L'Irak chiede l’immediato ritiro della Turchia

Die Welt        080224/26
Boris Kalnoky
+ Faz, 25.2.08
Guerra contro il PKK – L’Irak chiede l’immediato ritiro della Turchia
●    Le truppe turche si sono scontrate sul terreno non solo con i guerriglieri del PKK ma anche con i Peshmerga e con la popolazione civile,
●    Tre le ragioni dell’anticipo delle operazioni (anziché ad aprile come previsto), dietro le motivazioni ufficiali turche:
– Recente dichiarazione di indipendenza del Kosovo: Ankara vuole costringere i curdi nord-iracheni a rimanere parte della federazione irachena;
o   Timore di Ankara che Kirkuk venga assegnata al Curdistan iracheno, anche se 12 partiti sunniti e sciiti sono concordi a cancellare l’art. 140 della Costituzione che prevede un referendum per Kirkuk,
o   e sono per porre fine al ritiro degli arabi, ce Hussein aveva fatto insediare a Kirkuk.
– Sono iniziate le aperture verso i curdi nord-iracheni: da tempo il governo Erdogan pensa a migliorare le relazioni con i curdi nord-iracheni, mentre le forze armate sono contrarie; le due parti si sarebbero accordate su un’offensiva di terra per dimostrare la propria determinazione al PKK, cui far seguire la normalizzazione con il governo centrale iracheno e con i curdi.
o   Continui scontri tra governo e forze armate turche: nella loro guerra di logoramento contro il governo di Erdogan, i militari sono riusciti a far perdere al partito di governo AKP quasi tutte le simpatie dei curdi; senza gli 80 deputati del S-E curdo l’AKP (340 deputati) perde la maggioranza assoluta.
●    La Siria, le cui relazioni con la Turchia lo scorso anno sono migliorate notevolmente, non ha ancora preso una posizione ufficiale sulle operazioni militari turche;
o   Da una parte critica la violazione del territorio iracheno, dall’altra condivide il timore turco che l’Irak venga diviso e che venga creato uno Stato curdo. Circola l’espressine “Sykes-Picot II”, l’accordo del 1916 con cui GB e Francia si accordarono per la ripartizione del MO…[1]

 

●    Gli iracheni non escludono che i nazionalisti turchi cerchino di annettersi la provincia di Mosul: al momento della fondazione della Repubblica turca si discusse sull’assegnazione della provincia ai turchi o la sua inclusione nel territorio del mandato britannico.
o   Nei negoziati di Pace di Losanna (inizio 1923), i fiduciario di Atatürk, Ismet Inönü, ricevette l’incarico di assicurare Mosul alla Turchia, sulla base della Carta del Patto Nazionale (Misak-i Milli) stilata dall’ultimo parlamento ottomano del 1920, e oggi ripresa da diversi nazionalisti turchi.
o   Losanna lasciò aperta la questione di Mosul, nel 1925 la Lega delle Nazioni assegnò la provincia più a nord dell’Irak attuale al mandato britannico; due anni dopo la Iraq Petroleum Company scoprì un campo petroliero nei dintorni di Kirkuk.
– Quinto giorno delle operazioni militari turche in Nord Irak, aumentano le tensioni politiche: l’Irak chiede per la prima volta il ritiro delle truppe turche.
– (Monde, 26.2.08): il governo iracheno: le operazioni turche inizialmente «comprese e legittime» rappresentano oramai «una minaccia per la sovranità dell’Irak« e «un rischio per al sicurezza e la stabilità della regione». Il portavoce del governo regionale curdo, Falah Mustapha: responsabile delle operazioni militari turche è il governo americano, senza la cui approvazione la Turchia non avrebbe potuto violare il territorio iracheno.
– L’inviato turco discuterà la questione con i rappresentanti curdi, il presidente Talabani e il ministro Esteri Hoshiar Sebari.
– L’agenzia Aswat al-Irak: l’Iran avrebbe dispiegato altre unità ai confini con l’Irak, per evitare sconfinamenti, secondo un suo portavoce. (Monde, 26.2.08) In Iran il ramo del PKK chiamato Pejak (Partito per una vita libera nel Curdistan), lancia quotidiani attacchi contro le truppe iraniane nel N-O a maggioranza curda.
– Da fonti turche: l’offensiva terminerà solo con la conquista delle basi PKK sui monti Qandil.

