– Nel 2007 spese militari mondiali a €1339 MD in valori correnti e $1214 MD in valori costanti, + 6% su 2006;
o su 1998: Nord America + 65%, Medio Oriente + 62%, Sud Asia + 57%, Africa ed Est Asia + 51%;
o l’Europa dell’Est +162%; 2007/2006 +15%.
o 2007/2006: Europa Occidentale + 6% e America Centrale +14%.
– Spese militari pari al 2,5% del PIL mondiale, da $184 a $202/abitante
● USA, coprono il 45% delle spese militari totali,
o aumento budget militare USA: in valori correnti oltre $578MD, in valori costanti del 2005 $547 (contro i $539 del 2006), la maggior spesa militare dalla Seconda Guerra Mondiale.
● Al secondo posto la GB, ($59,7MD a valori costanti)
● La Cina, spese militari ultimo decennio x 3 in termini reali; con €58,3MD (cifra che potrebbe essere sottostimata) ha superato
o Francia ($53,6MD)
o Giappone ($43,6MD);
o Germania ($36,9MD)
o Russia ($35,4MD, forse sottostimata).
● Le recenti leggi finanziarie + oltre 20% budget militare italiano in due anni;
o Italia rimane 7a per spesa militare pro-capite, ma nel 2007 a $568, contro i $514 del 2006) e, per il quarto anno consecutivo, supera i 447 dollari pro-capite (2007) della Germania.
● Spesa militare complessiva italiana da vari anni attorno all’1,8-1,9% del PIL – dati Sipri e Nato; al 7° posto mondiale per export, all’8° per spesa militare, $33,1 MD in valori costanti (contro i $29,9 MD del 2006); nel 2007 commesse ed autorizzazioni per $2,4MD
sembrerebbe superata da Arabia Saudita ($33,8 MD, ma sovrastimato perché comprende spese per ordine pubblico e sicurezza).
● I paesi con un reddito elevato, principali erogatori di aiuti per lo sviluppo, hanno speso in media dieci volte di più per le spese militari rispetto alle spese allo sviluppo e la cooperazione.
● Aumento profitti prime 100 aziende a produzione militare (escluse cinesi), 44 USA e 34 europee, in un mercato sempre più concentrato e internazionalizzato, ma sul quale rimane forte il controllo statale; vendite 2006/2005 + 9%, a $315MD.
● Commercio internazionale in ripresa dal 2002; i primi cinque esportatori coprono l’80% delle esportazioni mondiali di armi.
o 2007, Stati Uniti ($7,5MD); Russia ($4,6, contro $6,5 del 2006 per calo commesse da Cina), Germania ($, 3,4 MD, x3 su 2004) Francia ($2,7MD), Olanda ($1,4MD), e Regno Unito ($1,2MD);
o armi convenzionali ($242MD, -8% dal 2002), calo per -62% commesse da Cina, -50% da EAU.
● 2006, gruppi di Europa Occidentale + USA 92% vendite totale di armamenti.
o 41,9% del totale le esportazioni dai paesi UE ($10,3MD), la quota maggiore, superiore a quella di USA e Russia.
● Maggiori importatori Cina e India, seguite da Emirati Arabi Uniti;
o 2007, Grecia $2MD di commesse, al primo posto, superando la Cina (2006, $3,7MD; 2007 $1,4MD).
o India, $1,3MD.;
o Sud Corea, forte aumento import, a $1,8MD;
o EAU da $2 MD a $1MD.
● Italia all’8° posto mondiale per l’export,
● Esportazioni italiane già autorizzate, +9,4% su 2007, con crescita superiore alla quella media internazionale, a €2369 mn.;
o cifra quasi da raddoppiare comprendendo autorizzazioni già emanate per coproduzioni intergovernative (€1846 per coproduzioni avviate 96/98, + €1804 movimentazioni per coproduzioni in corso. 1238 le operazioni di export, +31,3 su 2007.
