Cina, scioperi, investimenti esteri, Ue, Grecia
Johnny Erling
● Con la maggiore coscienza dei loro diritti legali, i lavoratori migranti della Cina stanno cominciando a mettere in discussione alcune pratiche padronali, come gli straordinari eccessivi e l’ampio utilizzo di “apprendisti”, con paghe molto inferiori al minimo salariale per legge, che consentono ai gruppi esteri di tenere bassi i costi.
o Nella provincia del Guandong ad es. il numero di “apprendisti” assunti supera il 30% del totale consentito dalla legge.
o In alcuni casi i lavoratori “apprendisti” di Honda ricevono salari inferiori del 20% a quello minimo stabilito per i qualificati (920 yuan, €135/mese).
– Preoccupazioni per la carenza di mano d’opera del primo ministro cinese, Wen Jiabao: migliorare il trattamento dei lavoratori migranti, altrimenti la loro nuova generazione non andrà a lavorare nelle fabbriche della costa.
● Nello sciopero della fabbrica di trasmissioni di proprietà della giapponese Honda, sciopero che ha bloccato per 10 gg. la produzione, ai lavoratori regolari si sono uniti studenti apprendisti delle scuole locali che chiedevano aumenti salariali e il miglioramento delle condizioni di lavoro.
– Si è creato in Cina un organico sistema di collegamento tra le società estere e le scuole tecniche per rispondere alla enorme domanda di lavoratori qualificati in regioni ad alto investimento estero e spesso prive di infrastrutture educative; le scuole sono sostenute dai governi locali, che le utilizzano per attrarre gli imprenditori esteri.
– Le multinazionali estere partecipano a volte alla fondazione di queste scuole, fornendo loro equipaggiamento, materiale e insegnanti, per assicurarsi che i diplomati escano con abilità specifiche per entrare facilmente nelle loro linee di produzione.
– Le scuole si integrano con le fabbriche tramite un programma di apprendistato; alcuni studenti passano l’ultimo anno in fabbrica, lavorando a tempo pieno, ma pagati come interni.
● In Cina sono finiti i tempi in cui un esercito di forza lavoro lavorava fino allo sfinimento per salari da fame; nel solo mese di maggio ci sono stati almeno 12 scioperi in fabbriche a bassi salari.
● Le lotte per il salario sono solo l’inizio, è cominciato lo scontro per il miglioramento degli standard sociali, la creazione di vere rappresentanze sindacali, e la reintroduzione del diritto di sciopero, cancellato nel 1982 dalla Costituzione cinese.
● Ha preso il via un movimento di lotta ad effetto domino, che potrebbe avere enormi conseguenze.
● La rapida crescita economica della Cina si è in gran parte basata sullo sfruttamento di 600 milioni di contadini e sulle rinunce salariali forzate di circa 350 milioni di operai.
● Negli ultimi 20 anni di boom economico la quota del salario sul PIL è scesa dal 49,5% del 1993 al 39,7% del 2007; i fatturati delle imprese e i profitti sono invece aumentati in modo sovra proporzionale.
o Questo si è riflesso sul tasso di risparmio della popolazione, caduto dal 60 all’attuale 32%, un freno alla promozione della domanda interna (dati del giornale del partito “Giornale del Popolo”).
o Nel paradiso della produzione del Guandong, “Dongguan”, la culla della cinese “officina del mondo” il 21% di tutti i lavoratori a basso salario ricevono un salario mensile inferiore ai 1000 yuan (€115);
o i salari da fame sono un fattore importante della carenza di forza lavoro nel Sud Cina.
o Governo e sindacati di Stato cercano di mettersi alla testa del movimento di scioperi per impedire che si trasformi in rivolta sociale:
§ Da un anno 21 delle 23 province cinesi hanno aumentato il loro salario minio fino al 25%, a 900-1100 yuan/mese, e i sussidi sociali.
– Preoccupazioni nel governo cinese: il primo ministro, Wen Jiabao: migliorare le condizioni di lavoro dei milioni di lavoratori migranti, che sono la spina dorsale dell’industria cinese.
o ministro commercio, Yao Jian: il lavoro a basso costo non è oggi il maggior vantaggio che la Cina offre per attrarre gli investimenti esteri. Ora è il mercato e una legislazione economica in continuo miglioramento.
