Evoluzione del lavoro precario in Francia e in Giappone/Il lavoro precario “tradizionale” e il lavoro precario “nuovo” in Giappone

Mercato lavoro, Giappone, Francia
Japon contemporain           081202-05-17/081031

Evoluzione del lavoro precario in Francia e in Giappone

Variazione in un periodo di circa 20 anni delle percentuali dei precari nella popolazione in età di lavoro in Francia e in Giappone

Fonti:  Giappone, ministero del Lavoro e della Salute, statistiche sulla forza lavoro, sul lungo period. dal 1990 al 2001 le % sono quelle del mese di febbraio; dal 2002 sono medie trimestrali;

Francia, INSEE.

●    Non esiste più il Giappone dell’impiego a vita.

– La percentuale dei lavoratori precari è molto più alta in Giappone che in Francia, 35% rispetto al 13%.

–  Nel periodo 1990-2000 aumento dei precari circa equivalente nei due paesi, poco meno del 4% in Francia (8,7à12,6%), un po’ più del 5% in Giappone (20,2à26%).

–  2000-2008, le curve seguono tendenze opposte,

o   in Francia: leggero calo per la prima metà, leggero aumento dal 2005, da 12,6à13%;

o   Giappone: aumento rapido da 26à34%, + oltre 8% in meno di 8 anni.

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Evoluzione del lavoro precario in Giappone

●    In 10 anni i lavoratori precari in Giappone +15%, dal 20 al 35%.

o   Ma, il dato %, precari/non precari, non illustra l’andamento complessivo del mercato del lavoro, con le cifre assolute del precariato.

– Dai valori assoluti si nota che la curva è molto maggiore (tav.2); i precari giapponesi sono quasi raddoppiati in 18 anni, da 8 810 milioni a 17 790 milioni;

o   dai 9 milioni del 1990 ai quasi 13 milioni del 2000.

o   dai 13 milioni del 2000 ai quasi 18 milioni del 2008.

Grafico 2. Evoluzione del numero di lavoratori precari in Giappone (per le Fonti dei dati vedi sopra)

– La distinzione per sesso fa emergere il forte peso delle donne: 1990, 2000, 2008: 6,5à10 à12 milioni;

– uomini, stessi periodi: 2,3 à3,3 à6 milioni.

– L’aumento è quasi constante anno per anno per entrambi i sessi;

– ma in % aumento più veloce del tasso di precarietà maschile:

Grafico 3. Evoluzione del rapporto uomini/donne per i lavori precari 1990-2008

– Nel grafico 4 è chiaro il passaggio del numero delle donne precarie sotto la barra del 70%, e di quello degli uomini sopra il 30%.

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Il lavoro precario “tradizionale” e il lavoro precario “nuovo” in Giappone

●    Nel 2008 in Giappone oltre 17 milioni di persone lavorano con un rapporto di lavoro “atipico”, maggioritari i lavori precari tradizionali (part-time e a tempo determinato), 11 milioni;

o   l’aumento dei precari riguarda soprattutto le nuove categorie, + 6 milioni (internari, 1,5 mn; contrattuali, 4,5mn.

– Dal 2000 in Giappone si sono fatte complesse le categorie dei lavori precari, fino ad allora erano di due tipi ufficiali, il primo corrisponde al metà tempo della Francia, il part-time inglese;

– il secondo corrisponde al contratto a tempo determinato francese.

– Inizio anni 2000, introdotte due riforme nel diritto del lavoro, 1. legalizza il lavoro interinale (hakenrôdô), nel 1999;

– 2. legalizza gli impieghi contrattualizzati (keiyaku shain), ad alta conoscenza tecnica ma a tempo determinato. (2001)

Grafico 1. Evoluzione del lavoro precario per categorie

– Nel 2001 picco dell’aumento dei due tipi tradizionali di lavori precari (part-time e a tempo determinato -CDD), che poi stagnano o calano nel periodo seguente.

o   4mn. di tempo determinato nel 2001, nel 2008 3,21mn.; part-time, 2001 7,7 mn., nel 2007 poco più di 8mn.

