– Forte irritazione di Berlino per l’esclusione degli osservatori UE dal vertice APEC dello scorso e del 19° vertice ASEAN di questo fine settimana (si è parlato di schiaffo), che non tratterà presumibilmente solo di questioni economiche.
o Da una parte le iniziative USA nel Pacifico fanno diminuire l’importanza relativa dell’Europa per Washington;
o dall’altra cala anche (in assoluto?) l’influenza europea nella regione, giunta al livello minimo (si parla dell’Europa come del grande malato).
– Il nuovo peso della regione Asia-Pacifico, economico ma anche politico data la politica anti-cinese degli USA, rende più difficile a Berlino proporsi nella pratica come grande potenza.
– Mentre da una parte cerca di avere una politica autonoma, l’ala filo-atlantica della politica tedesca tedesca partecipa anche al tentativo di Washington di creare un’alleanza, anche dotata di armamenti, contro Pechino;
o Nel 2003-2004 il Sud Corea era il 3° maggiore compratore di armamenti tedeschi al di fuori della Nato; nel 2007 era al 6°, Nato compresa, nel 2008 al primo, per oltre €1,9MD, sommergibili, armamenti per la marina, e componenti per mezzi corazzati e per il sistema di difesa anti-missilistica. Dal 2011 è iniziata la cooperazione militare Germania-Sud Corea
– Circoli militari della marina tedesca chiedono che Berlino si riarmi e prenda una sua chiara posizione nei confronti della Cina. Anche per l’establishment di politica estera la Germania non dovrebbe porsi dalla parte di Washington in caso di seri conflitti con la Cina.
– Nel quadro della lotta per l’influenza nel S-E Asia, in funzione anti-cinese, non traendo benefici dalla la linea della durezza, Germania e USA (18-20.11.2011) hanno fatto un’inversione di rotta verso la Giunta militare di Myanmar, in particolare dalla presidenza Obama nel 2009. La Germania ha ripreso ad erogare gli aiuti allo sviluppo, previste prossime visite ufficiali. Visita a inizio dicembre della Clinton. Ora il regime sarebbe cambiato e rispetterebbe i diritti umani; come ha voluto dimostrare rilasciando 300 prigionieri politici; l’Occidente poi dichiara di essersi sbagliato, nel 2010 il regime ha incarcerato 7-800 oppositori, on 2000.
– Il partito di Aung San Suu Kyi ha comunicato di rinunciare al boicottaggio elettorale e che rientrerà nel sistema politico partecipando alle elezioni. Osservatori dicono che i militari continuano ad avere il controllo del potere, e che le operazioni di Public Relations per accontentare l’Occidente sono limitate ai centri politici ed economici del paese, mentre continuano gravi violazioni dei diritti umani nelle campagne, in particolare nelle aree dove vivono minoranze.
o Dagli anni Novanta USA e UE hanno imposto più volte sanzioni al regime, che l’hanno fatto avvicinare più strettamente alla Cina. In particolare con l’Amministrazione Bush, gli Usa hanno cercato di provocare la caduta del regime appoggiando l’opposizione (2007) di Aung San Suu Kyi, che in un manifesto del suo partito (1989) si diceva per l’apertura del paese a investimenti esteri, collaborazione con BM e FMI.
o L’Occidente aveva anche progettato di intervenire militarmente (per insediare un nuovo governo) prendendo con la giustificazione dello tsunami del 2008, piani poi falliti. I due motivi dell’attuale inversione di rotta della politica occidentale sono questo fallimento e la crescente importanza geo-strategica del paese.
o Ad inizio novembre 2011 il sottosegretario tedesco agli Esteri si è recato a Mynamar, offrendo la propria esperienza per la democratizzazione del paese; ad inizio 2012 sarà la volta del ministro per lo sviluppo, che riprenderà la cosiddetta “cooperazione per lo sviluppo”.
– Le potenze occidentali cercheranno di sfruttare tramite la cooperazione le contraddizioni nell’establishment, di cui una parte non vede bene l’influenza della Cina. Questo è emerso con la decisione di fermare la costruzione di una enorme diga, il cui progetto era stato finanziato dalla Cina alla quale doveva fornire energia elettrica.
o Myanmar ha per la Cina importanza strategica, sia per la ricchezza di materie prime, sia perché le consente di ridurre la dipendenza dalle rotte dello stretto di Malacca facilmente controllabili e bloccabili, dalla marina USA ad es.; dai porti di Myanmar merci e materie prime energetiche possono attraversare la sua terraferma per giungere direttamente in Cina.
o Pechino pensa alla costruzione di oleodotti dall’Oceano Indiano alla Cina attraverso Myanmar, per il petrolio e il gas da MO e Africa, evitando il passaggio tra le isole del SE Asia.
– Nel contempo per la Germania sta crescendo l’importanza economica della Cina, che attrae investimenti tedeschi record: lo stabilimento VW a Shanghai è la fabbrica d’auto più grande del mondo
– e tra breve acquisterà più merci tedesche che americane – primo semestre 2010 +55,5%, a €25,2MD (fermo a €27MD l’export tedesco verso USA, pari al 5,9% del suo volume totale);
o il vertice UE-Asia di ottobre (ASEM), l’incontro cancelliera tedesca-primo ministro cinese, il vertice UE-Cina hanno avuto come obiettivo il rafforzamento delle relazioni economiche verso Asia e Cina in particolare.
o Nella battaglia per le posizioni più importanti nel nuovo Ministero Esteri UE, la Germania è riuscita a imporre un proprio diplomatico come ambasciatore UE in Cina, Markus Ederer.
– Al vertice ASEAN hanno partecipato tutti i maggiori paesi del Pacifico (di S-E Asia, Nord e Sud America, Australia e Nuova Zelanda)in particolare Cina Usa, le due maggiori potenze del secolo in corso, Russia, Giappone, e le emergenti Sud Corea e Indonesia.
– Gli USA assegnano un’importanza preminente agli sviluppi dell’area;
o il ministro Esteri, Hillary Clinton vi ha dedicato un articolo su Foreign Affairs di novembre, “Per l’America il secolo del Pacifico”: in cui si sostiene che la politica futura sarà decisa in Asia, non in Afghanistan o in Irak:
o dopo l’inizio del ritiro delle truppe da Irak e Afghanistan, gli USA sono a una svolta, la sfida del prossimo decennio è l’ampliamento sostanziale degli investimenti americani (diplomatici, economici, strategici, etc.) nella regione Asia-Pacifico, dove saranno le principali sfide (conflitti futuri con la Cina).
– Già gli Usa stanno rafforzando le loro attività, cercando di allineare i paesi dell’area contro la Cina:
o Intensificata la cooperazione con Giappone e Sud Corea, visitati a ottobre dal ministro Difesa americano, Panetta.