La maggior parte degli osservatori ritengono che il PKK non potrà essere sconfitto del tutto fino a che non verrà disinnescata la “bomba sociale” nell’area turca a prevalenza curda del S-E priva di prospettive economiche e soggetta alla repressione dello Stato turco.

[1] Accordo Sykes-Picot – Wikipedia
 Zone di influenza e controllo francese e britannico stabilite dal Patto Sykes-Picot:
Il Patto Sykes-Picot(-Sazanov) [1] del 1916 fu un accordo tra I governi di Francia e GB, con il consenso della Russia, per definire le rispettive sfere di influenza e di controllo in Asia Occidentale, dopo l’atteso crollo dell’impero ottoman durante la Prima Guerra Mondiale. La GB si riservò l’area che verrà chiamata Transgiordania, la Francia doveva ricevere l’Irak (senza Mosul e il suo distretto), la Siria e la Cilicia. La Russia riceeveva Costantinopoli e i vilayets armeni ottomani.
L’accordo venne negoziato nel luglio 1915 dal diplomatico francese François Georges-Picot e dal britannico Mark Sykes. Alla GB venne assegnato il controllo di aree che comprendevano all’incirca Giordania, Irak ed una piccola aerea attorno ad Haifa, per avere l’accesso al un porto del Mediterraneo. Alla Francia venne assegnato il S-E Turchia, il Nord Irak, Siria e Libano. Le potenze potevano decidere le linee di confine statale all’interno di queste aree.
La zona che successivamente venne riconosciuta come Palestina doveva essere destinata ad un’ amministrazione internazionale coinvolgente la Russia e altre potenze.
L’accordo
16 maggio 1916
I governi francese e britannico concordano:
Uno
Che Francia e Gran Bretagna sono pronti a riconoscere e proteggere uno Stato arabo indipendente o una confederazione di Stati arabi sotto la sovranità di un capo arabo. Che nell’area A la Francia e nell’area B la Gran Bretagna avranno la preminenza su diritti d’impresa e sui prestiti locali. Che nell’area A solo la Francia e nell’area B solo la Gran Bretagna potranno fornire consiglieri o funzionari stranieri in caso di richiesta da parte di uno Stato arabo o di una confederazione di Stati arabi.
Due
Che nella zona blu alla Francia e nella zona rossa alla Gran Bretagna verrà permesso di istituire un controllo o un’amministrazione diretta od indiretta a loro piacimento e a seconda se ciò possa armonizzarsi con uno Stato arabo o una confederazione di Stati arabi
Tre
Che nella zona marrone potrà essere istituita un’amministrazione internazionale la cui forma dovrà essere decisa dopo essersi consultati con la Russia ed in seguito con gli altri alleati ed i rappresentanti dello sceriffo della Mecca.
Quattro
Che alla Gran Bretagna verranno concessi i porti di Haifa e San Giovanni d’Acri e garantito lo sfruttamento delle acque dei fiumi Tigri ed Eufrate; per l’area B da parte sua il governo di Sua Maestà si impegna a non aprire negoziati per la cessione di Cipro a favore di potenze terze senza il previo consenso del governo francese
Cinque
Che Alessandretta sarà un porto aperto nei confronti dei commerci dell’impero britannico e che non ci saranno discriminazioni a proposito di tasse portuali o strutture nei confronti di navi o merci britanniche; che ci sarà libertà di transito per le merci britanniche attraverso Alessandretta e su ferrovia attraverso la zona blu o tra l’area B e l’area A; e che non ci sarà alcuna discriminazione diretta od indiretta contro le merci britanniche sulle ferrovie o contro le merci e le navi britanniche in qualunque porto delle aree suddette. Che Haifa sarà un porto aperto nei confronti dei commerci della Francia, i suoi dominion e protettorati, e non ci saranno discriminazioni a proposito di tasse portuali o strutturi nei confronti delle navi o delle merci francesi. Che ci sarà libertà di transito per le merci francesi attraverso Haifa e su ferrovia attraverso la zona marrone qualora tali merci siano destinate o provengano dalla zona blu, dall’area A o dalla area B e non ci sarà alcuna discriminazione diretta od indiretta contro le merci francesi sulle ferrovie o contro le merci e le navi francesi in qualunque porto delle zone suddette.
