Presidenziali – Le buone ragioni degli islamisti kirghizi/ L’opposizione mette in dubbio il trionfo di Bakijev

Faz      090726

Elezioni in Kirghizistan – L’opposizione mette in dubbio il trionfo di Bakijev

– I risultati delle presidenziali in Kirghizistan del luglio 2009:

o   82,71% a favore di Bakijev, secondo l’Agenzia governativa Akipress;

o   60% per lo sfidante socialdemocratico, Almasbek Atambajev, e 25% per Bakijev, secondo l’opposizione del “Movimento popolare unitario”.

– Atambajev è stato invitato da Mosca dalla Duma (Parlamento russo);

– Nella primavera 2007 diverse ali della opposizione contro Bakijev aveva tentato di farlo dimettere e di indire nuove elezioni.

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Faz      090723

Presidenziali – Le buone ragioni degli islamisti kirghizi

Michael Ludwig, Dschalalabad

– Lo Stato secolare del Kirghizistan si trova a fare i conti con la sfida degli islamisti, anche se costoro non hanno più la maggioranza dei 4 milioni di kirghizi.

– È lo stesso Stato a fornire materiale di propaganda a favore degli islamisti con la corruzione a tutti i livelli e la repressione brutale delle forze dell’ordine, mentre si occupa ben poco degli interessi della popolazione.

– La gente si convince sempre più che lo Stato è superfluo e che le comunità musulmane sono in grado di amministrarsi molto meglio da sole, e gli islamisti sfruttano semplici luoghi comuni: da una parte lo Stato corrotto, dall’altra i devoti musulmani repressi.

– I seguaci di Hizb ut-Tahrir al Islamijja (Partito Islamico per la Liberazione) aumentano ma mutano anche qualitativamente:

o   ai contadini uzbeki del Sud si sono uniti sempre più kirghizi e anche russi;

o   Hizb ut-Tahrir si è rafforzato anche nel Nord Kirghizistan, dove l’islam è tradizionalmente più debole che nella valle di Fergana, che è più sovietica e russa; qui il paartito si è conquistato soprattutto intellettuali e liberi professionisti.

– In Kirghizistan esiste anche un’opposizione laica, che ha partecipato alle presidenziali con il programma di ripulire il paese dalla corruzione in caso di vittoria alle presidenziali del suo candidato Almasbek Atambajev, che però servì già come ministro con Bakijev.

o   Ma anche la “rivoluzione dei tulipani” del 2005, che fece cadere il presidente Askar Akajev, aveva come parola d’ordine la lotta alla corruzione.

– Sandschjar, un contadino come quelli dei confinanti Uzbekistan e Tagikistan, a cui appartiene una parte della valle di Fergana, molto abitata, è anche il leader locale di Partito Islamico per la Liberazione, Hizb ut-Tahrir al Islamijja, fuori legge in tutti i paesi centro-asiatici. Dal crollo dell’URSS, la valle di Fergana è chiamata la polveriera del Centro Asia. Sandschjar: i talebani afgani e noi siamo come due pagine del Corano, la differenza che noi cerchiamo di perseguire i nostri scopi in modo pacifico, i talebani con le armi, dato che su loro viene fatta una forte pressione dai grandi paesi.

– Comprendiamo i talebani ma anche i muslmani ceceni che combattono contro la Russia.

– Il presidente kirghiso, Bakijev ha di recente riferito che Russia e Kirghizistan stanno pensando di creare un comune “centro antiterrorismo”, a Osch, capoluogo del Sud Kirghizistan o a Bakten, al confine con il Tagikistan, confinante con l’Afghanistan.

– Nel Sud Kirghizistan sono aumentate le tensioni, da inizio primavera 2009 ci sono stati una serie di scontri armati con i guerriglieri islamisti, una tattica ustilizzata dalo Stato per allargare il terrore.

– Ma secondo Sandschjar il suo partito è ben radicato nella popolazione e i tentativi intimidatori non fanno che aumentare i suoi seguaci.

o   es. di un’azione preordinata di repressione da parte delle forze speciali governative contro un assembramento di persone raccolte a Nookat (città della valle di Fergana) per festeggiare la fine del Ramadan, con l’accusa a Hizb ut-Tahrir di propaganda fondamentalista contro lo Stato e di aver organizzato gli scontri, e condanne a pene da 9 a 20 anni per i giovani che avevano preso parte agli scontri,

o   il risultato dell’azione repressiva dello Stato: una maggiore radicalizzazione della gente attorno a Hizb ut-Tahrir.

o   Anche gli Imam, in genere coinvolti nelle strutture statali corrotte, non hanno potuto fare a meno di condannare l’accaduto.