– Germania e UE cercano di contrastare la perdita di influenza nel S-E Asia, e la Germania partecipa all’armamento dei paesi dell’area contro la Cina. A latere dell’ultimo G20 di Cannes, il presidente della Commissione, Barroso, e quello del Consiglio UE, van Rompuy, hanno discusso un accordo di libero scambio con il presidente indonesiano, e anche con Singapore, un povero surrogato dell’accordo di libero scambio con l’ASEAN, fallito nel 2009.
Sud Est Asiatico, regione geografica dell’Asia situata a sud della Cina e a nord dell’Australia, tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico.
o Di recente siglato dalla UE un accordo di libero scambio con il Sud Corea, che apre nuove chance ai gruppi tedeschi a scapito di quelli dell’industria dell’auto italiana (Fiat). Grazie all’accordo si prevede un aumento del commercio UE di circa €19MD
o Recente visita della Merkel in Vietnam: Berlino vuole accrescere la propria influenza nella regione Asia-Pacifico;
o inizio giugno, ministro Esteri tedesco ha siglato nuovo accordo di cooperazione con l’Australia.
o La prevista visita in Indonesia del ministro Esteri è stata respinta dal governo indonesiano: “non ha nulla che sia di interesse per Jakarta
– La riduzione del bilancio del Pentagono, annunciata dal governo americano, non riguarda le attività militari attorno al Pacifico.
– Previsto per metà 2012 l’aumento di 2500 soldati americani in Australia, comprese gruppi speciali.
– Secondo esperti del periodico Internationale Politik, Berlino deve concentrare il potenziamento militare sulla marina da guerra, anche per prepararsi alla competizione con la Cina;
– la Germania deve preoccuparsi di difendere militarmente commercio marittimo (l’80% del commercio mondiale passa sul mare), dato che il suo benessere dipende in grande misura da esso.
– La Germania possiede la terza maggiore flotta commerciale del mondo e la maggiore per navi porta-container.
– Cina e India trasportano sempre più con le proprie navi il greggio dal MO, mentre la Germania dipende per la sicurezza dalla marina USA, contribuendo a indebolire la propria marina da guerra:
o 6 dei 10 sommergibili tedeschi sono fuori servizio dal giugno 2010; in sostituzione ne sono previsti solo 2 nuovi, ancora in costruzione. Altrettanto per le navi da guerra.
– Questo vale in particolare per l’Oceano Indiano, ponte marino tra Europa, Asia e Africa,dove è da prevedere una corsa agli armamenti tra Cina e India, e altri paesi del S-E Asia: Vietnam, Australia, Singapore e Giappone; secondo MarineForum, entro il 2020 si prevede l’acquisto di 80-100 sommergibili per l’area del Pacifico, dove la marina USA ha ancora circa 50 sommergibili a propulsione atomica.
– Anche l’India ha ordinato sommergibili da Francia e Germania;
– Il fatto che un sommergibile cinese qualche tempo fa sia riuscito ad avvicinarsi ad un gruppo di navi portaelicotteri da guerra americano emergendo improvvisamente tra esse, secondo Marineforum avrebbe preoccupato la marina americana, mostrando al contempo le possibili future linee di conflitto Usa-Cina.
– e dove la marina tedesca combatte la pirateria (Corno d’Africa).
o La Cina fortemente interessata al Pacifico Occidentale, dove passano le rotte commerciali marittime strategiche dell’Asia oltre a ricchi giacimenti di petrolio, gas e minerali,
o è irritata per il predominio degli USA sui mari nella regione, dove stanno rafforzando attività militari e alleanze. Nel Mar Cinese meridionale Cina, Vietnam, Filippine e Giappone si disputano il possesso di alcune isole.
– La Cina non può rischiare che in caso crisi o conflittiil blocco degli stretti del S-E Asia o dei passaggi tra le isole giapponesi la escludano dal traffico marittimo – tanto nel Pacifico Occidentale che nell’Oceano Indiano (attraverso il quale passa la gran parte dell’import di materie prime della Cina).
o Il periodico specialistico MarineForum sulla possibilità che la Cina si doti di propri gruppi di navi da guerra portaerei: non è verosimile che la Cina investa massicciamente nella costruzione di portaerei militari, dato che oggi sono i sommergibili gli armamenti marittimi di ultima istanza in grado di abbattere qualsiasi nave da guerra, sullo sviluppo dei quali di fatto la Cina da tempo sta investendo, come mezzi di proiezione di potenza e a lungo termine starebbe costruendone una flotta.
– Washington sta rafforzando le alleanze per la sicurezza con i paesi del Mar Cinese Meridionale, e vuole potersi intromettere nelle dispute territoriali della regione; rafforza la propria presenza militare a Guam, nell’arcipelago delle Marianne.
Das pazifische Jahrhundert
– (Eigener Bericht) – Mit erheblichem Unmut registriert Berlin den Ausschluss von EU-Beobachtern von einem wichtigen asiatisch-amerikanischen Gipfeltreffen.
– An der Zusammenkunft des Asiatisch-Pazifischen Wirtschaftsforums (APEC) am letzten Wochenende hätten Vertreter der EU noch als Beobachter teilnehmen dürfen, heißt es in Berichten;
– beim Ostasiatischen Gipfel an diesem Wochenende sei das nicht mehr der Fall. Das wiege schwer, da an dem Treffen sämtliche mächtigen Anrainerstaaten des Pazifik teilnähmen, insbesondere China, die USA und Russland.
– Washington misst der Entwicklung rings um den Pazifik mittlerweile eine vorrangige weltpolitische Bedeutung bei. Die US-Außenministerin hat vergangene Woche das laufende Jahrhundert öffentlich zum "pazifischen Jahrhundert" erklärt: Die "Zukunft der Politik" werde "in Asien entschieden", heißt es in einem Namensartikel von Hillary Clinton, der in einem prominenten US-amerikanischen Außenpolitik-Magazin erschienen ist.
o Die operative US-Politik bestätigt diese Perspektive: US-Verteidigungsminister Panetta hat unlängst stärkere Aktivitäten der USA in Asien angekündigt, US-Präsident Obama teilt mit, US-Eliteeinheiten würden nächstes Jahr in Australien stationiert.
– Berlin und Brüssel kämpfen gegen Einflussverluste in Südostasien an; die Bundesrepublik beteiligt sich an der Aufrüstung von Pazifik-Anrainern gegen China.
– Mit erheblichem Unmut wird in Berlin der Ausschluss von EU-Beobachtern vom Ostasiatischen Gipfel an diesem Wochenende registriert. Beim Asiatisch-Pazifischen Wirtschaftsforum (APEC) am vergangenen Wochenende, einer Zusammenkunft von Pazifik-Anrainern in Ost- und Südostasien, in Nord- und Südamerika sowie Australien und Neuseland, hätten "immerhin noch EU-Beobachter das Geschehen verfolgen" dürfen, auch wenn "eher über als mit Europa" diskutiert worden sei. Nun drohe es "in diesem Ton" weiterzugehen.
