«L’Eni pronta a tornare in Iraq»

L’ENI pronto a tornare in IRAQ con la nuova legge sul petrolio.
BERLUSCONI potrebbe aumentare gli istruttori militari a Bagdad (ora ve ne sono 50, lasciativi dal governo di centro-sinistra).

ROMA — L’Ente nazionale idrocarburi si prepara a entrare in maniera consistente nel settore petrolifero dell’Iraq, il Paese che è al secondo posto nel mondo per dimensioni delle riserve di greggio. «Adesso ci sono possibilità di inchiavardare i contratti in un nuovo quadro legislativo», ha detto ieri al Corriere della Sera l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni.
A Bagdad il varo dell’intera legislazione sul petrolio dell’era post Saddam Hussein non è ancora stato completato, ma non mancherebbe molto e l’Italia scalda i muscoli ai blocchi di partenza. Si ritengono a portata di mano, per i prossimi mesi, contratti con Bagdad della durata di tre o quattro anni. In particolare, la compagnia del nostro Paese punta a essere coinvolta sul versante ingegneristico. È chiaro che dovrebbe trattarsi di un primo passo, non del punto di arrivo.
L’incremento dei rapporti è l’argomento principale dei colloqui programmati da Scaroni con Hussain Al Shahristani, il ministro iracheno del Petrolio invitato a Roma all’International energy forum, l’undicesima sessione di un convegno nato nel 1991 per mettere a confronto produttori e consumatori di energia. Aperta ieri dal ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani, destinata a terminare martedì, questa conferenza mette insieme rappresentanti di 74 Stati, 14 organizzazioni internazionali, 30 compagnie del ramo. Tutti, a vario titolo, interessati a capire meglio come comportarsi dopo che il petrolio ha raggiunto pochi giorni fa i 117 dollari al barile.
L’interesse del gruppo del cane a sei zampe per Bagdad coincide con un cambiamento di stagione a Palazzo Chigi che può portare a un maggior impegno dell’Italia in Iraq, invaso nel 2003 dagli Stati Uniti. Benché non siano stati univoci, segnali in questo senso sono già stati lanciati dalla prossima coalizione di governo. «Se fossi ministro della Difesa, ridurrei drasticamente o cancellerei del tutto la nostra presenza in Libano, e invierei truppe in Afghanistan e in Iraq» dichiarò il 13 marzo scorso all’agenzia Reuters Antonio Martino, di Forza Italia.
Silvio Berlusconi il giorno successivo lo corresse, la definì «un’opinione personale», prese le distanze dalla tesi dell’uomo al quale, nel 2003, caduto Saddam, aveva affidato il compito di schierare oltre tremila militari nella zona di Nassiriya. Allo stesso tempo, il futuro presidente del Consiglio affermò che tornando a Palazzo Chigi avrebbe mandato a Bagdad altri istruttori militari.
Per ridurre i fastidi dell’amministrazione di George W. Bush verso il ritiro del nostro contingente, terminato da Romano Prodi a fine 2006, il centro- sinistra di istruttori italiani per le forze irachene ne aveva lasciati. Nel marzo scorso, in un centro della Nato, risultavano una cinquantina. Berlusconi dunque corresse Martino sull’invio di truppe. Non sull’intenzione di un maggior impegno in Iraq. E l’amministrazione Bush non disdegna appoggi in un territorio nel quale ha perso, in cinque anni, oltre quattromila militari.
«Guardiamo all’Iraq come a un’opportunità», diceva ieri Scaroni per quanto riguarda l’energia. Parole pronunciate dopo aver presentato un accordo stretto con la Qatar petroleum international, la compagnia dell’emirato qatarita. Una cornice per prossime collaborazioni ancora da definire nei dettagli.
Le due società cercheranno in giro per il mondo occasioni capaci di portare vantaggi a entrambe nello sfruttamento di riserve di gas e petrolio, senza escludere progetti nel settore petrolchimico e nella produzione di elettricità. L’Eni, che era entrata nell’emirato nel 1967 e che ne uscì nel 2002, punta a ottenere un ruolo nell’esplorazione di giacimenti in Qatar. Averlo abbandonato, secondo Scaroni, «è stato probabilmente uno dei nostri più grandi errori».

Maurizio Caprara

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