La vittoria elettorale berlusconiana raccoglie le delusioni di molti lavoratori per la sinistra, ma le userà, come già fatto, per una politica a uso e consumo di imprenditori e liberi professionisti; abbiamo già visto gli sgravi fiscali per i redditi più elevati, le leggi contro i lavoratori stranieri (Turco-Napolitano e Bossi-Fini), le riforme del mercato del lavoro (Pacchetto Treu e Legge Biagi); ora vedremo nuovi attacchi al Contratto Nazionale di Lavoro e ai diritti dei dipendenti.
Il PD si prepara a giocare il ruolo di "opposizione responsabile" e moderata proseguendo sullo stesso terreno delle destre: giro di vite contro l’immigrazione e gli "indesiderati", meno vincoli sui contratti di lavoro, rilancio dei profitti con meno tasse. Posizioni del resto ampiamente sbandierate in campagna elettorale.
La Sinistra Arcobaleno, temporaneamente esclusa dal Parlamento, cerca di riciclarsi sulla piazza; mostra un volto radicale per far dimenticare i due anni di governo in cui ha accettato l’aumento delle spese militari e l’apertura di nuove basi, il rifinanziamento delle missioni all’estero, il taglio del cuneo fiscale a beneficio esclusivo del padronato, il compromesso sul welfare che conferma l’aumento dell’età pensionabile e la detassazione degli straordinari.
Il grande capitale, che pure ha avuto consistenti vantaggi dal governo Prodi, applaude la coalizione vincente aspettandosi una legislazione più stabile e duratura.
Questo generale "riciclaggio" delle forze politiche e dei loro sostenitori non ci stupisce: anche il 25 aprile 1945 i maggiori sostenitori del fascismo – la borghesia industriale e finanziaria e la proprietà fondiaria, con l’appoggio della Chiesa cattolica – si riciclarono nella democrazia liberale per tutelare meglio i propri interessi.
La classe lavoratrice che aveva dato il proprio sangue non solo per abbattere l’oppressione nazifascista, ma anche per avere un mondo senza sfruttamento né guerre, si trovò con gli stessi padroni ma con un vestito diverso: dalla camicia nera alla giacca liberale.
Noi non vogliamo ricordare l’antifascismo dell’ultima ora di chi, dopo aver schiacciato i lavoratori e condotto una serie di guerre imperialiste sotto la copertura di Mussolini, proseguì la sua opera coi governi di Badoglio e della repubblica democratica.
La resistenza che vogliamo ricordare è quella di chi ha lottato non solo contro il fascismo, ma contro tutto il sistema sociale che lo aveva generato; quella di chi voleva un mondo senza classi sociali e senza oppressioni.
Allo stesso modo, la nostra opposizione al nuovo governo non è un rimpianto per quello uscente, né la volontà di avere un diverso panorama parlamentare.
Sappiamo che i diritti dei lavoratori non si difendono con la delega del voto, ma col loro impegno in prima persona e la loro unione al di là di ogni confine o passaporto.
L’obiettivo finale non può essere una diversa forma istituzionale né tanto meno un altro governo, ma una società fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione.
La nostra lotta non è per una diversa gestione della società esistente, ma per la fine del capitalismo, che ieri sfruttava i lavoratori attraverso il fascismo e oggi lo fa tramite le istituzioni democratiche e i loro governi, di destra o di sinistra.
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