● Finmeccanica grazie anche ad acquisizioni in UE e USA, con sostegno diretto e indiretto dello Stato, che ne è il maggiore azionista; recenti autorizzazioni per commesse per missili anti-aerei al Pakistan per €470mn)
● si rafforza a livello int.le (9° posto nel 2006 con $8,99 MD di vendite e $1,3 MD di profitti, superiori a quelli di BAE Systems (1,2MD);
o 5° posto nel mondo e 1° in Europa per profitti militari
o fatturato complessivo Finmeccanica €13,4MD, di cui circa il 50% settore militare);
o profitti netti €484mn;
o dipendenti 60mila in Italia e GB;
o Finmeccanica è superata per fatturato da EADS ($12,6MD) e da L3 Communications ($9,9MD) -,
● 2008, principale aziende esportatrici italiane: MBDA Italia (Finmeccanica) €443,9 mn, seguita da Intermarine (244,8 mn.), Fincantieri, Augustawestland, OtoMelara, Galileo Avionica, Avio, Iveco, Alenia Aermacchi.
● Le Banche con ruolo importante per l’export: Unicredit, Banca di Roma, Intesa San Paolo. Cresce il ruolo degli istituti esteri Deutsche Bank, Citybank, ABC International Bank e BNP Paribas.
● Principali importatori di armi italiane sono nell’ordine: Pakistan, €471,6 mn di autorizzazioni alle esportazioni, Finlandia (€250,9 mn), Turchia (€174,5 mn), Regno Unito (€141,7 mn.), Stati Uniti (€137,7 mn.), Austria €119,7 mn.), Malaysia, (€119,2 mn), Spagna (€118,8 mn.), Iraq (€84 mn.) e Francia (€82,3 mn.).
● Nonostante La legge n. 185/90 sull’export armi italiane, lo vieta verso paesi in conflitto armato e con violazioni dei diritti umani:
o Paesi in conflitto armato destinatari di armi italiane: Irak (pattugliatori marittimi di OtoBreda); India; Nigeria (€16mn.); Israele, Sri Lanka, Russia, Tailandia.
o Nel 2007 il 30% delle autorizzazioni complessive ad export di armi è stato verso paesi in conflitto armato intenso.
● Paesi destinatari di armi, con eclatanti violazioni diritti umani: Arabia Saudita, Malesia, Oman, EAU, Libia, Egitto, Cina (nonostante embargo totale su armi); Pakistan (primo acquirente di armi italiane, missili terra-aria tipo Spada-Aspide di MBDA, La Spezia.
– Il dibattito sulla legge italiana 185/90 che regolamenta l’export di armi è iniziato nel 1985, in un periodo di massima espansione dell’export italiano di armi, quasi tutti verso Pvs e per il 50% verso paesi repressivi.
– L’internazionalizzazione e l’entrata del capitale finanziario nella produzione di armamenti offrono appigli per ridurre i controlli nazionali e diluire la responsabilità politiche nazionali.
– 1. l’americana Boeing maggiore produttrice mondiale, venduti $30,7MD/$28MD nel 2005; profitti $2,2MD,
– 2. superati da quelli della concorrente Lockheed Martin ($28,1MD di vendite, $2,5MD di profitti);
– 3. La britannica BAE Systems (oltre $24 MD di vendite)
– 41 maggiori società USA $200MD, pari al 63% delle vendite totali mondiali;
– le maggiori 32 europee, $92,1 MD, il 29% del totale,
il restante 6% suddiviso tra giapponesi, israeliani e indiani.
Rapporto SIPRI 2008: Italia nel 2007 8° per spesa militare, 7° per export di armi
– E’ cresciuta in un anno del 6% e nel 2007 la spesa militare mondiale sfiora i 1400 miliardi di dollari in valori correnti – pari a 1214 miliardi in valori costanti – raggiungendo così la nuova cifra record dagli anni della Guerra Fredda. Unimondo analizza in anteprima in Italia i dati del Sipri Yearbook 2008, il rapporto annuale dell’autorevole Istituto di ricerca della pace di Stoccolma che segnala come la spesa militare è aumentata negli ultimi dieci anni del 45% e corrisponde oggi al 2,5% del prodotto interno lordo mondiale registrando un incremento da 184 a 202 dollari per ogni abitante del pianeta. Un incremento definito "eccessivo e osceno" da Jayantha Dhanapala, membro del Sipri ed ex Sottosegretario generale delle Nazioni Unite per il disarmo.