Sei
Che nell’area A la ferrovia di Baghdad non verrà estesa verso sud oltre Mossul e nell’area B verso nord non oltre Samara fino al completamento della ferrovia che collega Baghdad ed Aleppo passando per la valle dell’Eufrate e successivamente previo accordo dei due governi.
Sette
Che la Gran Bretagna ha il diritto di costruire, amministrare ed essere la sola proprietaria di una ferrovia che colleghi Haifa con l’area B e che ha il diritto di trasportare truppe lungo questa linea in ogni momento. I due governi concordano sul fatto che lo scopo di questa ferrovia è di facilitare il collegamento ferroviario tra Baghdad e Haifa e concordano inoltre che, nel caso in cui problemi tecnici o le spese che si dovrebbero sostenere per realizzare questa linea di collegamento attraverso la sola zona marrone possano rendere impraticabile questo progetto, il governo francese dovrebbe essere pronto a considerare che la linea in questione potrebbe attraversare anche Polgon, Banias, Keis Marib, Salkhad e Otsda Mesmie prima di raggiungere l’area B.
Otto
Per un periodo di venti anni l’esistente tariffa doganale turca rimarrà in vigore nelle zone blu e rosse e anche nelle aree A e B e nessuna tariffa verrà aumentata né ci sarà una conversione da una tassa ad valorem a tariffe specifiche senza previo accordo tra le due potenze. Non ci saranno barriere doganali interne tra le suddette aree. Le tasse sulle merci destinati verso l’interno verranno riscosse al porto d’entrata e consegnate all’amministrazione dell’area di destinazione.
Nove
Il governo francese non parteciperà mai a negoziati per la cessione dei suoi diritti e non cederà tali diritti sulla zona blu a qualunque potenza terza, tranne lo Stato arabo o la confederazione di Stati arabi, senza il previo consenso del governo di ua Maestà che, da parte sua, si impegna allo stesso modo nei confronti del governo francese a proposito della zona rossa.
Dieci
I governi britannico e francese, in qualità di protettori dello Stato arabo concordano che non acquisiranno e non consentiranno ad una potenza terza di acquisire possedimenti territoriali nella penisola arabica né consentiranno ad una potenza terza di installare una base navale sulla costa orientale o sulle isole del Mar Rosso. Ciò, tuttavia, non impedisce eventuali ritocchi della frontiera di Aden che si potrebbero rendere necessari come conseguenza dell’aggressione turca.
Undici
I negoziati con gli arabi a proposito dei confini dello Stato arabo continueranno a seguire gli stessi canali di sempre da parte delle due potenze
Dodici
Alcune misure per controllare l’importazione di armi all’interno dei territori arabi devono essere analizzate dai due governi.
Ho quindi l’onore di affermare che, al fine di completare questo accordo, il governo di Sua Maestà proporrà al governo russo un scambio di note analogo a quello scambiate tra quest’ultimo ed il governo di Vostra Eccellenza il 26 aprile scorso.
Alcune copie di queste note verranno inviate a Vostra Eccellenza al più presto.
Mi permetto inoltre di ricordare a Vostra Eccellenza che la conclusione di questo accordo solleva, per considerazioni pratiche, la questione delle rivendicazione dell’Italia a partecipare alla spartizione o alla risistemazione della Turchia in Asia così come risulta dall’articolo 9 dell’accordo del 26 aprile tra l’Italia e gli alleati.
Il governo di Sua Maestà crede che il governo giapponese dovrebbe essere informato dell’accordo appena concluso.
Die Welt          080226
26. Februar 2008, 17:03 Uhr
Von Boris Kalnoky
Kampf gegen PKK – Irak fordert sofortigen Rückzug der Türkei
Die türkische Offensive gegen Kämpfer der kurdischen PKK im Nordirak stößt auf heftige Kritik der Regierung in Bagdad. Die türkische Regierung will sich aber nicht auf einen Zeitplan für das Ende der Operationen festlegen. Zugleich bietet sie der kurdischen Bevölkerung Reformen an.