– Das wiege schwer, da der Ostasiatische Gipfel nicht – wie APEC – auf ökonomische Themen beschränkt sei, sondern prinzipiell auch Fragen von erheblicher weltpolitischer Bedeutung behandeln könne. Mit den USA und China sind bei dem Treffen die beiden wohl stärksten Mächte der kommenden Jahrzehnte präsent, außerdem mehrere wirtschaftlich führende (Japan) oder aber aufstrebende (Südkorea, Indonesien) Staaten der Region. "Entsprechend zähneknirschend berichten europäische Diplomaten, dass Brüssels Bitte um Mitwirkung geradezu brüsk abgewiesen wurde", heißt es in der Presse: Es werde "von einer Ohrfeige" gesprochen.[1] Die Pazifik-Anrainerstaaten wollten offenbar "den alten Kontinent nicht dabeihaben".
Substanzielle Investitionen
– Dem Ausschluss der EU vom Ostasiatischen Gipfel kommt umso größere Bedeutung zu, als Washington soeben öffentlich ein "pazifisches Jahrhundert" ausgerufen hat. "Amerikas pazifisches Jahrhundert" lautet der Titel eines Namensartikels der US-Außenministerin, der vergangene Woche in der Außenpolitik-Zeitschrift Foreign Policy erschienen ist.
– Darin heißt es, nach dem Beginn der Rückzüge aus Irak und Afghanistan stünden die Vereinigten Staaten an einem Wendepunkt: In den nächsten zehn Jahren werde "eine der wichtigsten Aufgaben amerikanischer Staatskunst" darin bestehen, "substanziell erweiterte Investitionen diplomatische, ökonomische, strategische und andere – in der Asien-Pazifik-Region" zu tätigen.[2] Europa werde weiterhin ein wichtiger Partner bleiben. Die zentralen Herausforderungen würden jedoch rings um den Pazifik entstehen – ein deutlicher Hinweis auf künftige Konflikte mit der Volksrepublik China. Der Artikel soll der neuen US-Strategie breiteren Rückhalt in der Öffentlichkeit verschaffen.[3]
– Tatsächlich bauen die Vereinigten Staaten ihre Aktivitäten rings um den Pazifik massiv aus – und bemühen sich, die dortigen Länder gegen die Volksrepublik China in Stellung zu bringen. Bereits Ende Oktober hat US-Verteidigungsminister Leon Panetta Japan und Südkorea besucht und dort eine weitere Intensivierung der Kooperation angekündigt.
– Mit dem Rückzug aus dem Irak sowie dem beginnenden Rückzug aus Afghanistan befinde sich das US-Militär "an einem Wendepunkt", erklärte Panetta; Washington werde sich künftig stärker auf Asien konzentrieren.[4]
o Während die US-Regierung eine Kürzung des Pentagon-Etats angekündigt hat, sollen die Gelder, die den militärischen Aktivitäten der Vereinigten Staaten rings um den Pazifik dienen, nicht angetastet werden.
– Am Mittwoch hat US-Präsident Barack Obama in Australien mitgeteilt, die Präsenz des US-Militärs dort werde ausgebaut. Bis Mitte des kommenden Jahres sollen bis zu 2.500 Soldaten, darunter Eliteeinheiten, nach Darwin im Norden Australiens verlegt werden. Sie würden alle sechs Monate rotieren und könnten binnen kürzester Zeit eingesetzt werden, heißt es in Washington. Dass sich die US-Militärpolitik rings um den Pazifik vor allem gegen die Volksrepublik China richtet, ist in Asien unbestritten.
– In Deutschland wird mit Besorgnis registriert, dass einerseits die US-Aktivitäten am Pazifik die Bedeutung Europas für Washington relativieren, andererseits zugleich der eigene Einfluss in der Region schrumpft. Aufmerksam berichtet die Presse etwa über die Einschätzung des "Wall Street Journal", die US-Asienstrategie verlege "die Achse von Europa in die asiatisch-pazifische Boom-Region".[5] Die EU verhalte sich "genau spiegelverkehrt", heißt es – ihre "Bedeutung in der Region" sei zur Zeit "auf dem Tiefpunkt".
– Angesichts der Euro-Krise "schreibt und spricht die politische und wirtschaftliche Elite der Region über Europa wie über einen kranken Mann", ist in einem aktuellen Bericht zu lesen: "Europäer, die in asiatischen Hauptstädten leben, berichten, dass kaum noch ein Gespräch vergehe, ohne dass sie auf die Krise in ihren Heimatländern angesprochen würden." Manche Diplomaten reagierten "auf das ‘Europa-Bashing’ schon gereizt." Ein Botschafter wird mit den Worten zitiert: "Ich kann dieses ständige Herunterreden nicht mehr hören. So schlecht sind wir doch auch nicht!"[6]
– Berlin bemüht sich, EU-Aktivitäten vor allem in Südostasien zu forcieren, und treibt zugleich die eigene nationale Einflussarbeit am Pazifik voran. Am Rande des G20-Gipfels am 4. November in Cannes führten EU-Kommissionspräsident Barroso und EU-Ratspräsident van Rompuy Gespräche mit dem indonesischen Staatspräsidenten über ein Freihandelsabkommen, das die wirtschaftlichen Beziehungen der EU zu Südostasien stärken soll.
– Identische Verhandlungen werden mit Singapur geführt.[7] Allerdings sind sie nur ein dürrer Ersatz für das eigentlich geplante Freihandelsabkommen der EU mit dem südostasiatischen Staatenbündnis ASEAN, das 2009 gescheitert ist.
– Erst kürzlich hat die deutsche Kanzlerin mit einer Reise nach Vietnam das Interesse Berlins verdeutlicht, in der Asien-Pazifik-Region größeren Einfluss aufzubauen.[8]
– Anfang Juni hat der Berliner Außenminister Australien besucht – und dort mit einem neuen Kooperationsabkommen die bilaterale Zusammenarbeit verstärkt.[9]
– Allerdings muss Berlin bei seinen Bemühungen bislang ungewohnte Reaktionen zur Kenntnis nehmen. Als Westerwelle im Frühjahr Indonesien bereisen wollte, wurde er von der dortigen Regierung ausgeladen – weil er "nichts im Gepäck" gehabt habe, was für Jakarta "von Interesse" gewesen sei, war hinterher in Berlin zu hören.
– Die neue Bedeutung, die die Asien-Pazifik-Region ökonomisch, aber aufgrund der gegen China gerichteten US-Politik auch politisch erhält,
o erschwert es der Bundesregierung, ihre gewohnte Herrschaftsperspektive in der Praxis zu realisieren.
– Dabei beteiligt sich Berlin trotz aller Versuche, eine eigenständige Einflusspolitik zu entfalten, auch an den Bestrebungen Washingtons, ein auch militärisch fundiertes Bündnis gegen die Volksrepublik China aufzubauen.