– Poco meno della metà, il 45% per l’esattezza, della spesa militare mondiale è ricoperta dagli Stati Uniti a seguito non solo delle operazioni militari in Afghanistan e Iraq ma dell’incremento di base del budget militare che in valori correnti supera i 578 miliardi di dollari – mentre in valori costanti del 2005 ha raggiunto i 547 miliardi di dollari (erano 539 nel 2006) – e si presenta come “la maggior spesa militare di Washington dai tempi della Seconda Guerra Mondiale” – riporta il Sipri.
– Al seguito, come ormai da diversi anni, la Gran Bretagna (59,7 miliardi di dollari in valori costanti),
– ma nel 2007 con 58,3 miliardi di dollari – una cifra che, avverte il Sipri, potrebbe essere sottostimata – la Cina supera la Francia (53,6 miliardi), mentre Giappone (43,6 miliardi), Germania (36,9 miliardi) e Russia (35,4 miliardi, ma la cifra potrebbe essere sottostimata) mantengono le rispettive posizioni.
– L’Italia mantiene l’ottavo posto per spesa militare a livello mondiale: con 33,1 miliardi di dollari in valori costanti (erano 29,9 miliardi nel 2006) nel 2007 l’Italia sembrerebbe scavalcata nella graduatoria dall’Arabia Saudita (33,8 miliardi) ma il Sipri segnala che il dato che concerne Riyad "comprende le spese per l’ordine pubblico e la sicurezza e potrebbe essere sovrastimato".
– Una cifra che comunque non sorprende visto che le recenti leggi finanziarie hanno incrementato il budget militare italiano di oltre il 20% in due anni. Anche la spesa militare pro-capite dell’Italia si stabilizza al settimo posto nel mondo, ma nel 2007 sale a 568 dollari (era di 514 dollari del 2006) e, per il quarto anno consecutivo, supera di gran lunga quella della Germania (447 dollari pro-capite nel 2007). Una conferma che la spesa militare complessiva italiana da vari anni si attesta – come riportano gli stessi dati del Sipri e della Nato – attorno all’1,8-1,9% del Prodotto interno lordo.
– In generale, in dieci anni le spese militari in America del Nord sono cresciute del 65%, quelle del Medio Oriente del 62%, quelle dell’Asia del Sud del 57%, mentre quelle dell’Africa e dell’Asia dell’est del 51%. E, sempre nel periodo compreso tra il 1998 e il 2007, l’Europa dell’Est ha registrato il più forte rialzo per queste spese, praticamente raddoppiate (+162%). E’ ugualmente in questa regione che le spese sono aumentate di più l’anno scorso (+15%),
– mentre l’Europa Occidentale e l’America centrale sono le due regioni dove le spese militari sono cresciute meno, rispettivamente del 6 e del 14%.
– Come conseguenza, le vendite di armi delle 100 maggiori aziende mondiali produttrici di sistemi militari (escluse quelle cinesi) sono aumentate del 9% nel 2006 rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 315 miliardi di dollari.
– Le società statunitensi e dell’Europa Occidentale hanno largamente dominato il mercato realizzando il 92% delle vendite di armamenti nel 2006.
– La principale azienda mondiale produttrice di armamenti rimane anche nel 2006 la statunitense Boeing con vendite di armi per oltre 30,7 miliardi di dollari (erano 28 miliardi nel 2005),
– ma vede i propri profitti nel settore militare (2,2 miliardi) scavalcati dalla concorrente americana Lockheed Martin che registra 28,1 miliardi di dollari di vendite e profitti per oltre 2,5 miliardi.
– La britannica BAE Systems con oltre 24 miliardi di dollari di consegne militari si attesta al terzo posto nel 2006 superando le americane Northrop Grumman (23,7 miliardi), la Raytheon (19,5 miliardi) e la General Dynamics (18,8 miliardi).