–   Die türkische Bodenoffensive im Nordirak gegen die international als Terrorgruppe betrachtete PKK dauert unvermindert an. Nach anfänglich zurückhaltenden Reaktionen der irakischen und kurdischen Behörden eskalierten am fünften Tag der Kämpfe jedoch die politischen Spannungen. Erstmals forderte der Irak von der Regierung in Ankara einen Abzug ihrer Truppen. Das Parlament in Bagdad rief die Türkei auf, ihre Soldaten so schnell wie möglich aus dem Nordirak abzuziehen. Parlamentspräsident Mahmud al-Maschhadani sagte nach Angaben der Agentur Aswat al-Irak: „Mit großer Sorge beobachten wir, wie die Infrastruktur im Norden zerstört wird.“
Der türkische Ministerpräsident Recep Tayyip Erdogan will am Mittwoch seinen Berater Ahmet Davutoglu zu Gesprächen nach Bagdad entsenden. Die irakische Regierung teilte mit, Davutoglu werde die Lage in Bagdad auch mit kurdischen Politikern erörtern, darunter Staatspräsident Dschalal Talabani und Außenminister Hoschiar Sebari.
–   Sprecher der kurdischen Regionalregierung sagten derweil, türkische Truppen stünden bereits 25 Kilometer tief auf irakischem Staatsgebiet. Der türkische Generalstab erklärte, dass „die Terroristen in Panik nach Süden fliehen“. Es werde nun von örtlichen kurdischen Gruppen erwartet, dass sie die PKK-Kämpfer abfangen und unschädlich machen. Mit „örtlichen kurdischen Gruppen“ waren wohl die Regionalbehörden gemeint, denen das Militär offenbar nicht die Ehre einer anerkennenderen Anrede angedeihen lassen wollte.
Besagte Behörden haben bislang nicht in die Kämpfe eingegriffen, drohten aber gestern mit Widerstand, falls das türkische Militär seine Operationen ausweite. Die Agentur Aswat al-Irak berichtete zudem, der Iran habe zusätzliche Einheiten an die Grenze zum Irak verlegt. Ein iranischer Sprecher habe erklärt, damit sollten Grenzverletzungen verhindert werden.
Vorstoß bis in Kandil-Gebirge?
–   Ministerpräsident Erdogan kündigte wirtschaftliche und soziale Maßnahmen zu Verbesserung der Lebensverhältnisse im kurdisch bevölkerten Südosten der Türkei an. Er reagierte damit anscheinend auf Warnungen der Vereinigten Staaten, eine Lösung der Kurdenfrage könne nicht nur mit militärischen Mitteln erfolgen. Erdogan sagte außerdem, im Rahmen der gemeinsamen Zugehörigkeit zum türkischen Staat könne über alle Probleme und Forderungen der Kurden gesprochen werden.
Parallel zu diesen Versprechungen sagte Regierungssprecher Cemil Cicek, es gebe keinen Zeitplan für einen türkischen Rückzug, sondern Ziele, die man erreichen wolle – nämlich, nie wieder vom Nordirak aus angegriffen zu werden. Das US-Militär teilte mit, es sähe keine Anzeichen für eine Verlangsamung der türkischen Operationen. In türkischen Medien äußerten Militärexperten die Vermutung, die Angriffe würden erst mit der Eroberung der PKK-Stützpunkte im Kandil-Gebirge enden.
–   Die PKK, die damit vor einer militärischen Katastrophe stünde, stritt türkische Angaben ab, wonach seit Beginn der Offensive bereits 153 ihrer Kämpfer getötet worden seien. Insgesamt soll die PKK über 4000 Mann verfügen. Im Laufe des vergangenen Jahres gab das türkische Militär an, bei verschiedenen Operationen mehr als 500 PKK-Angehörige getötet zu haben. Nach türkischen Angaben fielen bei den jetzigen Kämpfen bislang 17 Soldaten der eigenen Armee, die PKK behauptet hingegen, sie habe mehr als 80 Türken in Uniform getötet.
PKK warnt vor "Tausenden" toten Soldaten
Die PKK rief schon am Freitag die Kurden in den Städten der Türkei zum Aufstand auf. Zu sehen war davon bislang wenig. Lediglich vier Autos wurden in Istanbul in Brand gesteckt. Die geringe Reaktion ist umso bemerkenswerter, als es noch vor wenigen Monaten Dutzende Brandanschläge auf Autos in Istanbul gab. Auch die oft geäußerte Drohung der PKK, sie verfüge über mehr als 800 Selbstmordattentäter auf türkischem Boden, führte bislang nicht zu tatsächlichen Anschlägen. Vor der Offensive hatte die PKK gedroht, sie verwende „kaum zehn Prozent unseres militärischen Potenzials“, die Türkei solle sich daher vor einem Angriff hüten, bei dem „Tausende Soldaten sterben“ würden.