● I sindacati calcolano tuttavia che la quota del costo del lavoro incide per l’8-10% sui costi di produzione di un prodotto in Cina, contro oltre il 20% all’estero.
– Il giornale economico National Business Daily, riportando una ricerca dell’associazione industriali di Hongkong,riferisce di gravi disordini nelle 80 000 imprese del Delta del fiume delle Perle. Un terzo delle imprese pensa di spostare la produzione all’interno, se i costi salariali continuano ad aumentare,
o decisione condivisa anche dalla “Associazione della manifattura elettrica ed elettronica” di Taiwan (3800 società);
o altre opzioni in paesi a basso salario, come India o Vietnam, oppure ritorno a Taiwan.
– Il primo tassello del domino nelle lotte operaie è stato a Shenzen il colosso dell’elettronica taiwanese Foxconn, che dopo una decina di suicidi tra i suoi addetti ha aumentato il salario fino al 70%;
– secondo tassello, Honda, con il primo sciopero selvaggio scoppiato il 17 maggio a Foshan, Guandong, seguito da altri 4 stabilimenti; Honda ha dovuto cedere, riconoscendo a 1900 salariati un aumento medio di 500 yuan, pari al 24% del salario base; il 7 giugno sciopero negli stabilimenti del produttore di componentistica, anch’essi a Foshan: concesso un forte aumento salariale.
– Altri tasselli sono seguiti: sono scesi in sciopero i lavoratori di almeno 6 stabilimenti del delta dello Yangtze, attorno a Shanghai e nel N-O; ad es. nello Xian, N-O, sciopero di una settimana presso il gruppo giapponese “Brother Industries”; a Kunshan presso una fabbrica taiwanese di lavorazione del caucciù.
– Dal 9 giugno scioperano per aumenti salariali, la terza volta in un mese, i 1400 lavoratori su tre turni di Honda Lock, nella città del Guandong Zhongshan.
– Commento di un lettore di Die Welt, al titolo: Il successo economico della Cina si fonda anche sullo sfruttamento dei lavoratori:
Anche la crescita economica tedesca; ad es. BMW occupa quasi il 30% di lavoratori interinali, che ricevono la metà del salario di un dipendente BMW, ma i profitti vanno tutti a coloro che vivono sulle spalle del lavoro dei salariati.
Trainee Workers at Issue in China
– BEIJING—Recent strikes in China are highlighting a technique widely used by foreign companies to keep costs down: hiring large numbers of "trainee" workers who can be paid less than the legal minimum wage.
The practice, while legal, has been a source of complaint for at least some workers during recent strikes, and labor experts say foreign companies may have to refrain from overly relying on it.
– For companies operating in China, "the whole labor-unrest saga should lead to a rethinking of labor relations," said Andreas Lauffs, head of law firm Baker & McKenzie’s employment-law group in Hong Kong.
– As China’s migrant workers become more aware of their legal rights, they are starting to question some employment practices, such as excessive overtime and the wide use of trainees on the factory floor.
– Chinese Premier Wen Jiabao on Tuesday urged better treatment for migrant laborers, and said he recognized that a new generation moving from villages to work in factories wouldn’t be satisfied with the hard conditions their parents endured. His comments, published in the state-run People’s Daily newspaper, didn’t directly address the recent labor unrest.
– In a strike at Honda Motor Co.’s wholly owned gearbox factory that crippled the Japanese auto maker’s car production for 10 days starting in late May, regular workers were joined by student trainees from local vocational schools in demanding a pay raise and better treatment.
"Factories treat all workers unfairly, but especially trainees," said Tan Guocheng, one of two strike leaders fired May 22. Honda has said the two workers were let go for violating the plant’s in-house work and contract rules but not for leading the walkout.
– In Guangdong province, China’s main manufacturing hub where the Honda transmission factory is located, local law caps the use of student trainees at 30% of a factory’s overall labor force, according to Baker & McKenzie. Mr. Tan said the ratio of trainees at the transmission factory "definitely exceeds 30%."
Trainees usually come to factories under an internship program, which Baker & McKenzie says isn’t covered by China’s employment law system but under separate, much vaguer sets of national and local regulations.
Mr. Tan and Xiao Lang, the other fired strike leader, suggested that the trainee system is a deliberate way to allow factories to pay workers below minimum wages.