– Con oltre 200 miliardi di dollari le 41 principali ditte statunitensi ricoprono il 63% di tutte vendite mondiali di armi (un dato che comprende sia le commesse militari americane sia le esportazioni),
– mentre con 92,1 miliardi di dollari 32 ditte europee hanno mantenuto il 29% dello share mondiale, otto ditte russe il 2% e il rimanente 6% rimane suddiviso tra aziende giapponesi, israeliane e indiane.
– Nella graduatoria delle dieci principali ditte mondiali produttrici di sistemi militari un posto di rilievo è ricoperto dalla principale azienda italiana Finmeccanica che, pur scendendo nel 2006 al nono posto per fatturato militare –
o superata dalla EADS (12,6 miliardi) e dalla statunitense L3 Communications (9,9 miliardi) – con quasi 9 miliardi di dollari (8,99 miliardi) di vendite e soprattutto con quasi 1,3 miliardi di dollari di profitti supera di gran lunga la stessa BAE Systems (meno di 1,2 miliardi di profitti) e si piazza al quinto posto nel mondo e al primo in Europa per profitti legati al settore militare.
o L’azienda italiana mantiene queste posizioni grazie alle commesse, al limite dei vincoli della legge 185/90 come la recente autorizzazione al Pakistan per missili di contraerea del valore di oltre 470 milioni di euro, del Governo italiano che attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ne è il principale azionista.
– Per quanto riguarda il commercio internazionale di armamenti convenzionali che si attesta sui 24,2 miliardi di dollari e, nonostante per la prima volta dal 2002 registri nel 2007 un decremento dell’8% – dovuto soprattutto al diminuire delle commesse militari da parte di Cina (-62%) e Emirati Arabi Uniti (50%) -, “si mantiene il trend di crescita nel lungo-periodo” – riporta il Sipri.
– Una nostra analisi sul Arms Trasfer Database del SIPRI* mostra che sono i paesi dell’Unione Europea i principali esportatori di armi per un valore – tra trasferimenti interni tra i membri dell’Ue e esportazioni extra-Ue – che si mantiene nel 2007 sulla cifra di 10,3 miliardi di dollari ricoprendo nell’insieme il 41,9% di tutti i trasferimenti internazionali.
– Considerando i singoli paesi, gli Stati Uniti con 7,5 miliardi di dollari nel 2007 confermano la posizione di principale esportatore mondiale per il quinto anno consecutivo.
o Segue la Russia che con 4,6 miliardi di dollari vede un forte decremento (erano quasi 6,5 miliardi nel 2006) dovuto principalmente al calo di commesse dalla Cina e quindi
o la Germania – che con 3,4 miliardi di dollari triplica l’export di armamenti rispetto al 2004 – e
o la Francia che con 2,7 miliardi di dollari incrementa il proprio commercio,
o l’Olanda che con 1,4 miliardi mantiene per il secondo anno consecutivo una posizione di rilievo e la Gran Bretagna che con poco meno di 1,2 miliardi riacquista posizioni rispetto ai due anni precedenti.
– Nel 2007 l’Italia mantiene il settimo posto rispetto al 2006, e anche se i dati del Sipri, che si riferiscono principalmente a “grossi sistemi d’arma finiti”, mostrano per l’anno scorso un decremento a 562 milioni di dollari, essi vanno considerati nel contesto della forte ripresa dell’esportazioni militare italiana come viene segnalata dai recenti Rapporti della Presidenza del Consiglio sull’export di armi che riporta per il 2007 commesse e autorizzazioni di armi per oltre 2,4 miliardi di euro: commesse i cui effetti si vedranno nei dati del Sipri dei prossimi anni.