– So nehmen die deutschen Rüstungsexporte in die Region deutlich zu; Südkorea etwa stand im Jahr 2008 auf Platz eins der Rangliste deutscher Rüstungsabnehmer – mit Liefergenehmigungen im Wert von mehr als 1,9 Milliarden Euro, darunter nicht nur U-Boote sowie Marineausrüstung, sondern auch Teile für Panzer und Flugabwehrraketensysteme.[10]
– Marinekreise fordern, Berlin müsse die deutsche Marine hochrüsten und sich damit auch offen gegenüber China positionieren.[11]
– Gegen die Perspektive, an der Seite Washingtons in harte Konflikte mit Beijing zu geraten, ruft auch im außenpolitischen Establishment Berlins ernste Besorgnis hervor (german-foreign-policy.com berichtete [12]). Zumindest die Praxis der Rüstungsexportgenehmigungen der Bundesregierung bereitet tatsächlich künftigen – auch militärischen – Konflikten den Boden.
[1] Wir müssen draußen bleiben; Frankfurter Allgemeine Zeitung 16.11.2011
[2], [3] Hillary Clinton: America’s Pacific Century; Foreign Policy 11/2011
[4] Panetta: US Military at ‘turning point’ as wars wind down, will refocus more on Asia; The Washington Post 25.10.2011
[5] Amerika startet das Projekt Pazifik; www.spiegel.de 17.11.2011
[6] Wir müssen draußen bleiben; Frankfurter Allgemeine Zeitung 16.11.2011
[7] s. dazu Offensiven gegen China (III)
[8] s. dazu Verbündete gegen Beijing (I)
[9] s. auch Kriegsstrategien (II)
[10] s. dazu Asiatische Gipfeltage
[11] s. dazu Wettrüsten auf See
[12] s. dazu Europas Abstieg (III) und Gestalten statt verhindern
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– (Eigener Bericht) – Berlin soll seine Aufrüstung auf die Kriegsmarine konzentrieren und sich damit auch für die Konkurrenz gegenüber der Volksrepublik China wappnen.
– Dies fordert ein Außenpolitik-Experte in der führenden außenpolitischen Zeitschrift der Bundesrepublik. Demnach müsse Deutschland, da sein Wohlstand in hohem Maß vom Seehandel abhänge, sich vor allem dem militärischen Schutz seiner Handelsschifffahrt widmen.
– Das gelte ganz besonders für den Indischen Ozean, wo ein "Wettrüsten" zwischen China und Indien zu erwarten sei. Die Marinerüstung Chinas, der an die Volksrepublik grenzenden Staaten Südostasiens und Indiens wird seit geraumer Zeit von deutschen Experten aufmerksam beobachtet – nicht zuletzt mit Blick auf mögliche Konfrontationen zwischen Beijing und Washington.
– China habe starke Interessen im Westpazifik, weil dort "Asiens strategische Seehandelswege" verliefen und zudem "reiche Vorkommen an Öl, Gas und Mineralien" zu finden seien, heißt es unter deutschen Marine-Experten. Entsprechend gereizt reagiere Beijing in jüngster Zeit auf die US-amerikanische Marinedominanz in der Region.
– Während Washington seine Marine-Aktivitäten und seine Bündnisse im Westpazifik stärkt, richten sich die Absichten deutscher Strategen auf den Indischen Ozean, den westlichen Teil des chinesischen Interessengebiets.
– Berlin soll seine Rüstungsprojekte auf die Stärkung der Kriegsmarine konzentrieren. Dies fordert der Bonner Außenpolitik-Experte Thomas Speckmann in der Zeitschrift Internationale Politik. Die Fachzeitschrift widmet sich mit einem aktuellen thematischen Schwerpunkt der Frage, wie die Bundeswehr der Zukunft gestaltet sein soll. Speckmann erinnert daran, dass nicht nur "80 Prozent des Welthandels auf dem Seeweg erfolgen" – eine für Exportnationen wie Deutschland ungemein wichtige Tatsache -, sondern dass die Bundesrepublik über die drittgrößte Handelsflotte und sogar über die größte Containerschiffsflotte weltweit verfügt.
– Während aber etwa China und Indien "ihre Versorgung mit Rohöl aus dem Nahen und Mittleren Osten nach und nach mit der eigenen Flotte" sicherten, setze Deutschland "weiterhin auf die Garantie freier Handelswege durch die US Navy" – und leiste sich eine deutliche Schwächung seiner Kriegsmarine.
– So seien sechs der zehn deutschen U-Boote seit Juni 2010 außer Dienst gestellt; lediglich zwei neue Einheiten seien als Ersatz vorgesehen und zur Zeit im Bau. Ähnlich verhalte es sich bei anderen Kriegsschiffsgattungen. Die Entwicklung müsse dringend umgekehrt werden.[1]
Zentrale Wasserbrücke
– Besonderen Aufrüstungsbedarf sieht Speckmann hinsichtlich der Seewege durch den Indischen Ozean, über die ein Großteil des ungebrochen boomenden deutschen Ostasienhandels abgewickelt wird.[2] Im Indischen Ozean, "an der zentralen Wasserbrücke zwischen Europa, Asien und Afrika", sei "nicht nur die Gefahr der Piraterie zu bannen"; tatsächlich befinden sich deutsche Kriegsschiffe seit geraumer Zeit zur Piratenbekämpfung im Westen des Indischen Ozeans – am Horn von Afrika. Vor allem aber, heißt es in dem Beitrag in der Internationalen Politik, errichteten dort "die Rivalen China und Indien mächtige Flotten". Deutsche Schiffe würden in naher Zukunft ein Meer kreuzen, das sich "inmitten eines maritimen Wettrüstens" befinde. Hier gelte es gegenzuhalten.
– Während Speckmann daher den Bau von mehr Kriegsschiffen fordert, beobachten Marine-Experten die Aufrüstung der asiatischen Kriegsflotten in jüngster Zeit mit verstärkter Aufmerksamkeit. Über den Hintergrund heißt es in der Fachzeitschrift MarineForum, es zeichne sich immer deutlicher die Rivalität zwischen China und den Vereinigten Staaten ab. Die Volksrepublik habe starke Interessen im Westpazifik – dort verliefen "Asiens strategische Seehandelswege", außerdem gebe es unter dem Meeresgrund "reiche Vorkommen an Öl, Gas und Mineralien". Auf die Präsenz von Kriegsschiffen fremder Staaten, insbesondere der USA, in den betreffenden Gebieten reagiere Beijing zunehmend gereizt.
– Dabei gehe es nicht nur um den Besitz von Inseln vor allem im Südchinesischen Meer, die neben China auch andere Länder (etwa Vietnam, die Philippinen oder Japan) beanspruchten. Hohe Bedeutung habe zudem die Kontrolle von Meerengen, die für den Seehandel wichtig seien.[3] "Auch in Krisen- oder gar Konfliktzeiten soll China nicht Gefahr laufen, durch Blockaden der südostasiatischen Meerengen oder der Passagen zwischen den japanischen Inseln vom Seeverkehr abgeschnitten zu werden", heißt es über den Hintergrund der Einflussbemühungen Beijings. Dies gelte nicht nur für den Westpazifik, sondern auch für den Indischen Ozean, über den große Teile von Chinas Rohstoffimporten abgewickelt werden.
