders failed to get all of the bloc’s 27 members to back a change in the EU treaty to tighten their fiscal coordination as a decisive summit in Brussels ended its first day in the early hours Friday.

–   The leaders, who are still deeply divided over key elements of their crisis strategy, decided they would move to form a pact among at least 23 of the members to tighten rules on national fiscal policy.

–   But details of the proposed treaty remained to be settled. The U.K. stood aside—after Prime Minister David Cameron failed with what officials said was a "shopping list of demands" designed among other things to protect national supervision of its banks—while Hungary, Sweden and the Czech Republic reserved their positions.

"We will achieve the new fiscal union. We will have a euro currency within a stable union," German Chancellor Angela Merkel said at the end of the meeting. "We will have stronger budget deficit regulations for euro-zone members."

European Central Bank President Mario Draghi, whose reaction to the summit is being closely watched by investors in the region’s beleaguered bond markets, said early Friday: "We came to conclusions that will have to be fleshed out in coming days. It’s going to be a good basis for a fiscal compact for the euro area."

Some European officials said that an agreement that didn’t include all 27 members would be weaker, but the proposed deal would include all 17 members of the euro zone. The two-day summit will resume Friday.

On Thursday, the ECB dashed investor hopes it would signal strong action to shore up the euro zone’s ailing bond markets.

–   The central bank decided to cut interest rates back to record lows to avert a recession and took big steps to help cash-strapped banks. But investors reacted more to the ECB’s lack of any indication it would act powerfully to intervene in Europe’s crumbling government-bond markets, whose collapse has been seen as threatening the euro’s survival.

–   Mr. Draghi had also poured cold water on proposals to allow Europe’s national central banks to channel money to governments via third parties such as the International Monetary Fund or Europe’s bailout funds. He stressed that the ECB abides by the "spirit" of its founding charter that prohibits the central bank from financing governments.

–   Mr. Draghi’s remarks reversed a rally in the region’s government bond markets over the last week that had been spurred by the assumption of an unspoken deal: a display of committed action by euro-zone governments at the summit in exchange for a campaign of ECB government-bond buying that would push down borrowing costs for Italy and Spain.

Mr. Draghi’s remarks undermined this assumption and kept the heat on EU leaders meeting in Brussels to come up with new rules for tighter fiscal union—and to find ways to bolster their crisis-fighting tools.

–   Equity markets fell, as did the euro. In the bond market, yields on French, Belgian, Italian and Spanish debt moved higher. Italian bonds took an especially hard hit. The yield on Italian 2-year notes rose by 0.44 percentage point to 6.5%.

–   The Dow Jones Industrial Average tumbled 198.67 points, or 1.63%, to 11997.70. For a second straight day, stocks surged in the last hour of trading on reports about encouraging developments in Europe, only to be dragged sharply lower after those reports were thrown into question.

–   In Asia, markets fell Friday morning, with Japan down 1.6%, Australia losing 1.4% and South Korea falling 1.9%.

–   "We shouldn’t try to circumvent the spirit of the treaty, no matter what the legal trick is," Mr. Draghi said on Thursday, referring to the proposals to recycle central bank funds indirectly back to governments. He said there is no deal in place in which the ECB would beef up its crisis response if European leaders come up with tougher fiscal reforms. ECB officials oppose government-bond purchases that would set a cap on bond yields, he said.

Mr. Draghi, in his second news conference since taking the helm of the ECB last month, wasn’t expected to unveil a big government-rescue plan, especially hours ahead of the summit.

The EU leaders are debating at the summit ways to strengthen budget discipline and boost the firepower of bailout funds to help crisis-hit governments.

–   But, according to a person in the room, the summit opened with German Chancellor Angela Merkel emphasizing her opposition to a plan that had broad support among other countries—giving a banking license to the European Stability Mechanism, its future bailout fund. That move, which was included in a leaked draft communique of the meeting’s expected conclusions, would allow the bailout fund to borrow from the ECB.

There was no agreement by the close of the first day on whether to turn the ESM into a bank, although the discussion on the issue was expected to continue later Friday.

–   Other parts of the deal being negotiated include lifting a €500 billion ($671 billion) cap on total lending from the euro zone’s sovereign bailout funds, as part of efforts to build a stronger fire wall around larger troubled economies in the euro zone. Doing so could provide up to €700 billion in lending for Italy or Spain and for bank recapitalizations across the euro zone.

Ms. Merkel also made plain her resistance to that idea, said the person present. However, leaders were moving toward agreement on bringing forward the proposed ESM start date by a year to mid-2012, officials said.

–   The proposal under discussion on which Mr. Draghi poured cold water is for central banks to lend €200 billion to the IMF, including €150 billion from the euro zone, that the IMF could then use to bolster troubled bond markets.

–   The €150 billion would come from bilateral loans to the IMF from the euro zone’s national central banks—which still exist despite the creation of the ECB—while an additional €50 billion in loans would come from EU countries not in the common currency, euro-zone officials said.

–   EU officials said Mr. Draghi’s opposition doesn’t necessarily block the plan, which in any case wouldn’t bring large enough sums to alter the path of the crisis.

Mujtaba Rahman, Europe analyst at Eurasia Group, a political consultancy based in New York, said, "The ECB’s opposition to IMF loans via national central banks has been known for some time. Draghi’s comments aren’t new, and they still don’t mean these loans won’t get done."

–   Under the proposal, half of the money could be sent to a special IMF fund reserved for lending to the euro zone, while the other half could go to a general resources account at the IMF, available for precautionary and other lending to governments around the world, officials said.

Although Mr. Draghi didn’t rule out central banks providing money to the IMF for its general purposes, he said that if the funds are simply used to help euro-zone countries, "we do not think this is compatible with the treaty."

–   "Draghi’s strategy is to not commit to [more aggressive] bond buying, but instead put pressure on policy makers to do their job," said Michael Heise, chief economist at German insurer Allianz.

The disappointment in financial markets over the ECB chief’s remarks came even as the central bank took its most dramatic steps to date to help banks fight the debt crisis.

–   Officials lowered their main policy rate for a second-straight month, by 0.25 percentage point to 1%, putting it back at a record-low level and undoing a pair of rate increases in April and July.

–   Unlike last month’s reduction, which was unanimous, Thursday’s rate cut was approved by a "majority" of the ECB’s 23-member board and a larger cut wasn’t discussed—suggesting many members wanted to hold their fire until next year.

–   The central bank’s actions also came as European banking authorities on Thursday said the region’s banks must come up with a total of €114.7 billion in new capital by June, as part of an effort to restore confidence in the banking industry.

–   The ECB expects the 17-member euro bloc’s economy to expand just 0.3% next year, and Mr. Draghi has said a "mild" recession is likely.

–   Although the current inflation rate of 3% is well above the ECB’s 2% target, officials expect price pressures to ease steadily into 2013, suggesting scope for even more rate cuts.

–   ECB officials will also make unlimited loans available to euro-zone banks at maturities of three years—the previous limit was 13 months—giving banks access to medium-term funding. The ECB said it will accept a much wider pool of collateral for loans, and lower its reserve requirement for commercial banks to 1% from 2%.

—Tom Lauricella, Costas Paris and William Boston contributed to this article.

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