– Per quanto riguarda le importazioni di armamenti ad uso convenzionale, sebbene l’Asia e il Medio Oriente si confermino le maggiori aree di acquisizione, nel 2007 la Grecia, con oltre 2 miliardi di commesse per sistemi militari, sale al primo posto della graduatoria superando la Cina che passa dagli oltre 3,7 miliardi di dollari del 2006 ai poco più di 1,4 miliardi del 2007;
– l’India che con oltre 1,3 miliardi di dollari conferma il trend recente; la Corea del Sud che però incrementa notevolmente le importazioni di armi portandole alla cifra record dell’ultimo decennio di oltre 1,8 miliardi di dollari; e gli Emirati Arabi Uniti che invece segnano una drastica riduzione di commesse per armi passando da una media di oltre 2 miliardi del biennio precedente ai poco più di 1 miliardo nel 2007.
– Ma, segnala il Sipri, “i maggiori esportatori di armi all’Asia e al Medio Oriente continueranno nell’intensa competizione per acquisire nuovi ordini, che vedranno nei prossimi anni la Libia e l’Arabia Saudita ritornare ad essere tra i maggiori importatori mondiali”.
Infine, avverte il Sipri, “gli embargo di armi decretati dall’Onu a forze armate non governative hanno finora fallito nel prevenire l’acquisizione di sistemi d’arma” mentre “i maggiori esportatori hanno continuato a sostenere i governi in zone di conflitto rifornendoli di armamenti”. Un fatto che conferma ulteriormente la necessità di giungere presto ad un Trattato internazionale sul commercio di armi (ATT) fortemente sostenuto dalla campagna internazionale ”Control Arms” e attualmente in esame alle Nazioni Unite.
*Le cifre del commercio internazionale di armamenti sono riviste annualmente dal Sipri e, proprio per i continui aggiornamenti apportati al Arms Trasfer Database, i dati riguardanti i diversi anni non sempre coincidono con quelli offerti precedentemente dal suddetto Database e riportati in precedenti nostri articoli.
[Rapporto SIPRI 2008: Italia nel 2007 8° per spesa militare, 7° per export di armi]
Alla luce della relazione annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri sull’import – export delle armi, cosa resta ancora della bella legge italiana?
Numeri, sigle e nodi problematici del triste capitolo delle spese militari.
– Spirano venti di Guerra Fredda e le spese militari hanno raggiunto e superato i valori di quel periodo.Secondo il più recente rapporto SIPRI, le spese militari mondiali ammontano nel 2007 a 1339 miliardi di dollari, con un incremento in termini reali del 6% rispetto all’anno precedente e del 45% dal 1998 (SIPRI Yearbook 2008).
– La ripresa è iniziata nel 1998 – ben prima della fatidica data dell’11 settembre 2001 – per poi intensificarsi dopo l’attacco alle torri gemelle, gli interventi in Iraq e in Afghanistan, le crisi e le tensioni a livello regionale e internazionale.
A oggi le spese militari internazionali corrispondono circa il 2,5% del PIL mondiale.
– Chi spende più in armamenti sono gli Stati Uniti, che, da soli, coprono circa il 45% delle spese militari mondiali.
– Seguono, con un certo distacco, Gran Bretagna, Cina, Francia, Giappone, Germania, Russia e Italia. La Russia registra un incremento del 13% rispetto all’anno passato, e dell’86% nell’arco di un decennio,
– mentre la Cina ha aumentato di tre volte le proprie spese militari in termini reali nell’ultimo decennio.
– Ma gli aumenti si registrano un po’ in tutto il mondo, in particolare nei paesi dell’Europa dell’Est, del Medio Oriente e del sud-est Asiatico. I paesi con un reddito elevato (principali erogatori di aiuti per lo sviluppo) hanno speso in media dieci volte di più per le spese militari rispetto alle spese allo sviluppo e la cooperazione.
– Crescono i profitti delle prime 100 aziende a produzione militare (escluse quelle cinesi) – di cui 44 americane, 34 europee – in un mercato sempre più concentrato e internazionalizzato, ma sul quale rimane forte il controllo statale.