– I nuovi lavori precari, interinale e contrattuali aumento rapidamente; nel 2005 gli interinali sono ad 1 mn., oggi (2008) a 1,5 mn.;

o   si tratta di lavori fortemente precari, spesso i contratti non sono rinnovati e chi aveva un dormitorio offerto dall’azienda si trova buttato in strada.

o   I contrattuali sono di più difficile analisi; ad ogni modo si ha il raddoppio dei lavoratori recensiti in questa categoria dal 2001 al 2002, 3,5 mn.;

o   a fine 2008 sono quasi 4,5mn.

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– In Giappone in aumento una nuova precarietà, riguardante soprattutto i giovani; inizio anni 1990, bolla finanziaria, con circa 800mila NEET (non nel sistema educativo, nell’impiego o nell’apprendistato) e 2 milioni di Freeters (“liberi lavoratori”, che vivono di lavoretti).

o   “Una generazione sacrificata”, per la quale la risposta al disprezzo di cui è oggetto comincia ad assumere forme inattese e radicali, contro il cliché di un Giappone monolitico, fatalista, senza contestazione, rassegnato all’ordine stabilito. Un Giappone che avrebbe interiorizzato il rispetto di gerarchia, autorità …

– Esiste in Giappone il diverso e l’eterodosso, basta andare nel quartiere di Kôenji, a Tokyo, quartiere di poveri, marginalizzati cultura underground e rock. Nel 2001, l’attivista Hajime Matsumoto (nato nel 1975) ha organizzato “la grande fronda dei poveri” …

o   dal 2005 esiste l’Unione dei NEET di Kôenji, che chiede alloggi gratuiti, la restituzioni delle bici confiscate per parcheggio illegale … soprattutto lottano contro le ideologie di integrazione nel mondo dell’impresa, a prezzo di morte per sovraffaticamento (karôshi) o di suicidio, combattono per un “socialismo utopistico”.

Dalla precarietà alla rivolta

[sintesi di un art. del Courrier International, n.870, 5-11 luglio 2007]

●    I giovani giapponesi non conoscono più la stabilità, ma la precarietà voluta dalle imprese per essere competitive a livello internazionale.

●    A causa delle ideologie loro inculcate per anni (ciascuno è responsabile della propria sorte), i giovani rivolgono la rabbia contro se stessi, anziché contro la società; il suicidio è la prima causa di mortalità dei 20-39enni.

– La “Grande Fronda dei Poveri” pone la necessità di passare all’offensiva; si è allargata, ha organizzato varie manifestazioni, soprattutto rivendicando alloggi gratuiti.

– I Freeters (dall’inglese “free”, libero, e dal tedesco “Arbeiter”, lavoratore) che riescono a trovare un lavoro lo trovano in un’impresa che fa fare a 3 persone il lavoro di 10, o in cui è alto il numero di morti per lavoro eccessivo o per suicidio.

– Quelli che hanno lavori interinali ricevono salari molto bassi, di cui resta ben poco una volta pagato affitto, riscaldamento ed elettricità.

A questi bisogna aggiungere gli esclusi, ripiegati su se stessi (hikikomori), e quelli usciti dal sistema educativo e sono disoccupati.

Japon contemporain 081202
Mardi 2 décembre 2008 2 02 /12 /2008 16:58
Evolution du travail précaire en France et au Japon

Contrairement à ce qu’on pourrait croire, le pourcentage d’emploi précaire au Japon est beaucoup plus fort que celui qui existe en France. Il est pour 2008, et en attendant les dernières statistiques de décembre, de 13 pour cent en France et de presque 35 pourcent au Japon.

Le graphique ci-dessous, qui m’a demandé un temps pas possible, permet de mettre en évidence l’évolution sur une période de près de 20 ans.

Graphique 1 – Evolution des pourcentages de la population précaires au sein de la population en âge de travailler en France et au Japon

Sources : Japon : Ministère du travail et de la santé, Statistiques sur la force de travail, longue période. De 1990 à 2001 les pourcentages indiqués sont ceux du mois de février, puis à partir de 2002, il s’agit de la moyenne trimestrielle. France : INSEE, présenté par l’observatoire des inégalités.

