Dal colonialismo all’affarismo bipartisan che gronda sangue
E’ stato firmato il 30 agosto un accordo fra Gheddafi e Berlusconi, cui i media italiani non hanno dato grande rilievo, preferendo dare altro in pasto all’attenzione “popolare”.
Formalmente è un accordo che sana le responsabilità italiane per l’occupazione italiana fra il 1913 e il 1943. L’Italia ha presentato le sue scuse per le atrocità commesse e Berlusconi si è inchinato davanti al figlio ottantenne dell’eroe nazionale libico Omar Al-Mukhtar’s , fatto impiccare nel 1931 dal generale Graziani. Nei campi di concentramento che gli italiani crearono negli anni trenta decine di migliaia di libici, uomini, donne e bambini furono uccisi o morirono di stenti, migliaia furono deportati o soggetti a lavoro coatto dagli occupanti (vedi PM n.16).
L’Italia oltre a presentare le sue scuse, restituisce la Venere di Cirene rubata nel 1913, garantisce il versamento di 5miliardi di dollari in 20-25 anni per la realizzazione di un’autostrada costiera di oltre 1600 chilometri che e unirà la Libia a Tunisia ed Egitto, la costruzione di 200 abitazioni, un progetto di sminamento del Paese, il finanziamento di borse di studio per studenti libici, pensioni ai mutilati dalle mine piazzate dagli italiani in epoca coloniale e agli ascari che combatterono nella seconda guerra mondiale nelle file dell’esercito italiano.
Berlusconi è anche passato sopra ai mugugni di AN, che rappresenta le istanze delle 20 mila famiglie di “coloni” italiani cacciati da Gheddafi nel 1970, ma anche ai mugugni della Lega (il figlio di Gheddafi aveva chiesto la testa di Calderoli).
Sembra una storia a lieto fine di pentitismo per il passato di terrorismo imperialista e di “sincera” volontà riparatoria. Davvero?
Come mai un Berlusconi, espressione (insieme a Prodi & C) di quelle stesse forze sociali capitalistiche, industriali e finanziarie che spinsero lo Stato italiano a razziare, devastare, massacrare e affamare Cirenaica e Tripolitania e le loro popolazioni, fautore della rinascita di quello stesso nazionalismo italiano in nome del quale quelle nefandezze vennero perpetrate oggi si inchina davanti al figlio dell’eroe impiccato?
Abbiamo tutte le ragioni di credere che il pentimento sia di carattere opportunistico, che ciò che è cambiato sia solo la forma, non la sostanza dell’imperialismo italiano. Se così non fosse ad esempio le TV di Berlusconi e quelle di Stato dovrebbero trasmettere in prime time Il Leone del Deserto (coproduzione tra geddafiani e Hollywood) che racconta quella pagina nera del colonialismo italiano; ma quel film rimane vietato, tra tutti i posti del mondo, proprio in Italia…
L’imperialismo italiano ha abbandonato le vesti e la retorica del colonialismo perché sconfitto dalla storia, dallo sviluppo capitalistico delle aree coloniali, e con il pentitismo vuole consolidare l’imperialismo italiano in prima posizione tra i pretendenti all’oro nero libico, che l’imperialismo straccione nostrano, tutto intento a rapinare le poche superfici coltivabili, non era stato neppure in grado di scoprire sotto le dune.
Offrire riparazioni a un paese petrolifero con il petrolio sopra i 100 dollari al barile può essere un’operazione conveniente. Non a caso commenti preoccupati si sono levati dalle ex grandi potenze coloniali quali la Francia, la Gran Bretagna, il Portogallo e l’Olanda. Si teme che l’accordo costituisca un precedente nel diritto internazionale e risvegli analoghe pretese da parte di altri paesi del Magreb (appoggiati in questo dagli Emirati arabi) e dell’Africa in genere. Il governo nigeriano ha ipotizzato di avviare un procedimento per chiedere compensazioni alla Gran Bretagna.