–   Theoretisch ist die Entfachung eines Bürgerkrieges in der Türkei ein denkbares Szenario, Millionen von Kurden leben im Herzen der türkischen Metropolen. Die allermeisten von ihnen haben jedoch wenig Sympathie für die PKK und andere Anliegen als ihre Existenz zu riskieren, um abstrakte Rechte einzufordern. Sie wollen arbeiten und Geld verdienen. Anders ist es im bitterarmen Südosten, wo besonders die kurdische Jugend ohne wirtschaftliche Perspektiven dasteht und der Repression des Staates direkter ausgeliefert ist. Solange diese soziale Zeitbombe nicht entschärft ist, wird die Regierung nach Meinung der meisten Beobachter auch die PKK nicht auf Dauer niederringen können. Mit dpa
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Die Welt          080224
23. Februar 2008, 17:17 Uhr
Offensive im Nordirak
PKK kündigt Attacken auf türkische Städte an
Mit ihrem Feldzug im Irak gegen die verbotene Arbeiterpartei Kurdistans (PKK) zwingt die türkische Armee die kurdischen Rebellen zu einer neuen Taktik. Mit Guerilla-Angriffen in der Türkei will die PKK antworten. Ankara setzt die Offensive allerdings unbeirrt fort. Mehr als 80 Menschen sind bislang gestorben.
Nach dem Einmarsch der türkischen Armee in den Nordirak hat die verbotene Arbeiterpartei Kurdistans (PKK) mit Angriffen in türkischen Städten gedroht. Sollte Ankara seine Offensive gegen "Kurdistan" fortsetzen, werde die PKK "Guerilla"-Aktionen in türkischen Städten ausführen und damit den Schauplatz der Kämpfe ins Innere der Türkei verlegen, sagte PKK-Sprecher Ahmad Danis.
Die türkische Armee setzte ihre Angriffe im Nordirak gegen mutmaßliche PKK-Stellungen fort. Die kurdische Regionalregierung im Irak verurteilte die Offensive und machte die USA dafür verantwortlich.
Die türkische Armee war am Donnerstagabend in das Nachbarland einmarschiert, um dort gegen PKK-Stützpunkte vorzugehen. Die Truppen setzten ihre Offensive nach örtlichen Angaben auch in der Nacht zum Samstag und im Laufe des Tages fort.
–   Bewohner der irakischen Grenzdörfer Hakurk und Sidekan berichteten von schwerem Artilleriefeuer sowie dem Einsatz von Kampfflugzeugen und Hubschraubern.
–   In der Region von Bamerni war demnach bis Mitternacht der Einschlag von Artilleriegeschützen zu hören. Am Morgen bombardierten die Streitkräfte nach Angaben kurdischer Grenzposten mehrere Gebiete im Umkreis der Stadt El Amadija rund zehn Kilometer südlich der türkisch-irakischen Grenze.
Bis Samstag kamen bei den Gefechten nach Angaben des türkischen Generalstabs bereits mindestens 79 PKK-Rebellen sowie sieben türkische Soldaten ums Leben. Die PKK bestätigte die Verluste zunächst nicht.
Türkische Regierung spricht von Erfolg der Operation
–   Der türkische Außenminister Ali Babacan bezeichnete die Offensive als "Erfolg" und wiederholte die Zusicherung von Regierungschef Recep Tayyip Erdogan vom Freitag, Ziel sei allein die "terroristische Organisation" PKK. Ankara sei der größte Unterstützer der territorialen Integrität und politischen Einheit des Irak, sagte Babacan weiter.
–   Ein Sprecher der kurdischen Regionalregierung im irakischen Erbil, Falah Mustapha, sagte der Nachrichtenagentur AFP, die US-Regierung trage die Verantwortung für die türkischen Militäraktionen, "denn ohne ihr Einverständnis wäre es der Türkei nicht möglich gewesen, die Boden- und Lufthoheit des Irak zu verletzen".
–   Washington war nach eigenen Angaben vorab über den Einmarsch informiert. Der Sprecher unterstrich außerdem, dass die Regionalregierung die PKK auf keine Weise unterstütze und eine Serie von Maßnahmen ergriffen habe, um deren Aktivitäten in der Region einzuschränken.