La lecture du graphique peut se faire ainsi :

–   Entre 1990 et 2000, il y a une poussé à peu près équivalente dans les deux pays de la population de précaires : un peu moins de 4 pourcent pour la France, et un peu plus de 5 pourcent pour le Japon. On passe ainsi en France de 8.7 pour cent à 12.6 pour cent. Du côté japonais, on passe de 20.2 pour cent à 26 pour cent.

–   Entre 2000 et 2008, les courbes suivent des tendances opposées. En France, le taux d’emploi précaires baisse légèrement dans la première moitié des années 2000 avant de remonter légèrement à partir de 2005. Conclusion, le taux demeure quasiment identique et passe de 12.6 pour cent à 13 pour cent.

–   En revanche, au Japon, le taux d’emploi précaire augmente rapidement et passe sur la même période de 26 à 34 pour cent, une croissance de plus de 8 pour cent en moins de 8 ans.

–   Le Japon de l’emploi à vie n’est plus, et lorsqu’on regarde les statistiques des années précédentes, on se demande s’il a bien existé un jour (il faudrait remonter dans les années 70 probablement).

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Vendredi 5 décembre 2008 5 05 /12 /2008 06:00

Evolution du travail précaire au Japon

–   On a pu voir dans le billet précédent que le nombre de travailleurs précaire au Japon avait augmenté de 15 pour cent sur 10 ans, passant de 20 à 35 pour cent. Pourtant, s’intéresser uniquement au pourcentage, ne résume pas nécessairement bien l’évolution sévère de la situation en ce qui concerne cette catégorie d’employés. Le problème du pourcentage est qu’il s’agit d’un instantané. Il ne fait qu’établir un rapport entre employés précaires et non précaire pour une année donnée. Par exemple, si en 1990, il y avait 1 employé précaire et 1 employé non précaire, le rapport serait, exprimé en pourcentage, de 50/50. L’année suivant, s’il y avait 100 employés précaires et 100 employés non précaires, le rapport serait toujours de 50/50. Pourtant, il y a bien plus d’employés précaires que l’année précédente, mais le pourcentage ne prend pas en compte cette évolution d’une année sur l’autre, mais seulement le rapport, pour chaque année prise séparément entre employés précaires et non précaires.

–   Il est donc intéressant de jeter un oeil sur l’évolution en chiffres absolus de l’emploi précaire, et on s’aperçoit que la courbe est beaucoup plus agressive (tableau 2).

–   En effet, la population de précaire au Japon a presque parfaitement doublée en 18 ans, passant de 8 810 millions à 17 790 millions. Pour reprendre la distinction entre les deux périodes, on passe entre 1990 et 2000 de près de 9 millions à près de 13 millions de précaires.

–   Ensuite, de 2000 à 2008, on passe de près de 13 millions à près de 18 millions. Pour comparaison, en France, pour la première période on passe de près de 2 millions à 3 millions puis dans la seconde période on reste à moins de 3 millions.

Graphique 2 – évolution du nombre de travailleurs précaires au Japon

Sources : Japon : Ministère du travail et de la santé, Statistiques sur la force de travail, longue période. De 1990 à 2001 les chiffres indiqués sont ceux du mois de février, puis à partir de 2002, il s’agit de la moyenne annuelle, sauf pour les chiffres de 2008 basés sur ceux du troisième trimestre (dernier accessible à l’heure actuelle).

–   La distinction par sexe (graphique 2) permet de signaler la sur-représentation des femmes dans les emplois précaires. En 1990, 2000 puis 2008, elles sont passées respectivement de 6,5 à près de 10 puis plus de 12 millions.

–   Du côté des hommes, on est passé de 2,3 millions à 3,3 et désormais près de 6 millions.

–   La hausse est quasi constante d’année en année pour les deux sexes.

Néanmoins, un retour sur les pourcentage permet de signaler une hausse plus rapide du pourcentage d’hommes qui sont employés dans les emplois à temps précaires (graphique 3). On remarque en effet qu’au début des années 2000, ce pourcentage est passé durablement en dessus de la barre des trente pour cent pour s’établir à 32 pour cent au troisième trimestre 2008. Cette tendance ne peut être interprétée comme une baisse du nombre de femmes qui travaillent sur des emplois précaires, puisqu’au contraire, l’augmentation de leur nombre est constant depuis le début des années 90. On peut donc en conclure que le nombre de travailleurs précaires hommes augmente plus rapidement que celui du nombre de travailleurs précaires femmes.