Ma la presenza italiana in Libia significa soprattutto ENI. Nello scorso ottobre l’ENI ha firmato un accordo con la società energetica statale libica per un piano di investimenti di 28 miliardi di dollari in 10 anni. Leggiamo nel sito ENI: “Eni è presente in Libia dal 1959 ed è oggi il maggior operatore straniero nel Paese, con una produzione media giornaliera operata di oltre 550.000 BOE al giorno, di cui circa 250.000 di sua spettanza. Eni è inoltre operatore di alcuni dei più grandi giacimenti della Libia come quelli petroliferi di Abu-Attifel, El Feel e Bouri e quelli a gas e condensati di Bahr Essalam e Wafa, che riforniscono gli impianti di trattamento di Mellitah e il gasdotto Greenstream”. 250 mila barili al giorno di “spettanza” ENI a 100 dollari il barile fanno 25 milioni al giorno, oltre 9 miliardi l’anno, in gran parte rendita petrolifera. A fronte di queste cifre, non ci commuove una spesa promozionale di 150 milioni di dollari in ospedali, scuole e attività archeologiche promessa dall’ENI in Libia. La diplomazia di Prodi e Berlusconi, pentitismo imperialista incluso, sono funzionali a confermare l’ENI quale “maggior operatore straniero” in Libia, davanti ad americani, britannici e francesi.
Nel 2008 l’Eni, secondo quanto dichiarato dal suo Consiglio di Amministrazione, ha rinegoziato i sei contratti di esplorazione ed Estrazione con la NOC, la compagnia nazionale libica, ottenendo un allungamento della concessione al 2042 per il petrolio ed al 2047 per il gas. Sta realizzando un secondo gasdotto sottomarino fra Libia e Sicilia che trasporterà 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’Eni garantisce commesse per milioni di euro anche a Saipem, il ramo d’azienda che materialmente fa le perforazioni dei pozzi e dei giacimenti.
Ma il peso dell’Eni in Libia va oltre. Nell’aprile 2008 L’Eni ha ceduto amicalmente a Putin, in visita in Libia, la sua quota di partecipazione nel giacimento Elephant. In cambio il consorzio Eni-Neftgaz (60% Eni e 40% Enel) ha potuto acquistare le due società russe Arctic Gas e Urengoil, nate dallo spezzettamento della Yukos di Khodorkovsky. (da pagine di Difesa 28 aprile 2008). Lo scambio ha rafforzato la robusta collaborazione Eni-Gazprom all’interno della strategia russa di espansione nel Mediterraneo, iniziata con lo storico accordo fra Gazprom e l’algerina Sonatrac nel 2006. Di ritorno dalla Libia Putin è passato dall’amico Berlusconi in Sardegna (il vertice Eni, a partire da Scaroni, è rimasto quello scelto da Berlusconi nel governo precedente). Queste alleanze russe dell’ENI si sono tradotte in politica estera anche nell’atteggiamento ultra-cauto del governo italiano sulla Georgia.
Ma se denunciamo le mire imperialiste italiane non significa prendere le difese del governo libico, riaccolto nel consesso delle potenze rispettabili dopo il pentimento per l’attentato di Lockerbie e la rinuncia a fare da capofila per il terrorismo arabo e soprattutto a dotarsi dell’arma nucleare. Il 14 agosto Gheddafi ha firmato un accordo con gli Usa per compensare le famiglie delle vittime americane dell’attentato di Lockerbie attribuito ai libici. Per il 12 settembre è prevista la visita di Condoleeza Rice in Libia (la prima visita ufficiale dal 1953).
Gheddafi è un esponente della stessa pasta capitalistica di Berlusconi, un agente della rendita petrolifera e della finanza, sia capital-statale che privata, di una classe sfruttatrice avida e non meno spietata di quella italiana.
L’altro risvolto dell’accordo Italia-Libia è infatti l’accordo contro gli immigrati. Il governo libico si impegna a collaborare più strettamente con l’Italia per bloccare i flussi migratori che partono dalle coste libiche e che in questi anni hanno fatto le fortune di molti “mercanti di schiavi” collusi con la corrotta polizia libica, rendendo operativo l’accordo firmato con Prodi nel dicembre 2007, per il pattugliamento congiunto delle coste libiche (con motovedette fornite da imprese italiane).