Das ultimative Großkampfschiff
– Exemplarisch untersucht hat das MarineForum die Aufrüstung sowie die chinesisch-amerikanische Konkurrenz anhand der U-Boot-Flotten. Häufig werde davon gesprochen, dass China sich künftig mit eigenen Flugzeugträgerkampfgruppen wappnen könne, heißt es in dem Fachblatt. Dabei werde völlig übersehen, dass mittlerweile eigentlich U-Boote die "vorherrschende Seekriegswaffe" seien. "Heute ist das U-Boot", heißt es in dem Blatt, "das ultimative Großkampfschiff, versehen mit der Fähigkeit, jedes Kriegsschiff zu zerstören, das in seine Reichweite einfährt, und gleichzeitig imstande, Landziele anzugreifen, ohne den eigenen Standort preiszugeben."[4] Insofern sei es nicht übermäßig wahrscheinlich, dass China "massiv in den Bau von Flugzeugträgern" investiere:
– "Die Zunahme sowohl der Anzahl als auch der Leistung der Unterseeboote im Pazifikraum würde solche Träger in höchste Gefahr setzen, versenkt zu werden". In der Tat investiere die Volksrepublik schon längst "intensiv in die Entwicklung des Unterseebootes als Machtprojektionsmittel" und baue auf lange Sicht eine starke U-Boot-Flotte auf.
– Den Anstieg der Spannungen in den Meeren rings um China lässt laut MarineForum erkennen, dass nicht nur die Volksrepublik sich hochmoderne neue U-Boote beschafft. Auch Vietnam will U-Boote kaufen. Ferner ist auch Australien um die Aufrüstung mit neuen U-Booten bemüht. Dasselbe treffe, heißt es im MarineForum, auch auf Singapur und Japan zu.
– "Insgesamt werden bis zum Jahr 2020 circa 80 bis 100 neue Unterseeboote im Pazifikraum in Dienst gestellt", heißt es weiter; viele seien mit Marschflugkörpern und hochmodernen, lichtwellenleitergesteuerten Torpedos ausgestattet. Der Hochrüstung schließe sich auch Indien an, das "offensichtlich (…) nicht hinter China zurückfallen" wolle: "Es hat auch U-Boote aus Frankreich und Deutschland bestellt."
– Zusätzlich unterhalte noch die US Navy "rund 50 atomar betriebene Unterseeboote im Pazifikraum".[5] Erheblichen Eindruck hat es laut MarineForum in der US Navy gemacht, dass vor geraumer Zeit ein chinesisches U-Boot sich geräuschlos an eine US-amerikanische Flugzeugträgerkampfgruppe anschleichen und plötzlich in ihrer Mitte auftauchen konnte. Der Vorgang symbolisiere, heißt es, die große Bedeutung, die der umfassenden U-Boot-Aufrüstung zukomme; er lasse zugleich die künftige Konfliktlinie zwischen den USA und China deutlich erkennen.
– Dass sich inzwischen Spannungen vor allem im Südchinesischen Meer, perspektivisch aber auch im Indischen Ozean deutlich abzeichnen, bestätigt die aktuelle Ausgabe des MarineForums. Dort heißt es über die Auseinandersetzungen: "Washington vertieft die Sicherheitspartnerschaft mit den Staaten des Südchinesischen Meeres, vom alten Verbündeten Manila bis zum neuen Partner Hanoi." Auch "auf internationalen Tagungen unterstützen die USA den Zusammenhalt der Anrainerstaaten." Washington bestehe darauf, bei der Lösung der Territorialstreitigkeiten in der Region einbezogen zu werden. "Und auf Guam – der südlichsten Insel der Marianengruppe und noch immer souveränes US-Territorium – wird die Militärpräsenz ausgebaut." US-Außenministerin Clinton wird mit den Worten zitiert: "Wir stehen zu unserer Präsenz im Pazifik. Wir sind eine pazifische Macht."[6] Während sich Washington vor allem im Westpazifik mit eigenen Kriegsschiffen und einem Ausbau seiner Bündnisse mit aller Macht festzusetzen sucht,
– nehmen deutsche Strategen das Meer in ihren Blick, das den westlichen Teil der unmittelbaren chinesischen Interessensphäre darstellt – nämlich den Indischen Ozean. Werden die Planungen realisiert, dann stünde die deutsche Kriegsmarine im Rahmen einer möglichen Konfrontation zwischen dem transatlantischen Bündnis und China ganz im Westen der mutmaßlich involvierten Konfliktregionen bereit.
[1], [2] Thomas Speckmann: Alle Mann an Bord. Warum die Zukunft der Bundeswehr auf dem Wasser liegt; Internationale Politik November/Dezember 2011
[3] Klaus Mommsen: Raufbold oder Partner? China instrumentalisiert seine "Volksbefreiungsmarine"; MarineForum 10/2011
[4], [5] Maxim Worcester: Die Rolle des Unterseeboots im Kampf um die Vorherrschaft im Pazifik; MarineForum 9/2011
[6] Sidney E. Dean: Chinas rivalisierende Partner. Noch ist es nur Streit um Rohstoffe; MarineForum 11/2011
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Asiatische Gipfeltage
– (Eigener Bericht) – Auf mehreren Gipfeltreffen setzen Berlin und Brüssel in diesen Tagen ihren Kampf um Einfluss in Ostasien fort. Die Aussicht auf profitable Geschäfte der deutschen Industrie mit China veranlasst die Bundesregierung, Gespräche über den weiteren Ausbau der Wirtschaftsbeziehungen zu führen. Die Volksrepublik zieht in wachsendem Maße deutsche Rekordinvestitionen an und wird in Kürze mehr deutsche Produkte abnehmen als die Vereinigten Staaten.
– Zugleich setzt Berlin seine Bemühungen fort, die eigene Position in den Ländern rings um China zu stärken.
– Ein neues EU-Freihandelsabkommen mit Südkorea, das am morgigen Mittwoch unterzeichnet wird, eröffnet insbesondere deutschen Unternehmen neue Chancen – auf Kosten der italienischen Industrie. Das Eskalationspotenzial, das die Einkreisung Chinas durch die führenden westlichen Staaten mit sich bringt, lässt der aktuelle Territorialstreit zwischen Beijing und Tokio um eine Inselgruppe im Ostchinesischen Meer erahnen. Spannungen stehen zudem zwischen der EU und Myanmar bevor. Berlin versucht den Druck auf Myanmar zu erhöhen, das für China eine herausragende geostrategische Bedeutung besitzt, und fordert, in der Abschlusserklärung des heute zu Ende gehenden Gipfels der EU sowie 19 asiatischer Staaten scharfe Kritik an der Regierung des Landes zu üben.