Graphique 3 – évolution du rapport homme femme dans les emplois précaires 1990 – 2008

Sources : Japon : Ministère du travail et de la santé, Statistiques sur la force de travail, longue période. De 1990 à 2001 les pourcentages indiqués sont ceux du mois de février, puis à partir de 2002, il s’agit de la moyenne annuelle, sauf pour les pourcentages de 2008 basés sur ceux du troisième trimestre (dernier accessible à l’heure actuelle).

— mise à jour 15 décembre

le graphique 3 n’est pas très parlant donc j’en ai fait un autre qui montre de manière plus évidente l’évolution du rapport homme femme dans l’emploi précaire :

graphique 4

–   On voit de manière plus claire le passage du pourcentage du nombre de femme précaire en dessous de la barre des 70 et le passage du nombre d’homme précaire au dessus de la barre de 30 pourcent.

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Mercredi 17 décembre 2008 3 17 /12 /2008 16:29

L’emploi précaire "traditionnel" et l’emploi précaire "nouveau" au Japon

—- retravaillé le 24 décembre ——-

Au Japon, les catégories d’emploi précaire se sont complexifiées au tournant des années 2000.

–   Jusqu’alors, il y avait seulement deux catégories (officielles) d’emploi précaire:la première correspond aux emplois à mi-temps en France. Il s’agit des pâtotaimu, de l’anglais part-time, caractérisés donc par un temps de travail inférieur à un emploi "normal".

–   La seconde correpond aux Contrat à Durée Déterminée (CDD) en France. Il s’agit des aurbaito, ou baito, de l’allemand, arbeit, caractériés par une période travaillée déterminée.

–   Au début des années 2000, deux réformes sont introduites dans le droit du travail. La première légalise le recours à l’emploi intérimaire – hakenrôdô – (1999) et les entreprises d’intérim, la seconde légalise les emplois contractualisés – keiyaku shain – (2001), c’est-à-dire des emplois nécessitant souvent un fort savoir technique ou spécialisé mais sur la base d’un contrat à durée déterminée.

Le graphique 1 permet de mettre en évidence l’évolution de l’emploi précaires par catégorie et de souligner l’impact de cette nouvelle législation.

Graphique 1

Source : Japon : Ministère du travail et de la santé, Statistiques sur la force de travail, longue période. De 1990 à 2001 les chiffress indiqués sont ceux du mois de février, puis à partir de 2002, il s’agit de la moyenne annuelle, sauf pour les chiffres de 2008 basés sur ceux du troisième trimestre (dernier accessible à l’heure actuelle).

–   La hausse régulière des temps partiels et des CDD – les deux catégories "traditionnelles" de l’emploi précaire – connaît un pic en 2001, puis stagne ou s’inverse après cette date. Ainsi, en ce qui concerne les CDD (en rouge), le pic de 2001, soit près de 4 millions de travailleurs CDD, n’a toujours pas été dépassé. On est à la fin de 2008 à "seulement" 3,21 millions. Pour les temps partiels, le pic de 2001 – 7,7 millions – est dépassé en 2005 et stagne depuis 2007 légèrement au dessus des 8 millions. Ainsi, en nombre absolu, les emplois précaires "traditionnels" évoluent ainsi peu depuis les réformes du début des années 2000.

–   En revanche, les "nouveaux" emplois précaires – intérims et contractuels – connaissent une croissance rapide. Le travail intérimaire est introduit à partir de 1999. Ce n’est qu’à partir de 2003 que le nombre de travailleurs intérimaires augmente de manière brusque. En 2005, le chiffre d’un million d’imtérimaires est dépassé. Aujourd’hui, leur nombre est de près de 1,5 million. L’actualité récente révèle qu’il s’agit d’emplois particulièrement précaires, notamment lorsque les contrats ne sont pas renouvelés et que les personnes qui avaient un logement d’entreprise (dortoirs) se retrouvent directement à la rue.