Oltre alla cessione temporanea alla Libia di sei unità navali della guardia di finanza (tre guardacoste e tre motovedette) per operazioni di controllo, ricerca e salvataggio nei luoghi di partenza, sia in acque territoriali libiche che internazionali, sono previsti grossi affari per Finmeccanica che costruirà un sistema di controllo radar e satellitare sulle frontiere meridionali della Libia.
Per questa collaborazione contro i poveri dell’Africa Gheddafi non ha bisogno di pentirsi. Il governo libico è tra i regimi più razzisti al mondo, che esercitano la repressione più violenta e dispotica sugli immigrati neri che giungono in Libia dopo viaggi in cui spesso hanno subito ogni sorta di sopruso rischiando la vita. Essi sono in gran parte costretti alla clandestinità, sfruttati con salari di fame e periodicamente picchiati e spogliati di tutti i loro averi, le donne violentate, e ricacciati nei loro paesi di origine, spesso abbandonati senza risorse nel deserto a morire di sete[1].
Non c’è da stupirsi che Berlusconi e Gheddafi si siano trovati d’amore e d’accordo su questo terreno. Gheddafi si occupa del lavoro sporco, anche con i clandestini che l’Italia rispedisce in Libia, spesso rifugiati in fuga da altri governi repressivi ai quali vengono riconsegnati dai libici. E l’Italia se ne lava le mani, anzi insieme a Francia e Russia fornisce a quel governo mezzi per la repressione.
Inutile puntare il dito sul “governo di destra”. La “sinistra” non solo non protesta, ma cerca di dividere il “merito” con Berlusconi. Perché questo è un accordo assolutamente bipartisan, in linea con tutta la politica estera italiana da Craxi in poi. Come puntualizza con stizza l’Unità l’accordo lo chiude Berlusconi, ma Prodi e D’Alema, nonché Amato, gli avevano già spianato la strada. Prodi da Commissario Europeo ha trattato nel 2004 a Bruxelles per rimuovere l’embargo contro la Libia da parte della UE. E proprio nel 2004 avevano inizio le espulsioni collettive di migranti da Lampedusa verso la Libia, vietate da tutte le Convenzioni internazionali e sanzionate dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Tra il 2005 ed il 2006 l’Italia governata da Berlusconi finanziò i voli che deportavano migliaia di migranti dalla Libia verso i paesi di origine, dove questi hanno poi trovato carcere, tortura ed in molti casi la morte. In piena continuità l’ultima finanziaria del centrosinistra, ha previsto di finanziare con otto milioni di euro le missioni della Guardia di Finanza in Libia nel 2008 per “formare” la polizia libica e per collaborare con questa, anche in territorio libico o nelle acque antistanti le coste di quel paese, per fermare e deportare i migranti irregolari. Nel silenzio della sinistra di governo, anzi in continuità con la politica del governo precedente, ci si appresta ora ad affidare alla polizia libica, nota per la sua corruzione e violenza, i mezzi economici e militari per arrestare, deportare, o abbandonare in alto mare, emigrati in fuga verso l’Europa, anche se una buona parte di loro, come rileva anche l’ACNUR, è composta da potenziali richiedenti asilo, e da soggetti vulnerabili come donne, minori, vittime di tortura. Tutti, da D’Alema ad Amato a Frattini e Berlusconi, hanno cercato di delegare a Gheddafi il compito di gendarme del Nord Africa per arrestare i flussi di migranti.
Il flusso degli immigrati africani non si fermerà, né verso la Libia ricca di petrodollari, né verso l’Europa. Spinti da condizioni di vita insostenibili e disperate, essi continueranno a investire tutti i loro risparmi per giungervi attraverso nuove rotte che i trafficanti apriranno col loro denaro. Ma migliaia di uomini, di donne e bambini, perderanno ancora la vita nel tentativo di attraversare quei deserti e quel tratto di mare.
A quando le scuse e il pentimento nei confronti di queste vittime della legislazione xenofoba italiana ed europea, e degli accordi internazionali come quello Italia-Libia?
[1] Vedi ad es. Bilal di Fabrizio Gatti