– The two strike leaders say that in some cases, trainees at the Honda gearbox factory are paid 20% below the minimum wage set by the city of Foshan for qualified workers, which is 920 yuan, or approximately $135, a month. Baker & McKenzie’s Mr. Lauffs said such a practice is within legal limits in China.
– Honda strongly disputes the characterizations made by the two fired workers. Roughly 30% of workers at Honda’s transmission plant in Foshan, or about 600 of the plant’s 1,900 employees, are trainees, said Takayuki Fujii, a Beijing-based company spokesman. They receive "near the minimum wage" in Foshan, he said. He declined to provide a precise wage figure.
Workers walk at a Honda Lock plant, a supplier of locks to Honda’s car-making operations in China, in Zhongshan in the southern Chinese province of Guangdong, on Tuesday.
– The links between foreign companies and local technical schools run deep in China. In some cases, the schools are partially funded by foreign multinationals, which provide expensive equipment, course material and even trainers to ensure that the schools churn out graduates with specific skills who are able to slot easily into production lines.
– The schools often become integrated into factory operations as, in effect, an apprenticeship program. Some students spend their final year on the factory floor, doing a full-time job but being paid as an intern.
– The system arose to feed the immense demand for qualified workers in regions of heavy foreign investment, which sometimes lacked educational infrastructure. The schools are supported by local governments, which set them up as part of a package to lure large foreign employers.
Mr. Lauffs of Baker & McKenzie said that as a result of the wide use of student interns and trainees, "there is a lot of incompliance and noncompliance going on in China with labor rules."
Honda’s Mr. Fujii said the company doesn’t "knowingly violate specific rules." The relative high percentage of interns at the Honda transmission plant results from a staff expansion the company undertook in recent months, Mr. Fujii said, as China’s auto market surged.
– Next month, the factory plans to promote 390 of the 600 trainees to regular full-time positions, Mr. Fujii said. "We believe our internship program is living up to its purpose, a way for students to test and improve their skills and for the company to discover good talent," he said.
Chinas wirtschaftliche Erfolgsgeschichte basiert auch auf der Ausbeutung der Arbeiter. Doch die begehren jetzt auf.
– Hondas Werksleiter in China triumphierten. Allem Anschein nach waren sie glimpflich davongekommen[se la sono cavata a buon mercato]. Die streikenden Arbeiter kehrten wieder in die Fabrik zurück, für 200 Yuan (23 Euro) Aufschlag auf ihr Grundgehalt von 939 Yuan pro Monat. Verlangt hatten sie ursprünglich 1600 Yuan.
– Doch es war ein Pyrrhussieg. Denn die Arbeiter haben jetzt auf passiven Widerstand umgeschaltet. „Manche sitzen nur rum“ sickerte nach außen durch, obwohl die Werksführung den Beschäftigten verbot, mit dem Handy zu telefonieren. Der japanische Mutterkonzern schickte deshalb einen Topmanager, um jetzt eine wirkliche Einigung mit den renitenten Arbeitern zu erzielen.
– Seit dem 9. Juni streiken die 1400 in drei Schichten Zünd- und Türschlösser herstellenden Arbeiter der Firma „Honda Lock“ in Guangdongs Stadt Zhongshan für höhere Löhne. Es ist das dritte seit einem Monat bestreikte Honda-Werk in der südchinesischen Küstenregion. Und es ist ein weiteres Beispiel dafür, dass in China die Zeiten von Genügsamkeit vorbei sind. Die Zeiten, in denen ein schier unerschöpfliches Heer von Arbeitskräften für einen Hungerlohn bis zur Erschöpfung am Fließband saß. Allein im Mai hatte es mindestens zwölf Streikaktionen bei Billigunternehmen gegeben.
– Der Geist ist aus der Flasche. Das von Chinas Regierung derzeit meist gefürchtete Wort heißt auf Chinesisch „Duo Mi Nuo“, eine lautmalerische Umschreibung für den „Domino“-Effekt. Er kann gewaltige Umwälzungen zur Folge haben.
– Die Wirtschaftszeitung „National Business Daily“ zitierte gerade aus Untersuchungen des Hongkonger Industrieverbands, der erhebliche Unruhe unter den 80.000 Betrieben im Perlfluss-Delta verspürt.