–   La catégorie des contractuels est un plus difficile à analyser parce qu’il s’agit d’une catégorie un peu fourre-tout qui ne représente pas les mêmes personnes en fonction de la période considérée. On constate néanmoins, après la création de la catégorie des employés contractuels en 2001, le doublement du nombre de personnes qui sont recencés dans cette catégorie d’emploi l’année suivante, soit 3,5 millions de personnes. Fin 2008, le nombre de contractuels est de près de 4,5 millions.

–   Au Japon, en 2008, plus de 17 millions de personnes travaillent sous une forme de travail "atypique". Les emplois précaires "traditionnels" – mi-temps et CDD -, s’ils sont toujours majoritaires et concernent 11 millions de personnes, tendent cependant à stagner depuis le début des années 2000. La hausse du nombre d’emploi précaire apparaît surtout le fait de l’introduction de nouvelles catégories qui représentent désormais près de 6 millions d’individus (les intérims 1,5 million, les contractuels 4,5 millions).

Par David-Antoine Malinas – Publié dans : Précarité au Japon

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La précarité au Japon

vendredi 31 octobre 2008 par Japon

–   Nous assistons actuellement dans ce pays à la montée d’une nouvelle précarité, touchant surtout la jeunesse. Ainsi le phénomène des « NEET » (Not in Education, Employment or Training) et des freeters (free arbeiters, travailleurs vivant de petits boulots) est apparu pendant l’éclatement de la bulle financière, au début des années 90.

o    On compterait environ 800 000 NEET et presque 2 millions de freeters. « Génération sacrifiée », mais pour qui la réponse au mépris qu’elle reçoit commence à prendre des formes inattendues et radicales. « Le monde des possibles m’a toujours été plus ouvert que celui de la contingence réelle (Marcel Proust) »

–   Un cliché a la vie dure : celui d’un Japon monolithique, englué dans le fatalisme, l’absence de contestation, la résignation à l’ordre établi. Un Japon qui aurait intériorisé le respect de la hiérarchie, de l’autorité, de l’Impératif Catégorique en accord avec une hypothétique “japonité” . On en oublierait presque les belles années 60 et leurs nombreuses manifestations. Si ce conformisme japonais existe, il est faux de le généraliser. Faux car c’est consolider le mythe d’une « japonité » fictive, en ce qu’elle est faite d’éléments disparates et instables. Raisonnement violemment idéologique également, car il revient à bâillonner d’emblée toute dissidence, en la faisant culpabiliser de trahir l’âme de la papatrie. Devant l’insistance du discours visant à chosifier les japonais en en faisant un groupe homogène aux propriétés transhistoriques, il me paraissait nécessaire de faire ce petit rappel préliminaire. L’hétérogène comme l’hétérodoxe existent au Japon.

–   Pour s’en rendre compte, il suffit d’aller dans le quartier de Kôenji, à Tokyo. Sous l’impulsion de l’activiste Hajime Matsumoto, « La grande fronde des pauvres » voit le jour en 2001 dans ce quartier bien connu pour être depuis longtemps le lieu magnétique des pauvres, des marginaux, de la culture underground et du rock. Un texte explique leurs intentions : « des rassemblements sauvages ont été organisés, consistant à improviser un grand banquet dans la rue et, tout en impliquant les passants, à créer dans les faits une zone libre ». Amener les citoyens japonais à la prise de conscience, faire voler en éclats un certain discours responsabilisant (du genre : « chacun peut s’en sortir s’il le souhaite ») et « créer dans les faits une zone libre » ouverte, comptant sur le ressentiment plus ou moins conscient des freeters, mais aussi des “inclus”. Dans une rue du nord de Kôenji, on peut trouver des petites boutiques d’objets recyclés, de fripes pas chères tenues par les NEET, ainsi qu’un bistrot aux tarifs imbattables, le « Café des amateurs » ou NEET, freeters, sympathisants et curieux se réunissent.

–   Dans ce café, la facilité à communiquer avec des inconnus sur des sujets importants est remarquable. Parallèlement à la Fronde existe depuis 2005 l’Union des NEET de Kôenji, rompant la logique de l’isolement acritique et résigné telle qu’elle est voulue par l’oligarchie . L’Union réclame la restitution gratuite des vélos confisqués pour stationnement illégal et demande la gratuité des logements, protestation face à la cherté du logement à Tokyo, très difficilement accessible à un freeter.