– In realtà l’abbattimento dello Stato tagiko o la soppressione della sua “democrazia” non sarebbe un obiettivo prioritario di Hizb ut-Tahrir, quanto piuttosto l’”oppressore” Karimov, presidente del confinate Uzbekistan.

– Karimov, che nel proprio paese reprime duramente qualsiasi tipo di opposizione, dopo i disordini a Andishan, città tagika della valle di Fergana, 4 anni fa’ spinse per una dura repressione contro islamisti di fatto o supposti, temendo che dal Kirghizistan la ribellione si espanda all’Uzbelistan.

o   I servizi segreti uzbeki avrebbero al tempo perseguito anche nel Sud Kirghizistan gente fuggita alla sanguinosa repressione della ribellione nel proprio paese. Nonostatne l’accordo ufficiale di libertà di visti, gli uzbeki che vivono in Kirghisistan hanno difficoltà a recarsi nel proprio paese.

– Funzionari kirghizi hanno comunicato la cattura in Sud Kirghizistan (giugno e luglio 2009) di 18 terroristi kirghizi, uzbeki e kasaki, alcuni dei quali avevano combattuto in Afghanistan contro le forze internazionali, alcuni sarebbero stati addestrati in campi all’estero, Afghanistan e Pakistan.

●    In occasione delle presidenziali, Hizb ut-Tahrir diede l’indicazione di votare contro tutti i candidati.

●    Secondo Sandschjar, sarebbe facile abbattere Bakijev, la parte difficile è l’Uzbekistan,

o   se fosse abbattuto Karimov, potrebbe stabilirsi uno Stato musulmanoin tutta l’Asia Centrale.

Faz      090726

Wahl in Kirgistan – Opposition zweifelt an Bakijews Triumph

26. Juli 2009

–   Nach der von Fälschungsvorwürfen überschatteten Präsidentenwahl im zentralasiatischen Kirgistan am Donnerstag haben Anhänger der unterlegenen Opposition am Wochenende landesweite Protestkundgebungen angekündigt. Die Gegner des von den Behörden zum Wahlsieger erklärten Amtsinhabers Kurmanbek Bakijew wollen am kommenden Mittwoch Neuwahlen in der früheren Sowjetrepublik fordern.

–   Bakijew lag nach Auszählung der meisten Stimmzettel offiziellen Angaben zufolge mit 82,71 Prozent vorn, wie die Wahlleitung nach Angaben der kirgisischen Agentur Akipress mitteilte.

–   Die Opposition von der „Vereinten Volksbewegung“ hat eine Gegenrechnung aufgemacht. Eine Parallelauszählung der Stimmen habe ergeben, dass der Herausforderer Bakijews von den Sozialdemokraten, Almasbek Atambajew, mit sechzig Prozent der Stimmen den Sieg in der Präsidentenwahl davon getragen habe, während auf Bakijew nur 25 Prozent entfallen seien.

„Kriminelle Familie“

–   Atambajew will am Wochenbeginn auf Einladung der Duma nach Moskau reisen. Atambajew war mit der Losung „Gemeinsam schaffen wir es!“ angetreten und hatte versprochen, die Korruption auf allen Ebenen des Staates auszumerzen. Besondere Gremien sollten deshalb die Tätigkeit der Behörden überwachen.

–   Atamabajews Bundesgenosse von der Partei Ata Meken, der vormalige Parlamentspräsident Omurbek Tekebajew, sagte im Radiosender Azattyk mit Bezug auf den Bakijew-Klan, man werde den Kampf gegen die „kriminelle Familie“ aufnehmen und im ganzen Land, auch in den Betrieben, führen.

–   Schon im Frühjahr 2007 hatten die unterschiedlichen Flügel der gegen Bakijew gerichteten Opposition vergeblich versucht, den Präsidenten zum Rücktritt zu zwingen und Neuwahlen zu erreichen.

Text: FAZ.NET mit M.L.