Ungeklärte Selbstmorde bei iPhone-Hersteller
– Gut ein Drittel plant, die Gegend zu verlassen und die Produktion ins Inland zu verlegen, wenn sich die Lohnkosten für sie weiter verschlechtern. Die Gewinnmargen seien zu niedrig, um „Luft zu haben. Auch Taiwans „Electrical and Electronic Manufacture Association“, der 3800 Firmen angehören, die im Perlflussdelta produzieren lassen, schließt sich an. Die Chefs denken an andere Optionen in Billiglohnländern wie Indien oder Vietnam – oder an die Rückkehr nach Taiwan.
– Der erste Domino-Stein der ins Kippen geriet war der taiwanesische Elektronikgigant Foxconn in Shenzhen. Nach einer Serie mysteriöser Selbstmordversuche unter zwölf Arbeitern, bei denen zehn Beschäftige starben, reagierte Konzernchef Terry Gou. Um das Arbeitsklima zu verbessern und suizidanfällige Jungarbeiter zu motivieren, lässt Foxconn seine Grundlöhne um bis zu 70 Prozent anheben.
– Mit Honda fiel dann der zweite Domino-Stein. Der erste wilde Streik brach am 17. Mai aus, als „Nanhai Honda Autoparts“, Hersteller von Getrieben und Motorenteile, in Guangdongs Foshan bestreikt wurde. Als ihr Ausfall vier weitere Werke zum Stillstand zwang, gab Honda nach. 1900 Arbeiter erhielten eine durchschnittliche Lohnerhöhung von 500 Yuan oder 24 Prozent auf ihren Grundlohn. Am 7. Juni streikte dann der nächste Zulieferer für Auspuffteile, Öl-, Benzin- und Luftfilter. Auch die Arbeiter des ebenfalls in Foshan stehenden Werks erhielten einen saftigen Zuschlag. Darauf trat das Zündschloss-Werk in Streik.
– Seither kippen weitere Dominosteine. Arbeiter im Yangtze-Delta, um Shanghai und im Nordwesten traten in mindestens sechs Werken in den Ausstand. In Nordwestchinas Xian wurde etwa Japans „Brother Industries“ eine Woche lang bestreikt, in Kunshan eine taiwanesische Kautschuk-Verarbeitung.
Regierung verspricht Besserung
– Pekings Führung ist alarmiert. Am Montag hat nun sogar Ministerpräsident Wen Jiabao eine Verbesserung der Arbeitsbedingungen für die Millionen von Wanderarbeitern in dem Land angemahnt. „Die Regierung und alle Teile der Gesellschaft sollten die jungen Wanderarbeiter so behandeln als wenn es ihre eigenen Kinder wären“, sagte Wen dem Parteiblatt „Renmin Ribao“ zufolge einer Gruppe von Wanderarbeitern in Peking. Sie stellten das Rückgrat der Industrie. Chinas Reichtum und seine Hochhäuser seien das Ergebnis ihrer harten Arbeit und ihres Schweißes, betonte der Regierungschef.
– Der Sprecher des Handelsministeriums Yao Jian erklärte zudem, billige Arbeit sei derzeit nicht der „Hauptvorteil, den China anbiete, um Auslandsinvestitionen anzuziehen“. Stattdessen locken der Markt und eine immer weiter verbesserte Wirtschaftsgesetzgebung.
– Chinas Gewerkschaften hingegen rechneten vor, dass der Anteil der Arbeitskosten an vergleichbaren Selbstkosten eines Produkts in China auf acht bis zehn Prozent, im Ausland dagegen auf über 20 Prozent kommt.
– Der Ärger über niedrige Löhne ist allerdings nur der Anfang. Bereits jetzt wird heftig über die Verbesserung sozialer Standards und das Recht auf Streiks diskutiert. Seit dem Dienstag ist der Protest sogar an jedem Zeitungskiosk des Landes greifbar. Das südchinesische Magazin „Nanfengchuang“ (Fenster zum Süden) setzte sich über Zensuranweisungen hinweg und erschien mit der Titelseite: „Streiks mit Durchblick“. Sie zeigt Arbeiter mit geballten Fäusten, die Schilder halten: „Wir verlangen auf das Heftigste, unsere Arbeitsbedingungen zu verbessern“.