–   Mais en plus de ces légitimes demandes, ils luttent sur le terrain existentiel. Il s’agit pour eux de « jouir de leur pauvreté » (dixit), d’expérimenter d’autres façons de vivre, de récuser l’idéal bourgeois de ceux qui se sont intégrés au monde de l’entreprise, au prix parfois de mort par surmenage (en japonais karôshi), et de nombreux suicides. Les NEET de Kôenji, et c’est là ce qui fait la valeur exemplaire de leur action, ne militent pas pour l’intégration à la société de leurs aînés. Ils savent que si, par improbable, ils pouvaient devenir employés permanents d’une entreprise, cela équivaudrait à de nouvelles aliénations. Le tout pour une dérisoire reconnaissance sociale et quelques satisfactions marchandes tout aussi insignifiantes. Cette vie hors de portée a cessé d’être enviable.

–   Ils revendiquent donc un « besoin imminent de changer de plan » (Roger Gilbert-Lecomte). Ils répondent à l’exclusion par un surcroît d’exclusion et visent la déstabilisation du système et de ses valeurs. L’enjeu de ce mouvement est donc autant existentiel que politique, et c’est ce qui le distingue de la gauche parlementariste, des syndicalistes autant que des mouvements associatifs logiquement très répandus dans ce pays à la démocratie fantoche. Ils militent pour une autre façon de vivre – on pense au socialisme utopique. Il n’est pas question de « défendre les droits des travailleurs et des consommateurs », sur un mode syndical, mais de récuser ce vieux couple : le moins de travail possible, le moins de consommation possible. Un refus de l’existence aliénée. Leur extériorité consciente est leur force ; ainsi ils évitent l’écueil du statut de péripétie interne au système qui ne fait souvent que le renforcer.

–   Cette singularité vise le principe même du social : ces jeunes précaires, créant ici et maintenant des espaces post-révolutionnaires, sont dans la position difficile mais exaltante d’inventeurs d’histoire. Ainsi leur volonté d’une joie affranchie des circuits marchands. Déserter pour commencer à vivre enfin. Se réapproprier la rue, en faire un lieu ludique plus que fonctionnel. Hajime Matsumoto l’écrit plaisamment : « organiser un pot-au-feu devant une gare est notre but principal – c’est-à-dire créer une zone libérée ». Aucune morosité, comme le souligne Karin Amamiya, animatrice d’une émission de radio et essayiste, prenant le parti de la cause des jeunes précaires : « L’action de la Grande Fronde est folle et amusante. Or, aujourd’hui, peu de jeunes pauvres mènent une vie aussi gaie.”. Nous ne sommes pas dans la “gauche mélancolique” chère à Bernard-Henri Lévy , mais dans un démenti flagrant aux cultures du report, une volonté de jouir de l’instant, envers et contre tout. Une preuve par l’exemple qu’une autre façon de vivre est possible, dès maintenant, sans cesser de contester radicalement le capitalisme. Espérons que le pouvoir de séduction de cette Fronde fasse de proche en proche croître ce mouvement et l’étende à d’autres villes !

Ce choc anthropologique s’expérimentant à Kôenji est enthousiasmant. Il montre qu’il existe une marge de manoeuvre, une brèche dans la tinette de TINA (« There is no alternative ») et que des réseaux de solidarité peuvent prendre forme et consister. Que la désertion est possible. Bien sûr certains se moquent de cette “révolte molle” de la jeunesse japonaise, l’estiment vaine, inoffensive, simple frémissement sans réel pouvoir. Nous voyons au contraire un phénomène, qui, s’il n’inquiète pas pour l’instant les puissants en raison de sa marginalité, pourrait devenir préoccupant s’il venait à se développer viralement. Une manière de défi. La Grande Fronde des Pauvres et l’Union des NEET de Kôenji pourraient ainsi servir de rappel au désordre, dans sa gaieté démissive, son désir de créer d’autres façons de vivre, sa volonté stratégique de vaincre l’isolement, aux précaires du monde entier.

http://neet.trio4.nobody.jp/

(site officiel de l’Union des NEET de Kôenji, en japonais)

http://trio4.nobody.jp/keita/

(site officiel de la Fronde des amateurs, en japonais)

http://www.jimmin.com/2001b/page_135.htm

(site officiel de la Grande fronde des pauvres, en japonais)

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De la précarité à la révolte
Les jeunes au Japon

Ce texte est une synthèse de l’article « Les premières bourrasques de la colère » publié par Courrier International (n°870, du 5 au 11 juillet 2007).