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Faz      090723

Präsidentenwahl – Die guten Argumente der kirgisischen Islamisten

Von Michael Ludwig, Dschalalabad

23. Juli 2009

–   Im Bewässerungsgraben am Feldrand plustern sich die Frösche zum Abendkonzert auf. Schmächtige Pferdchen ziehen schwere Fuhren mit geerntetem Weizen zu den Scheunen. Es sind die letzten an diesem Tag, die Bauern haben ihre Arbeit bald getan. Es wird Zeit für das Asr-Gebet. Sandschjar ist einer von denen, die sich hier im Süden Kirgistans Tag für Tag abrackern – so, wie auch die Bauern in den Nachbarländern Usbekistan und Tadschikistan, denen auch Teile des Fergana-Tals gehören, einer fruchtbaren und dichtbesiedelten Ackerebene. Aber Sandschjar ist kein gewöhnlicher Bauer, er ist auch der lokale Anführer der in allen zentralasiatischen Staaten verbotenen „Islamischen Partei der Befreiung“ – Hizb ut-Tahrir al Islamijja.

–   Verschwitzt und staubig taucht er unvermittelt aus einem der Felder auf, steht plötzlich am Rand des Feldwegs, der zum Weiler Bekabad in der Nähe der Gebietshauptstadt Dschalalabad führt. Was Sandschjar erzählt und wie er predigt, macht schnell deutlich, warum das Fergana-Tal seit dem Ende der Sowjetunion auch das Pulverfass Zentralasiens genannt wird.

o    „Die Taliban in Afghanistan und wir sind wie zwei Seiten im Koran. Im Grunde verfolgen wir das gleiche Ziel“, sagt Sandschjar. „Der Unterschied besteht darin, dass wir den islamischen Gottesstaat mit friedlichen Mitteln und Überzeugungsarbeit unter unseren Glaubensbrüdern erreichen wollen und die Taliban, weil so unerhörter Druck von den großen Staaten auf sie ausgeübt wird, mit Waffen kämpfen.“

 „Wir haben Verständnis für die Taliban“

–   Hizb ut-Tahrir lehne den Terror zwar ab, fährt er fort, „aber wir haben Verständnis für die Taliban – so, wie wir auch die muslimischen Tschetschenen verstehen, die gegen Russland kämpfen“. Die Antwort auf die Frage, wo die Grenze zwischen Verstehen, Billigung und womöglich Zusammenarbeit verlaufe, bleibt er schuldig. Diese Antwort wird auch von anderen Vertretern der Hizb ut-Tahrir nicht gegeben. Von den Machthabern der zentralasiatischen Staaten werden ihre Anhänger schon seit Jahren als Terroristen verfolgt.

–   Der kirgisische Präsident Kurmanbek Bakijew hat vor kurzem gesagt, Kirgistan und Russland überlegten, ein gemeinsames „Antiterrorzentrum“ in der südkirgisischen Gebietshauptstadt Osch oder in Batken an der Grenze zu Tadschikistan zu errichten, das wiederum an Afghanistan grenzt. Die Schwierigkeiten im Süden Kirgistans würden immer größer, sagte Bakijew zur Begründung – seit Beginn des Frühjahrs hat es dort eine ganze Reihe von Schießereien mit islamistischen Kämpfern gegeben.

–   Sandschjar sagt zu diesen Plänen, das füge sich gut in das Schema, nach dem der Staat vorgehe, um Schrecken zu verbreiten. Aber er ist sicher, dass man seiner Partei mit militärischen Mitteln und Einschüchterung nicht beikommen könne. Ihre Verankerung im Volk werde immer stärker, und Einschüchterungsversuche führten nur dazu, dass die Zahl der Anhänger wachse.

Spontane Unruhen

–   Sandschjar nennt ein Beispiel. In Nookat, einer kleinen Stadt im Fergana-Tal, hatten sich die Menschen vergangenes Jahr auf einem zentralen Platz versammelt, um – wie in den Jahren zuvor – mit Erlaubnis der Behörden gemeinsam das Ende des Fastenmonats Ramadan zu feiern. Die Feier wurde aber ohne Begründung verboten. Als eine Menschenmenge vom Akim, dem Chef der Bezirksverwaltung, eine Erklärung forderte, flogen Steine, und zuvor bereitgestellte Spezialeinheiten aus der Gebietshauptstadt Osch rückten an, um die Menge auseinanderzutreiben.

–   Später wurden Jugendliche, die an den Auseinandersetzungen beteiligt waren, zu Haftstrafen zwischen neun und 20 Jahren verurteilt. Die Behörden beschuldigten Hizb ut-Tahrir, von langer Hand Ausschreitungen vorbereitet zu haben, während laut der Menschenrechtsorganisationen „Memorial“, die die Geschehnisse untersucht hat, vieles auf spontane Unruhen hindeutet.