Selbstmordserie beim Elektronikkonzern Foxconn
– Die 20-seitige Titelgeschichte ist ein engagiertes Plädoyer für den Aufbau echter Gewerkschaftsvertretungen und der Wiedereinführung des 1982 aus der Verfassung gestrichenen Streikrechts. Prominente Autoren machen sich zu Fürsprechern der Arbeiter: Chinas bekanntester Sozialwissenschaftler Yu Jianrong schreibt: „Arbeiter und Angestellte ohne Streikrecht haben keine Würde.“
– Der ehemalige Generalsekretär der Allchinesischen Staatsgewerkschaften (ACFTU), Li Honghai, zeigt sich geläutert. Er fordert aus dem riesigen Apparat von 1,85 Millionen Gewerkschaftszellen, bei denen offiziell 230 Millionen Arbeiter organisiert sind, „echte starke Arbeiterorganisationen“ zu machen. Li Honghai nimmt kein Blatt vor den Mund: „Unsere Staatsgewerkschaften trauen sich nicht, mit ihrem Hintern auf der Seite der Arbeiter zu sitzen.“
– Pekings Führung steht vor einem Dilemma. Das schnelle Wirtschaftswachstum des Landes hat sie zum großen Teil der Ausbeutung von 600 Millionen Bauern und dem erzwungenen Lohnverzicht von rund 350 Millionen Arbeitern zu verdanken, ausgerechnet der Klasse, als deren Interessenvertreter sie einst angetreten war.
– In den vergangenen 20 Jahren des Wirtschaftsbooms fiel der Lohnanteil am Bruttosozialprodukt von 1993 noch 49,5 Prozent auf 2007 noch 39,7 Prozent, enthüllte die parteiamtliche „Volkszeitung“, während Unternehmensumsätze und Gewinne überproportional stiegen. Das wirke sich nun auf das Sparverhalten aus, warnen Ökonomen in der „Nanfengchuang“. Der Anteil der Bevölkerung an der Sparsumme sei von einst 60 Prozent auf jüngst 32 Prozent gefallen. Das alles sei Gift für die Förderung der Binnennachfrage.
Gewerkschaften ringen um Profil
– „Was bleibt vom chinesischen Modell?“ fragt die Nanfengchuang, wenn in Guangdongs Produktionsparadies „Dongguan“, der Wiege der chinesischen „Werkbank der Welt“, heute 21 Prozent aller Billigarbeiter auf ein Monatsgehalt von unter 1000 Yuan (115 Euro) kommen. Es sei daher kein Wunder, dass Millionen Bauern lieber auf ihrem Dorf bleiben als sich zu solchen Hungerlöhnen verdingen. Als Folge davon kommt es in Südchina plötzlich zu Arbeiterknappheiten.
– Regierung und Staatsgewerkschaften versuchen sich an die Spitze der Bewegung zu stellen, damit aus Lohnstreiks keine Sozialrevolten werden. 23 der 31 Provinzen Chinas haben ihre Arbeitermindestlöhne seit einem Jahr um bis zu 25 Prozent auf 900 bis 1100 Yuan pro Monat erhöht und die Sozialhilfen aufgestockt.
– Auch die Gewerkschaften versuchen, Profil zu gewinnen. In Nordostchinas Liaoning setzten sie der Schnellimbisskette KFC mit ihren 57 Filialen in Shenyang zu. Seit April verhandelte die Staatsgewerkschaft mit den zum „Yum Konzern“ gehörenden US-Hähnchenbratereien[rosticceria di polli], um die Mindestlöhne für die 2000 KFC-Angestellten in Shenyang von 700 auf 900 Yuan monatlich zu erhöhen. Erst als die Gewerkschaft an die Öffentlichkeit ging, willigte Yum zur Anhebung ein und zu fünf Prozent Lohnerhöhung pro Jahr für jeden Mitarbeiter.
– Ihren Erfolg verkauften die Gewerkschaften als Schlagzeilen auf den Titelseiten der Wirtschaftspresse. „Wir setzen auf kollektives Aushandeln gerechter Löhne. “ Ihr Arbeiter braucht also nicht zu streiken. Wir machen das für euch.
>Chinas wirtschaftliche Erfolgsgeschichte basiert auch auf der Ausbeutung der Arbeiter.<
BMW beschäftigt zB fast 30% Leiharbeiter die gerade mal die Hälfte dessen bekommen, was ein BMW Mitarbeiter bekommt. Die Gewinne werden aber wohl eher Clement und Co zugute kommen, die von der Arbeitsleistung anderer schmarotzen.
Aber unterm Schnitt scheinen Leiharbeiter BMW trotzdem billiger zu kommen.