Ankara wirft der autonomen Kurdenregierung im Nordirak vor, nicht entschieden genug gegen die PKK-Rebellen vorzugehen, welche die Grenzregion als Rückzugsgebiet für ihren Kampf gegen die türkische Regierung nutzen. Ankara vermutet rund 4000 PKK-Kämpfer im Nachbarland. Dem Konflikt fielen seit 1984 bereits mehr als 37.000 Menschen zum Opfer. Die Türkei, die EU und die USA stufen die PKK als terroristische Vereinigung ein.
Durch die Explosion einer mutmaßlich von der PKK gelegten Landmine in der Provinz Bingöl im Südosten der Türkei – weit von der irakischen Grenze entfernt – kam am Samstag ein Soldat ums Leben, wie die Nachrichtenagentur Anadolu berichtete.
AFP/AP/FSL
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Faz      080225
Kampf gegen die PKK – Die drei Motive Ankaras
Von Rainer Hermann
Bodenoffensive in Tarnuniform
25. Februar 2008
–   Seit der Nacht zum Freitag dauert die Bodenoffensive der türkischen Armee im Nordirak an. Sie werde zeitlich begrenzt und auf die grenznahe Region beschränkt bleiben, heißt es aus Ankara. Dort will die Armee nach eigenen Angaben ausschließlich die kurdische Separatistenorganisation PKK bekämpfen.
–   Die offizielle Erklärung des Generalstabs gibt indes nur einen Teil der wirklichen Motive wieder. In den kurdischen Bergen liegt so viel Schnee, dass dort erst nach dem Ende des Winters wieder mit anhaltendem Erfolg gekämpft werden kann. Zwar zeigen Fernsehbilder in weiße Tarnuniformen gekleidete türkische Soldaten. Sonst bewegen sich die zwei türkischen Brigaden aber überwiegend entlang der geräumten Straßen.
Rückführung der Araber beenden
Auch während dieser Offensive bombardieren türkische Kampfflugzeuge wieder zwei PKK-Stellungen aus der Luft und setzen damit die Offensive fort, die Anfang Dezember begonnen hatte. Auf dem Boden stoßen die Soldaten aber nicht nur auf PKK-Kämpfer, sondern auch auf die Peschmerga, die offiziellen Milizen der nordirakischen Kurden, und natürlich auf die Zivilbevölkerung: Weshalb zog also die türkische Armee die vor April erwartete Bodenoffensive in den Winter vor?
–   Hinter der offiziellen Begründung verbergen sich drei Motive. So hatte das Kosovo kurz vor Beginn der Offensive seine Unabhängigkeit ausgerufen. Zudem begannen die Kämpfe, während die türkische Regierung sich gleichzeitig daranmachte, sich gegenüber den nordirakischen Kurden zu öffnen.
–   Eine Rolle spielt ferner die anhaltende Auseinandersetzung zwischen Regierung und Armee.
Seit der Unabhängigkeitserklärung des Kosovos ist in vielen Staaten die Sorge gewachsen, die dort lebenden Minderheiten könnten es den Kosovaren gleichtun. Möglicherweise hat die türkische Armee daher ihre geplante Bodenoffensive vorgezogen, um die nordirakischen Kurden damit dazu zu bewegen, Teil des föderalen Iraks zu bleiben.
Beunruhigt ist Ankara ferner darüber, dass die Stadt Kirkuk, die außerhalb der Reichweite der türkischen Armee liegt, der Region Irakisch-Kurdistan zugeschlagen werden könnte, obwohl die irakischen Kurden dort mit dieser Forderung auf zunehmenden Widerstand stoßen: Zwölf sunnitische und schiitische Parteien fanden sich mit dem Ziel zusammen, aus der Verfassung den Artikel 140 zu streichen, der ein Referendum über die Zukunft Kirkuks vorsieht. Ebenso sprechen sie sich dafür aus, die Rückführung der Araber zu beenden, die Saddam Hussein in Kirkuk angesiedelt hatte. Damit nimmt der Zusammenhalt der Allianz zwischen Schiiten und Kurden ab.