– Dem Ausbau der Wirtschaftsbeziehungen nach Asien allgemein und insbesondere nach China dient neben dem heute zu Ende gehenden EU-Asien-Gipfel (ASEM) [1] die heutige Zusammenkunft der deutschen Kanzlerin und des chinesischen Ministerpräsidenten sowie der EU-China-Gipfel am morgigen Mittwoch. China ist Standort einer zunehmenden Zahl deutscher Rekordinvestitionen; so beherbergt es etwa mit dem VW-Werk in Shanghai die größte Automobilfabrik der Welt (german-foreign-policy.com berichtete [2]). Auch unter den Abnehmern deutscher Produkte gewinnt die Volksrepublik weiter an Bedeutung. Die deutschen Exporte nach China nahmen im ersten Halbjahr 2010 um 55,5 Prozent zu und erreichten einen Wert von 25,2 Milliarden Euro. Damit lagen sie nur noch knapp unter dem Wert der Ausfuhren in die Vereinigten Staaten, der mit 27 Milliarden Euro bei 5,9 Prozent des gesamten deutschen Exportvolumens stagnierte. Selbst bei einem schwächeren Wachstum wird die Bundesrepublik in Kürze mehr Produkte in die Volksrepublik liefern als in die USA.
Strategische Bedeutung
– Die hohe Bedeutung, die Berlin der Ausgestaltung der Beziehungen zu China beimisst, lässt eine Personalie des vergangenen Monats erkennen. Im Machtkampf um die wichtigsten Positionen im neuen Europäischen Auswärtigen Dienst hat die Bundesregierung einem Berliner Diplomaten die Stellung des EU-Botschafters in China verschafft. Deutschland halte damit "eine Position von strategischer Bedeutung", urteilt das Auswärtige Amt.[3] Der zukünftige EU-Botschafter Markus Ederer leitete zuletzt den Planungsstab im deutschen Außenministerium und hatte bereits zuvor bedeutende Posten inne; so war er beispielsweise als Kabinettschef des Sonderkoordinators des Stabilitätspaktes für Südosteuropa tätig. Seine Karriere begonnen hat Ederer bei der deutschen Auslandsspionage – als Unterabteilungsleiter Politische/Wirtschaftliche Auswertung beim Bundesnachrichtendienst.[4]
– Neben dem Ausbau der profitablen Wirtschaftsbeziehungen zu Beijing arbeitet Berlin gezielt an einer Stärkung seiner Position in den Staaten rings um die Volksrepublik – und beteiligt sich damit an der westlichen Einkreisung Chinas.
– Jüngster Schritt ist das Freihandelsabkommen zwischen der EU und Südkorea, das beim EU-Südkorea-Gipfel am morgigen Mittwoch unterzeichnet wird und den wirtschaftlichen Beziehungen einen stärkeren Auftrieb verschaffen soll. Es werde "gerade den deutschen Unternehmen einen Schub im Geschäft mit Korea geben", urteilen Wirtschaftskreise.[5] Insgesamt soll das Abkommen das Handelsvolumen der EU mit Südkorea um rund 19 Milliarden Euro vergrößern. Auf ein geteiltes Echo stößt es in der europäischen Automobilindustrie. Während der italienische FIAT-Konzern erhebliche Verluste an konkurrierende koreanische Firmen fürchtet, erhoffen sich deutsche Konzerne neue Exporterfolge. Seoul habe zugesagt, deutsche Automobil-Ausfuhren nicht durch Umweltnormen zu verkomplizieren, heißt es in Regierungskreisen.[6]
Dabei stärkt Berlin seine Positionen in Seoul nicht nur durch den Ausbau der Wirtschaftskontakte, sondern auch durch Militärkooperation und Waffenlieferungen.
– Im Jahr 2007 sprach der damalige deutsche Verteidigungsminister Franz Josef Jung mit seinem südkoreanischen Amtskollegen über eine engere militärpolitische Zusammenarbeit zwischen den beiden Staaten. Die Zusammenarbeit hat mittlerweile begonnen: Im Juni besuchte eine Delegation der südkoreanischen Streitkräfte das Heeresamt und die Führungsakademie der Bundeswehr. Auch die Rüstungskooperation boomt.
– In den Jahren 2003 und 2004 war Seoul noch der drittwichtigste Abnehmer deutschen Kriegsgerätes außerhalb der NATO, 2007 stand es in der Gesamtliste deutscher Rüstungsexporte (einschließlich NATO) auf Platz sechs und 2008 auf Platz eins – mit Liefergenehmigungen im Wert von mehr als 1,9 Milliarden Euro. Südkorea erhält nicht nur U-Boote und Marineausrüstung, sondern außerdem auch Teile für Panzer und Flugabwehrraketensysteme.
– Welches Eskalationspotenzial entlang der chinesischen Grenzen vorhanden ist, zeigt aktuell der Konflikt zwischen Tokio und Beijing um eine Inselgruppe im südchinesischen Meer, der erst vor wenigen Tagen zu einem diplomatischen Eklat führte und auch den heute zu Ende gehenden EU-Asien-Gipfel berührt. Erst im Juli 2010 hatte US-Außenministerin Hillary Clinton eine friedliche Lösung der Territorialkonflikte im Südchinesischen Meer – dort beanspruchen neben China etwa auch Vietnam und die Philippinen verschiedene Inselgruppen – zum "nationalen Interesse" der Vereinigten Staaten erklärt und mit ihrer Einmischung heftige Proteste in Beijing ausgelöst.[7] In naher Zukunft könnten die bestehenden Konflikte noch weiter eskalieren, befürchten Beobachter. Dabei ist Berlin über Militär- und Rüstungskooperationen mit diversen ost- und südostasiatischen Staaten, darunter etwa Japan [8] und Indonesien [9], involviert – also auf der Seite der potenziellen Gegner Chinas.
– Konflikte zeichnen sich dabei nicht nur um Inselgruppen, sondern auch auf dem südostasiatischen Festland ab. Im November finden Wahlen in Myanmar statt, einem Staat, der für China erhebliche Bedeutung besitzt: Über die Häfen des Landes sollen Waren, darunter auch Energierohstoffe, in die Volksrepublik transportiert werden; dies werde, heißt es, die Abhängigkeit Beijings vom Transport durch die gefährlichen indonesischen Meerengen, etwa die Straße von Malakka, verringern.[10] Da in Myanmar ein Militärregime herrscht, bietet es sich für Berlin und Brüssel an, zur Entfaltung von Druck die Menschenrechtslage in dem Land zu thematisieren. Entsprechend hat die EU im Entwurf für die Abschlusserklärung des EU-Asien-Gipfels eine Formulierung aufgenommen, die Myanmar auffordert, sämtliche politischen Gefangenen freizulassen. Hintergrund der lautstarken Forderung, auf die Berlin gegenüber kooperationsbereiten Diktaturen selbstverständlich verzichtet (so etwa in Äthiopien, german-foreign-policy.com berichtete [11]), ist das Bemühen, den eigenen Einfluss in Myanmar zu stärken, um China dort zurückdrängen zu können – und die Einkreisung der wegen ihres geschäftlichen Nutzens gleichzeitig hofierten Wirtschaftsmacht zu vollenden.