–   Alors que le Japon est censé connaître une longue période de prospérité, de nombreux jeunes essaient de vivre tant bien que mal, dans la précarité et dans la misère. Après la longue période de récession des années 1990, beaucoup de jeunes, appartenant à la « génération perdue », vivent de petits boulots et sont surnommés les « freeters », contraction de l’anglais free et de l’allemand Arbeiter (travailleur). Les rares qui arrivent à s’en sortir en trouvant un emploi stable ont toutes les chances de se retrouver dans une entreprise où l’on fait faire à trois personnes le travail de dix ou dans laquelle le nombre de morts par excès de travail, de surmenage ou de suicide est élevé.

–   Quant à ceux qui travaillent comme intérimaires dans l’industrie, il ne leur reste plus grand chose quand ils ont payé leur loyer, le chauffage ou l’électricité.

–   Et à tous ceux-là, il faut rajouter ceux qui vivent reclus, repliés sur eux-mêmes (les hikikomori) et ceux qui sont sortis du système éducatif et se trouvent sans emploi.

–   Quelles que soient leurs situations, les jeunes japonais ne connaissent plus la stabilité. Cette précarité qui n’est en rien liée à des problèmes psychologiques, est due « au désir malsain des entreprises, qui veulent continuer à profiter d’une main d’oeuvre jetable », afin de pouvoir conserver leur compétitivité au niveau mondial.

–   Et comme on leur a martelé depuis des années que « chacun est responsable de son sort », les jeunes reportent d’abord leur colère contre eux-mêmes plutôt que contre la société. C’est la raison pour laquelle le suicide est devenu la première cause de mortalité chez les 20 à 39 ans.

–   Depuis 2001, un groupe appelé La Grande Fronde des Pauvres veut, comme l’indique son manifeste, « faire voler en éclats cette vie normale qui nous voit obéir à la société ». D’où la nécessité de « passer à l’offensive et, à notre tour, imposer notre loi ». Depuis, le réseau s’est progressivement étendu. Diverses manifestations, prenant des formes variées ont eu lieu, notamment en faveur de la gratuité des loyers.

–   Pour le leader de La Grande Fronde des pauvres, Hajime Matsumoto, né en 1975, la cause structurelle du malaise existentiel des jeunes et des suicides est le « précariat », néologisme construit à partir des mots « précarité » et « salariat ». Il déclare : « C’est la société qui conduit les jeunes à la précarité. Je peux affirmer avec conviction à ces derniers qu’ils ne sont absolument pas en faute. Voilà une perspective d’avenir ! »

–   Hajime Matsumoto considère que le changement de la société ne se fera pas par une attaque frontale, mais en proposant aux jeunes de venir s’épanouir dans un « espace postrévolutionnaire », préalablement créé. Ainsi, le mouvement La Grande Fronde des pauvres possède cinq magasins dans une rue commerçante parmi lesquels une boutique d’objets recyclés, une friperie et un café qui, le soir, fait bistro. Ils invitent les jeunes à jouir au maximum de leur pauvreté, plutôt que de mourir surmenés ou épuisés.

Le gouvernement, pour sa part, s’est fixé pour objectif de réduire de 20% le nombre des « freeters » d’ici 2010. Et les 80% restant ?

Beaucoup de ceux qui ont cru aux chimères de la majorité, « une bonne école, une bonne entreprise », ont rapidement déchanté en entrant dans le monde du travail. Désormais, il y a ceux qui expriment leur souffrance par l’automutilation, la réclusion volontaire ou les violences familiales, et ceux qui ont compris que ce n’est pas contre eux-mêmes qu’il faut se révolter, mais contre cette société.

Pierre Tourev, 17/07/2007

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