EU-Beitritt: Türkei tritt auf der Stelle
–   In Ankara zeichnet sich zudem seit Monaten ab, dass die Regierung Erdogan bessere Beziehungen zu den nordirakischen Kurden aufnehmen will, die Armee sich jedoch dagegen sträubt. Nun hätten sich Regierung und Armee darauf verständigt, dass die Türkei erst mit einer Bodenoffensive ihre Entschlossenheit im Kampf gegen die PKK demonstriere, heißt es. Offenbar ist die Armeeführung der Überzeugung, dass ihre Glaubwürdigkeit im Kampf gegen die PKK gelitten habe. Danach könne die Regierung die Beziehungen zum Irak und auch zu den irakischen Kurden normalisieren. Seit längerem gibt es Pläne, den irakischen Staatspräsidenten Talabani, einen Kurden, nach Ankara einzuladen. Hingegen wird der Präsident der autonomen Region Irakisch-Kurdistan, Barzani, weiter auf eine Einladung nach Ankara warten müssen.
Erschwerte Bedingungen: Noch liegt Schnee in den kurdischen Bergen
Da die kurdische Frage jetzt wieder die politische Tagesordnung beherrscht, erwartet man in Ankara, dass die anstehenden Reformen und die Debatte über eine neue Verfassung weiter nicht vorankommen. Damit hätten die Armee und das kemalistische Establishment das Heft des Handelns wieder in der Hand. Seit vergangenem September liegt der von einer Expertenkommission erarbeitete Entwurf einer neuen Verfassung vor, die mehr Freiheiten bringen soll. Solange Fragen der „alten“ Türkei, die beispielsweise von ihrer kurdischen Bevölkerung eine völlige Assimilation fordert, aber die Diskussionen bestimmen, tritt die Türkei in ihren Bemühungen um einen EU-Beitritt auf der Stelle.
–   Erreicht hat die Armee in ihrem Abnutzungskrieg gegen die Regierung Erdogan zudem, dass die von ihm geführte AKP – vor die Alternative gestellt, entweder türkische Stimmen zu verlieren oder kurdische – nahezu alle Sympathien bei den Kurden eingebüßt hat. Ohne die 80 Abgeordneten aus dem kurdischen Südosten der Türkei würde die AKP, die 340 Abgeordnete stellt, im Parlament aber ihre absolute Mehrheit verlieren.
Ambivalente Haltung Syriens
–   Immer noch gibt es keine offizielle Stellungnahme Syriens zur jüngsten Militäraktion. Diese Zurückhaltung mag zwar damit zusammenhängen, dass sich die Beziehungen zwischen Ankara und Damaskus in den vergangenen Jahren erheblich verbessert haben. Syrische Gesprächspartner geben indes die ambivalente Haltung Syriens zu den Entwicklungen im Irak wieder. Zum einen kritisiert man in Syrien die Verletzung der territorialen Integrität des Iraks durch die Türkei. Zum anderen zeigen sie Verständnis für die Furcht der Türkei, dass der Irak geteilt und ein kurdischer Staat gegründet werden könnte. Dazu macht das Wort von „Sykes-Picot II“ die Runde. 1916 hatten sich England und Frankreich im geheimen Sykes-Picot-Abkommen auf die Aufteilung des Nahen Ostens sowie auf den Grenzverlauf geeinigt.
–   Zudem schließen Iraker nicht aus, dass türkische Nationalisten weiter danach streben, die irakische Provinz Mossul, in der auch die irakischen Kurden wohnen, in ihr Staatsgebiet einzuverleiben. Bei der Gründung der Republik Türkei war umstritten, ob die Provinz den Türken zugeschlagen werden soll oder dem neuen britischen Mandatsgebiet Irak.
–   In den Friedensverhandlungen von Lausanne Anfang 1923 hatte Ismet Inönü, der Vertraute Atatürks, den Auftrag, Mossul für die Türkei zu sichern. Grundlage war die Karte des „Nationalpakts“ (Misak-i Milli), die das letzte osmanische Parlament 1920 entworfen hatte und die heute noch das Denken vieler türkischer Nationalisten bestimmt.
–   Die Konferenz von Lausanne hielt die Mossul-Frage „offen“. Der Völkerbund schlug im Dezember 1925 die nördlichste der heutigen drei Provinzen des Iraks dem britischen Mandatsgebiet zu. Zwei Jahre später fand die „Iraq Petroleum Company“ nahe Kirkuk das erwartet ergiebige Ölfeld.

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