[1] ASEM ist ein Forum europäischer und asiatischer Staaten, dem neben den 27 EU-Mitgliedern die zehn Mitglieder des südostasiatischen Bündnisses ASEAN sowie China, Japan und Südkorea, Indien, Pakistan und die Mongolei, nach der jüngsten Erweiterung zudem Russland, Neuseeland und Australien angehören. ASEM steht in Konkurrenz zu den Vereinigten Staaten; s. dazu Emanzipatorische Elemente
[2] s. dazu Deutschland gegen China (II)
[3] Deutscher wird EU-Chefdiplomat in China; www.derwesten.de 15.09.2010
[4] Der neue Diplomatische Dienst; www.european-circle.de 01.10.2010
[5] IVAM und OAV stärken deutsche Unternehmen im Geschäft mit Korea; www.academics.de 30.09.2010
[6] EU besiegelt Abkommen mit Südkorea; www.zeit.de 16.09.2010
[7] Hillary Clinton Changes America’s China Policy; www.forbes.com 28.07.2010
[8] s. dazu Alte Freunde und Einkreisung
[9] s. dazu Ankerland (II) und Subregionales Wettrüsten
[10] s. dazu Prestigeträchtig
[11] s. dazu Diktatorenhilfe und Inhärent rassistisch
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Das pazifische Jahrhundert (II)
– (Eigener Bericht) – Im Rahmen ihrer antichinesischen Einflussarbeit in Südostasien verkünden Berlin und Washington einen Kurswechsel gegenüber dem bislang heftig bekämpften Regime in Myanmar (Birma/Burma).
– Wie der US-Präsident Ende letzter Woche bekanntgegeben hat, wird US-Außenministerin Clinton im Dezember nach Myanmar reisen. Anfang November hat der Staatsminister im Auswärtigen Amt Werner Hoyer das Land besucht und dort die Wiederaufnahme der sogenannten Entwicklungshilfe in die Wege geleitet. Minister Niebel wird Anfang 2012 in die Hauptstadt Naypyidaw fliegen, um nächste Schritte zu initiieren. Ursache für den Kurswechsel ist, dass die bisherige Konfrontationspolitik nicht zum Erfolg geführt hat: Die Volksrepublik China, für die Myanmar große geostrategische Bedeutung besitzt, hat weiterhin eine exklusive Stellung in dem Land inne.
– Um seine Position zu stärken, will der Westen Widersprüche im myanmarischen Establishment ausnutzen – nun aber mit Hilfe von Kooperation ("Wandel durch Annäherung"). Für Washington und den transatlantischen Flügel der Berliner Außenpolitik gehören die Einflussbestrebungen in Myanmar zur unlängst offiziell verkündeten Strategie, sich in Ländern rings um den Pazifik stärker festzusetzen – gegen China.
– Kritische Beobachter führen die Kehrtwende der westlichen Myanmar-Politik, deren auffälligstes Ergebnis der für Anfang Dezember angekündigte Besuch von US-Außenministerin Hillary Clinton ist, auf eine doppelte Ursache zurück.
– Einerseits hat Myanmar aufgrund des anhaltenden Aufstiegs der Volksrepublik China in den letzten Jahren erheblich an geostrategischer Bedeutung gewonnen. Nach dem Ende der Systemkonfrontation hatte der Westen sich nicht sonderlich für das Land interessiert, in dem 1988 ein repressives Militärregime an die Macht gekommen war. Bereits 1989 hatte ein westlicher Diplomat gegenüber der Washington Post geäußert: "Weil es dort keine US-Basen und nur ein sehr geringes strategisches Interesse gibt, ist Burma ein Ort, wo die Vereinigten Staaten sich den Luxus leisten können, ihren Prinzipien gerecht zu werden."[1] Seitdem wurden in großer Lautstärke die Menschenrechtsverletzungen in Myanmar angeprangert, zudem wurden seit den 1990er Jahren mehrfach Sanktionen durch USA und EU verhängt – Schaufensterpolitik für das westliche Menschenrechts-Image in einem jahrelang für unbedeutend gehaltenen Land.
– Eine Weile lang hatte Myanmar für die Politik der Weltmächte in der Tat keine größere Bedeutung, bis sich herausstellte, dass – begünstigt durch die Sanktionen des Westens – China das Land eng an sich band.
– Beijing suchte Myanmar, das über umfangreiche Rohstoffvorkommen verfügt, nicht nur zum Wirtschaftspartner zu gewinnen, um für seinen an das Land grenzenden, vergleichsweise noch rückständigen Südwesten Entwicklungsperspektiven zu eröffnen. Es plant außerdem, Pipelines aus dem Indischen Ozean durch Myanmar nach China zu errichten. Damit soll die Lieferung von Erdöl und Erdgas aus dem Mittleren Osten und aus Afrika in die Volksrepublik vereinfacht werden – man kann, sobald die Pipelines fertiggestellt sind, die Rohstoffe schon im Indischen Ozean in die Röhre füllen und muss sie nicht durch die Inselwelt Südostasiens transportieren. Letzteres ist nicht nur aufwendig, sondern für China auch sehr riskant: Der Seeweg führt durch Meerengen wie etwa die Straße von Malakka, die leicht zu sperren sind, etwa durch die U.S. Navy, die in dem Gebiet nach wie vor als dominierende Seemacht auftritt. Die Vereinigten Staaten wären prinzipiell jederzeit in der Lage, China von der Energiezufuhr abzuschneiden [2] – ein Szenario, das nach den jüngsten Ankündigungen der US-Regierung, den Pazifik zu militarisieren (german-foreign-policy.com berichtete [3]), an Bedeutung gewinnt.
– Vor allem zur Zeit der Bush-Administration hatte der Westen daher versucht, mit Unterstützung für die Opposition und massivem Druck auf das Regime einen Umsturz in der Hauptstadt Naypyidaw herbeizuführen. Dabei galt die Oppositionsführerin Aung San Suu Kyi, die 1991 mit dem Friedensnobelpreis geehrt und auf diese Weise mit Vorschusslorbeeren versehen worden war, als Favoritin von USA und EU. Über Suu Kyi heißt es, sie vertrete "wirtschaftspolitisch eindeutig pro-westliche Standpunkte" – in einem grundlegenden Manifest ihrer Partei aus dem Jahr 1989 werden "Privatisierungen, eine Öffnung" des Landes "für Auslandsinvestitionen und eine Zusammenarbeit mit Weltbank und Internationalem Währungsfonds (IWF) befürwortet".[4] Entsprechend wurde die myanmarische Opposition, als sie im Herbst 2007 Massenproteste startete, vom Westen unterstützt.[5] Breite PR-Maßnahmen begleiteten den – erfolglosen – Versuch, das Regime in Naypyidaw zu entmachten, aber auch die Überlegungen in westlichen Hauptstädten, die Unwetterkatastrophe vom Frühjahr 2008 als Anlass für eine Militärintervention zu nehmen. Man müsse, wenn eine Regierung die Folgen einer Unwetterkatastrophe nicht rasch bewältigen könne, einmarschieren dürfen, um der Bevölkerung "Hilfe" zukommen zu lassen, hieß es damals in Berlin mit Bezug auf Myanmar; entsprechend äußerte sich etwa eine damalige SPD-Bundesministerin (german-foreign-policy.com berichtete [6]). Die Pläne, die faktisch auf einen Krieg zur Installierung eines neuen Regimes hinausliefen, scheiterten allerdings.