– Aumentano, in particolare, le esportazioni di carri armati (utilizzati nella guerra in Iraq), servizi militari, alta tecnologia elettronica e telecomunicazioni in armonia con la revolution in military affairs. Anche il commercio internazionale è complessivamente in ripresa dal 2002. In costante aumento sono le esportazioni dei paesi dell’Unione Europea, che con il 41,7% delle esportazioni mondiali di armamenti, conquistano la fetta più grande, superiore anche a quella di Stati Uniti e Russia. I primi cinque esportatori (Stati Uniti, Russia, Germania, Francia e Regno Unito) coprono l’80% delle esportazioni mondiali di armi.
Complessivamente continuano a trainare la domanda i paesi dell’Asia e del Medio Oriente.
– Il trend dell’export italiano di armi registra una crescita ancora più marcata di quella internazionale. Secondo la relazione annuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, le esportazioni autorizzate sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno passato, raggiungendo i 2369 milioni di euro, cifra che deve essere quasi raddoppiata se si considerano anche le autorizzazioni definitive rilasciate per programmi di coproduzione intergovernative. Rimessi a posto, con una certa difficoltà, i conti sulle movimentazioni di pezzi e componenti di molte coproduzioni internazionali avviate negli anni 1996/98 e poi sospese o terminate, si è individuata la cifra di 1846 milioni di euro, cui si aggiungono ulteriori 1804 milioni di euro di movimentazioni inerenti le coproduzioni ancora in corso. Le operazioni di esportazione effettuate sono state di circa 1238, con un incremento del 31,3% rispetto all’anno passato.
– Si rafforza la posizione di Finmeccanica a livello europeo e internazionale. Con un fatturato di 13,4 miliardi di euro di ricavi complessivi (di cui circa il 50% nel settore militare) e con un utile netto di 484 milioni di euro, 60 mila dipendenti tra Italia e Gran Bretagna, la principale azienda italiana ha realizzato una crescita dovuta in buona parte ad acquisizioni di imprese europee e statunitensi, sostenuta anche da decreti, azioni e sovvenzioni, direttamente o indirettamente, statali (Gianni Dragoni, Finmeccanica una crescita poco redditizia, Il sole 24 ore, 26 aprile 2008).
– Le principali imprese esportatrici di quest’anno sono la MBDA Italia (Finmeccanica) con 443,9 milioni di euro, seguita da Intermarine (244,8 milioni di euro), Fincantieri, Augustawestland, OtoMelara, Galileo Avionica, Avio, Iveco, Alenia Aermacchi.
– Le banche che hanno svolto un ruolo maggiore nell’appoggio all’export sono Unicredit, Banca di Roma, Intesa San Paolo. Cresce il ruolo degli istituti esteri Deutsche Bank, Citybank, ABC International Bank e BNP Paribas (cfr. Giorgio Beretta, su www.unimondo.org).
– I principali importatori di armi italiane sono nell’ordine il Pakistan con 471,6 milioni di euro di autorizzazioni alle esportazioni, seguito da Finlandia (250,9 milioni di euro), Turchia (174,5 milioni di euro), Regno Unito (141,7 milioni di euro), Stati Uniti (137,7 milioni di euro), Austria 119,7 milioni di euro), Malaysia, (119,2 milioni di euro), Spagna (118,8 milioni di euro), Iraq (84 milioni di euro) e Francia (82,3 milioni di euro).
– Uno sguardo al profilo dei destinatari di armi italiane mostra quest’anno diversi paesi classificati in stato di conflitto armato intenso dall’Uppsala Conflict Database, come l’Iraq, cui sono andati pattugliatori marittimi dell’OtoBreda, l’India, che ha importato apparecchiature per la visione di immagini, addestramento e simulazione, munizioni e navi da guerra, la Nigeria, cui sono state consegnate armi per 16 milioni di euro e ancora Israele, lo Sri Lanka, la Russia, la Tailandia.
Ugualmente compaiono diversi paesi che non rassicurano per il rispetto dei diritti umani.