–   Sandschjar sagt, die Behörden hätten die Krawalle herbeigeführt, um die Menschen einschüchtern zu können. Die Erbitterung der Leute wachse, sie hörten ihm und anderen Anführern von Hizb ut-Tahrir jetzt noch williger zu als zuvor. Selbst den Imamen, die meist in den Strukturen des korrupten Staates verstrickt seien, sei es schwergefallen, die Behörden in diesem Fall nicht zu verurteilen.

–   Der Sprecher der Polizei in Osch, Samir Sydykow, sagt dagegen, die Behörden hätten richtig gehandelt. Er kündigt an, auch künftig werde gegen ähnliche Veranstaltungen, die für fundamentalistische Propaganda gegen den kirgisischen Staat genutzt werden sollten, mit der gleichen Härte vorgegangen.

Der usbekische Präsident Karimow dringt auf einen harten Kurs

–   Dabei steht die Zerstörung dieses Staates oder, wie Sandschjar sich auch ausdrückt, die Abschaffung der an sich schon verwerflichen, in Kirgistan aber besonders morbiden Demokratie, auf der Liste der Ziele der Hizb ut-Tahrir nicht ganz oben. Sandschjars besonderer Hass gilt vielmehr dem „Unterdrücker Karimow“, dem Präsidenten des Nachbarlandes Usbekistan.

–   Karimow, der in Usbekistan jede Form von Opposition hart unterdrückt, hat Kirgistan schon nach den Unruhen in der usbekischen Stadt Andischan im Fergana-Tal vor vier Jahren zu einem harten Kurs gegen tatsächliche und angebliche Islamisten drängt.

o    Damals hieß es, der usbekische Geheimdienst suche auch im Süden Kirgistans nach Personen, die nach der blutigen Niederschlagung des Aufstands in das Nachbarland geflohen waren.

o    Karimow, so heißt es, sähe in Kirgistan am liebsten ein System, das so repressiv ist wie seines, denn nur dann müsse er nicht fürchten, dass aus dem liberaleren Kirgistan das Ferment für ein neuerliches Aufbegehren nach Usbekistan gelange.

o    Deshalb würden Reisen von Usbeken aus Kirgistan nach Usbekistan trotz der offiziell vereinbarten Visafreiheit immer mehr erschwert. Manche Beobachter fürchten sogar, dass Karimows auch eine bewaffnete Auseinandersetzung nicht scheuen würde, wenn er glaube, dass er von Kirgistan aus einer islamistischen Bedrohung ausgesetzt sei.

Festnahmen und Kämpfe

–   Die kirgisischen Behörden haben dieser Tage Berichte offiziell bestätigt, dass Sondereinheiten im Juni und Juli in Südkirgistan 18 Terroristen kirgisischer, usbekischer und kasachischer Staatsangehörigkeit festgenommen hätten. Einige von ihnen hätten zuvor in Afghanistan gegen die internationalen Truppen gekämpft, manche seien in Ausbildungslagern im Ausland – etwa in Afghanistan und Pakistan – gedrillt worden.

–   Ende Juni haben Sondereinheiten des kirgisischen Staatssicherheitsdienstes in der Nähe von Dschalalabad und Usgen mehrere Männer „vernichtet“, die Terroristen gewesen seien. Darunter waren zwei Brüder, deren Frauen anschließend unter dem Vorwurf verhaftet wurden, sie gehörten zu Hizb ut-Tahrir. Im Süden Kirgistans gibt es jetzt neun Halbwaisen mehr.

–   Die Version der Ereignisse, die die Bürgerrechtlerin Asisa Abdurasulowa aus Bischkek liefert, klingt anders. Der eine der beiden Brüder sei mit seiner Frau bei der Feldarbeit gewesen. Als plötzlich Bewaffnete aufgetaucht seien, habe er aus Angst die Flucht ergriffen, weil er bereits einmal zuvor wegen Mitgliedschaft in Hizb ut-Tahrir verhaftet und grässlich zusammengeschlagen worden sei. Seiner Frau habe man später gesagt, ihr Mann habe sich im Kampf selbst in die Luft gesprengt. Menschen, die den Leichnam sahen, hätten freilich angegeben, dass dieser heil gewesen sei.

„In ganz Zentralasien den Gottesstaat verwirklichen“

–   Natürlich teilt Sandschjar die Zweifel an der offiziellen Version. Er würde freilich nicht weglaufen – er sei schon fünfmal verhaftet worden und nach jeder Verhaftung populärer geworden, sagt er. Sandschjar ist auch sicher, dass viele Menschen bei der kirgisischen Präsidentenwahl an diesem Donnerstag der Empfehlung von Hizb ut-Tahrir folgen und „gegen alle Kandidaten“ stimmen werden.