Spaltung im Establishment
– Das Scheitern der offenen Aggression ist – neben der zunehmenden geostrategischen Bedeutung des Landes – die zweite Ursache für den aktuellen Kurswechsel des Westens. USA und EU haben dazu den Amtsantritt von US-Präsident Barack Obama im Januar 2009 genutzt und bemühen sich seither um eine engere Kooperation. Man wolle, da man per Konfrontation keine Erfolge erzielt habe, nun durch den "Aufbau ziviler Strukturen" den Einfluss Chinas zurückdrängen, urteilen Beobachter.[7] Hintergrund sei, "dass der Einfluss Chinas in Myanmar inzwischen bei Teilen des Establishments auf Widerspruch stößt". Bereits letztes Jahr erklärten Berliner Regierungsberater, man dürfe "das Regime in Birma nicht länger allein als einen monolitischen Block" wahrnehmen, sondern müsse stattdessen "die wirtschaftlichen Akteure (…) identifizieren, die ein vitales Interesse haben, innovative Entwicklungen anzustoßen, weil sie dadurch ein höheres Maß an Unabhängigkeit von den bestehenden Machtstrukturen erlangen".[8] Dass die damit offenkundig gemeinten Kräfte, die China kritisch gegenüberstehen, inzwischen erstarken, zeigt der Beschluss Naypyidaws, fürs Erste den Bau eines riesigen Staudamms zu stoppen. Das Vorhaben wurde von China finanziert; geplant war, aus Wasserkraft gewonnenen Strom auch in die Volksrepublik zu liefern.
– Seit einigen Wochen wird nun über die westliche Presse lanciert, das Regime in Naypyidaw habe sich "dramatisch" gewandelt – und respektiere nun plötzlich die Menschenrechte. Um dem Westen diese erstaunliche Behauptung zu ermöglichen, die aus Gründen politischer PR für eine Aufnahme engerer Kooperation unerlässlich ist, hat das Regime bis zu 300 politische Gefangene freigelassen. Im Gegenzug lässt der Westen verkünden, man habe sich in den vergangenen Jahren etwas geirrt – es gebe in Myanmar wohl doch keine 2.000, sondern allenfalls 700 bis 800 aus politischem Grund Inhaftierte.[9] Die Opposition, bislang von USA und EU hofiert, hat sich anzupassen; erst kürzlich teilte die Partei von Aung San Suu Kyi mit, ihre Politik des Wahlboykotts preiszugeben und sich in Zukunft durch die Teilnahme an Urnengängen in das politische System des Landes zu integrieren. Kritische Beobachter verweisen darauf, dass das Militär nach wie vor die Zügel fest in der Hand hält, und stufen die aktuellen Maßnahmen als mit dem Westen abgesprochene Schritte ein, die eine engere Kooperation legitimieren sollen.[10] Dabei werde weitgehend außer Acht gelassen, dass die dürftigen PR-Operationen "auf die politischen und wirtschaftlichen Zentren beschränkt" seien. Die ländlichen Territorien, insbesondere die von Minderheiten bewohnten Gebiete verzeichneten nach wie vor gravierende Menschenrechtsverletzungen.[11]
– Dessen ungeachtet gewinnt die westliche Einflussarbeit an Schwung – unter tatkräftiger deutscher Beteiligung. Berlin, das den europäischen Einfluss in Südostasien schwinden sieht [12], hat Anfang November den Staatsminister im Auswärtigen Amt Werner Hoyer nach Myanmar entsandt, um dort seine Position zu sichern. Hoyer, der in Aussicht stellte, Berlin könne "wertvolle Erfahrungen" zum Aufbau der myanmarischen Demokratie beisteuern [13], wurde von Harald Klein begleitet, einem Abteilungsleiter im Bundesentwicklungsministerium [14]. Entwicklungsminister Dirk Niebel soll Anfang 2012 nach Naypyidaw reisen, um dort erste Schritte zur Wiederaufnahme der sogenannten Entwicklungskooperation einzuleiten. Weitere Maßnahmen zur Sicherung deutschen Einflusses in dem geostrategisch wichtigen Land werden folgen. Für die nächsten Wochen und Monate ist noch mit gelegentlichen Hinweisen auf die "schwierige" Menschenrechtslage in Myanmar zu rechnen – dies gilt als nötig, um das Publikum, das vor wenigen Jahren noch auf Konfrontation eingestimmt wurde, auf den neuen Kurs vorzubereiten. Zugleich lässt sich mit "Menschenrechts"-Argumenten ein gewisser Druck auf Naypyidaw aufrecht halten, sollte das dortige Regime dem Westen in der nächsten Zeit unerwartete Schwierigkeiten bereiten.
[1] Human Rights Watch World Report 1989 – Burma (Myanmar); www.unhcr.org
[2] Geostrategische Bedeutung von Birma/Myanmar nimmt zu; www.eurasischesmagazin.de 02.08.2011
[3] s. dazu Das pazifische Jahrhundert
[4] Geostrategische Bedeutung von Birma/Myanmar nimmt zu; www.eurasischesmagazin.de 02.08.2011
[5] s. dazu Prestigeträchtig und Mit langem Atem
[6] s. dazu Im Schatten der Katastrophe, Offen oder verdeckt, Das Recht des Stärkeren und Den Gürtel schließen
[7] Geostrategische Bedeutung von Birma/Myanmar nimmt zu; www.eurasischesmagazin.de 02.08.2011
[8] Christine Schuster, Gerhard Will: Birma jenseits der Wahlen; SWP-Aktuell Oktober 2010. S. dazu Erfolglose Sanktionen und Wandel durch Spaltung
[9] Burma lässt politische Gefangene frei; Frankfurter Allgemeine Zeitung 13.10.2011
[10] China behind Myanmar’s course shift; www.atimes.com 19.10.2011
[11] The good, bad and ugly in Myanmar; www.atimes.com 08.11.2011
[12] s. dazu Das pazifische Jahrhundert
[13] Deutschland will engere Beziehungen zu Burma; Frankfurter Allgemeine Zeitung 05.11.2011
[14] zu Klein s. auch Ein entspannter und gemütlicher Putsch und Für die Freiheit der Oligarchie
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