– All’Arabia Saudita sono andate parti di ricambio per Tornado, alla Malesia velivoli di addestramento MB339 e sistemi di artiglieria navale, all’Oman e agli EAU sono stati forniti elicotteri, alla Libia carri armati, all’Egitto apparecchiature elettroniche. Alla Cina, nonostante l’embargo totale sull’export armi, sono comunque state autorizzate esportazioni di sensori di velocità e parti di ricambio per ricetrasmittenti. Il Pakistan – primo acquirente di armi italiane – è beneficiario di autorizzazioni alle esportazioni di ‘missili terra-aria’ tipo Spada-Aspide esportati dalla MBDA della Spezia.
– Complessivamente circa il 30% del valore delle esportazioni autorizzate di armi nel 2007 si è diretto a paesi in stato di conflitto armato intenso – ma solo il 3,5% a paesi in guerra con più di 1000 vittime nell’anno 2007 e circa il 30% è andata a paesi classificati come “non liberi” dall’istituto di ricerca statunitense Freedom House.
– Eppure la legge n. 185/90 che regolamenta l’export italiano di armi, prevede, tra gli altri, proprio il divieto di esportare armi a paesi in stato di conflitto armato e a paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. È evidente che le maglie della legge si sono allargate in seguito a numerose delibere applicative non sempre coerenti con il disposto del legislatore, in parte formalizzate successivamente con l’approvazione delle modifiche di cui alla legge n. 148/03.
– Ad esempio, il divieto sui diritti umani ha subito delle modifiche in seguito ad atti applicativi formalizzati poi nella legge n. 148/03, che ha aggiunto l’aggettivo “gravi” e ha specificato che le condanne devono essere accertate dagli appropriati organi UE, ONU e Consiglio d’Europa. Si sono così per legge eliminati i possibili riferimenti a Organizzazioni Non Governative accreditate come Amnesty International o Human Right Watch. A ciò si aggiunge la prassi di scegliere gli unici due organi intergovernativi (Commissione ONU per i diritti umani e condanne in sede PESC/PESD) bloccati da considerazioni di natura strategica nelle loro valutazioni. Tuttavia, come sostenuto da alcuni giuristi, non mancano appigli per una migliore applicazione dei divieti, facendo riferimento a organi più imparziali delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea.
– I divieti, infatti, restano formulati per legge primaria nel senso che si applicano a tutti i materiali di armamento, senza ammettere eccezioni.
Tutto ciò ha un valore politico nei confronti dei paesi aggressivi o repressivi, e anche un valore pratico sul versante applicativo. La loro formulazione mira a superare sia una logica puramente economica, sia la logica dell’amico nemico, in funzione di regole stabili e universali stabilite dal diritto internazionale e dalla Carta delle Nazioni Unite.
– Ma la legge italiana è ancora attuale o, come si sostiene da più parti, è ormai superata e anacronistica?
– Il dibattito per la sua approvazione fu avviato più di 20 anni fa, nel lontano 1985, proprio in un periodo di massima espansione dell’export italiano di armi, acquistato per la quasi totalità da paesi in via di sviluppo, e in gran parte (quasi il 50% del valore globale dell’export italiano) da governi aggressivi o repressivi. In tale contesto nacque un movimento per la moralizzazione dell’export di armi italiane che portò, dopo più di cinque anni di dibattito, all’approvazione della legge n. 185/90.
Negli anni immediatamente successivi la sua approvazione, diminuirono drasticamente le esportazioni di armi italiane a paesi inaffidabili, aggressivi o repressivi.
Una prima lezione che si trae dal processo di approvazione della legge n. 185/90 è che la società civile e i cittadini sono spesso tra i pochi ad avere un interesse diretto in una migliore regolamentazione del commercio di armi (sia in fase normativa che applicativa e di controllo), chiamati a riempire spazi altrimenti lasciati vuoti dalla politica (e talvolta anche dal mondo scientifico) a livello nazionale e internazionale.
Una seconda lezione è che gli strumenti normativi possono funzionare e realmente incidere se sono ben formulati, se sostenuti da un sistema di controlli e di sanzioni efficace e se vi è volontà politica.