–   Bevor er wieder ebenso plötzlich verschwindet, wie er kam, hat Sandschjar dem Christen aus dem Westen noch etwas zu sagen: Präsident Bakijew sei leicht zu stürzen, wenn man nur wolle. Das wichtigere Ziel sei aber Usbekistan.

–   Wenn der Diktator Karimow stürze, dann werde nicht nur im Fergana-Tal, sondern bald auch in ganz Zentralasien der Gottesstaat verwirklicht und schließlich die islamische Weltrevolution kommen: „Aber wir sind keine Unmenschen, den Christen werden wir vorschlagen, zum Islam überzutreten, und wenn sie ablehnen, dürfen sie weiter in streng umrissenen Grenzen ihren Glauben ausüben, müssen aber für dieses Recht eine Sondersteuer an uns leisten.“ Doch „zu viel Toleranz“ sei nicht angebracht, sagt Sandschjar: „Die Juden werden wir vernichten.“ Irgendwo hat die zuvor beteuerte Gewaltlosigkeit offenbar Grenzen.

–   Der säkulare Staat steht in Kirgistan ziemlich ratlos vor der Herausforderung durch Leute wie Sandschjar – auch wenn Islamisten noch lange keine Mehrheit unter den vier Millionen Einwohnern hinter sich haben. In einem Teehaus in der Gebietshauptstadt Osch erzählt Abdumomun Mamaraimow, wie es kommt, dass er immer öfter das Gefühl hat, zwischen den Fronten zu stehen.

–   Er ist Muslim, Herausgeber eines Bürgerrechts-Bulletins und der kleinen Zeitung „Stimme der Freiheit“. Früher arbeitete er selbst einmal in den Sicherheitsstrukturen, jetzt sagt er, die Staatsmacht gehe ohne Sinn und Verstand gegen die Gefahr des Fundamentalismus vor.

Kampf mit Klischees

–   Der Staat liefere das Material für die Propaganda der Islamisten selbst, sagt er – mit Korruption auf allen Ebenen und dem brutalen Vorgehen der Ordnungskräfte, und damit, dass er sich nur wenig um die Belange der einfachen Menschen kümmert.

–   Immer mehr Menschen könnten so überzeugt werden, dass der weltliche Staat eigentlich überflüssig sei und die muslimischen Gemeinden selbst alles viel besser regeln würden, wenn man sie nur ließe, sagt Abdumomun Mamaraimow. Die Islamisten in Kirgistan arbeiten mit einfachen Klischees: Auf der einen Seite stehen die korrupten, gewalttätigen, unfähigen und daher überflüssigen Schnapstrinker der Staatsgewalt, auf der anderen die frommen, unterdrückten Muslime.

–   Die Anhängerschaft der Hizb ut-Tahrir werde nicht nur größer, sie verändere sich qualitativ, sagt Mamaraimow. Zu den usbekischen Bauern im Süden kämen immer mehr Kirgisen, sogar Russen schlössen sich ihr an.

–   Auch im Norden Kirgistans, wo der Islam traditionell schwächer ist als im Fergana-Tal, der zudem mehr sowjetisch und russisch geprägt ist, werde Hizb ut-Tahrir immer stärker, und dort gewinne sie vor allem Intellektuelle und Freiberufler. Mamaraimow weiß von Ermittlern der Polizei zu berichten, die eingestehen, dass sie sich den Argumenten von gebildeten Vertretern der dieser Partei während der Vernehmungen bisweilen nur mit Mühe entziehen könnten.

–   Es gibt auch eine weltliche Opposition in Kirgistan. Sie kündigt an, wenn ihr Kandidat Almasbek Atambajew in der Präsidentenwahl siegt, werde sie den Staat von Korruption säubern. Würde die Korruption wirklich eingedämmt, böte der Staat den Islamisten weniger Angriffsfläche. Aber schon die Losungen der „Tulpenrevolution“, durch die 2005 der damalige Präsident Askar Akajew gestürzt wurde, richteten sich gegen die Korruption. Seither haben die jetzigen Machthaber um Präsident Bakijew viele ebenso heilige wie folgenlose Eide geschworen, sie wollten die Korruption ausmerzen. Kaum jemand glaubt noch neuerlichen Versprechen – nicht denen Atambajews, der unter Bakijew einmal Ministerpräsident war, und schon gar nicht dem Präsidenten, der vor kurzem behauptete, dass die Korruption auf der höchsten staatlichen Ebene ausgemerzt sei.

Text: F.A.Z.

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