Tuttavia da quegli anni a oggi molto è cambiato: il sistema internazionale, il concetto di sicurezza, le tipologie dei conflitti e la natura degli attori, la percezione delle minacce alla pace, il tipo di armi prodotte e utilizzate e le risposte, associati al fenomeno di una crescente interdipendenza e globalizzazione dell’economia. Cosa resta ancora di una legge nata alla fine degli anni Ottanta? È davvero superata come in molti sostengono? A nostro avviso i principi di fondo sono ancora estremamente attuali se ripensati in un contesto europeo e globale:
– 1. Il principio di responsabilità politica è oggi più che mai attuale in un’epoca di globalizzazione e di europeizzazione dei mercati della difesa. Le catene produttive che si allungano da nord a sud, l’internazionalizzazione e l’entrata del capitale finanziario rendono il panorama complicato, offrendo appigli per ridurre i controlli nazionali e diluire la responsabilità politiche nazionali.
– Nello specifico quadro europeo, dove in particolare le industrie più potenti, di fronte ai ritardi dei governi, hanno preso l’iniziativa per l’integrazione dell’industria della difesa, è importante che i criteri commerciali siano subordinati a valutazioni politiche e giuridiche, che la dimensione economico-strategica sia guidata e integrata con quella politica, strategica, di sicurezza interna ed esterna, di cooperazione allo sviluppo dell’UE in un’accezione multidimensionale di sicurezza.
2. La legge prevede un sistema articolato di controlli incrociati e sanzioni. Le “assicurazioni politiche” sulla destinazione finale, la “fiducia” con i partner non sono strumenti efficaci in un mercato delicato quello degli armamenti. Le spinte verso la creazione di un mercato unico europeo degli armamenti richiedono con urgenza l’istituzione di un sistema centralizzato di tracciabilità e di controllo dei pezzi e componenti che si muovono tra industrie partner sino ad arrivare al destinatario finale.
3. Potere di indirizzo e controllo parlamentare nella politica esportativa. La legge conferisce grande importanza alla trasparenza, prevedendo un’ampia informazione al Parlamento e di conseguenza all’opinione pubblica sulle esportazioni di armi italiane e sugli operatori economici e finanziari. Passando dal livello nazionale a quello europeo, il ruolo del parlamento diminuisce e le peculiarità istituzionali richiedono di introdurre nuove forme di partecipazione democratica. Il rafforzamento di ruolo di indirizzo e controllo parlamentare e della società civile a livello europeo è ancora più importante nel contesto europeo nella duplice valenza di rafforzamento del demos europeo e di partecipazione dei cittadini alla formazione e consolidamento di una politica estera e di sicurezza europea, che ne rafforzi la dimensione politica e diplomatica.
In termini più generali va recuperato il primato della politica e del diritto. Le proposte per il controllo degli armamenti vanno inserite all’interno di una riflessione più ampia e complessiva sul ruolo e sull’identità strategica dell’Unione Europea che parta da un’analisi delle nuove minacce, reali e percepite, uno studio delle risposte, quelle attuali e quelle possibili, civili e militari, il tipo di strumenti necessari per rendere efficaci tali risposte.
– Non sempre tipologie ed entità di spese militari risultano in sintonia con l’evoluzione del sistema internazionale, né con le nuove forme di conflittualità, non sempre i mezzi coerenti con i fini, non sempre l’equilibro tra risposte civili e militari risulta corretto, non sempre le linee di produzione, largamente sostenuta dallo stato, rispecchiano l’evoluzione del concetto di sicurezza. Non sempre le spese militari rispondono a reali esigenze di difesa, né a criteri di efficienza economica con ricadute occupazionali e di crescita.
Non sempre l’entità e le destinazioni dell’export europeo di armamenti sono coerenti con il ruolo di mediazione e l’offerta di sicurezza che l’Europa sta tentando di offrire. In termini più generali è importante avviare a livello politico e scientifico una riflessione sulla coerenza globale dei mezzi dell’Unione Europea che spaziano dalla gestione delle crisi, alle politiche di sicurezza interna ed esterna, alle politiche di aiuto allo sviluppo, di sostegno della democrazia e di promozione dei diritti umani.