+ Faz 080204, Afghanistan – Attenti a sinistra! Eckart Lohse
● La Germania sta cercando di rafforzare la propria posizione rispetto agli USA sfruttando la contingenza politica:
o 1. Cambio di governo negli USA;
o 2. Prospettiva di una sconfitta americana in Irak dove, pur essendo significativamente migliorata la situazione della sicurezza dopo l’offensiva americana 2007, non è prevedibile una durevole stabilizzazione del paese, senza una correzione di linea da parte USA [?].
● Il governo tedesco ha preparato tutte le premesse per affrontare in Afghanistan ad affrontare l’escalation militare prevista;
● Ciò che è ora in discussione (se rafforzare solo la presenza militare al Nord con il contingente di intervento rapido già ormai deciso, o inviare anche al Sud soldati tedeschi aggiuntivi) è solo una questione di opportunità per la sua politica di potenza.
o Al Sud gli scontri armati sono più numerosi,
o Le truppe tedesche al Sud sarebbero direttamente sotto il comando USA,
o mentre al Nord le forze di intervento rapido vanno a rafforzare l’occupazione tedesca nell’area assegnata alla Germania.
– Il parlamento tedesco ha approvato nel novembre 2007 il bilancio per la Difesa 2008, €29,5Md, + €1Md rispetto al 2007.
– Approvato anche l’acquisto di oltre 400 carri armati Puma, per quasi €Md., costruiti come il veicolo trasporto soldati Dingo 2 – anch’esso nella lista della spesa militare tedesca – da Krauss-Maffei Wegmann.
– Il gruppo Rheinmetall ha fornito veicoli sanitari speciali per la guerra, ed ora sta sviluppando un sistema di difesa aereo per €50mn.
● La Merkel è tornata a far dipendere anche la politica estera dagli umori degli elettori,
● In seguito alla sconfitta del suo partito nelle elezioni regionali in Assia [seconda maggiore regione economica della Germania dopo la Ruhr].
● In vista delle elezioni per il rinnovo del Bundestag del 2009, la Merkel ha improvvisamente e molto rapidamente detto NO alla richiesta americana di un rafforzamento dell’impegno tedesco in Afghanistan:
o La Merkel cerca di prevenire la SPD nell’utilizzo del pacifismo come arma elettorale, in un’operazione analoga a quella dell’ex cancelliere SPD Schröder prima delle elezioni del 2003,
● La situazione in Afghanistan non potrà che peggiorare, e causare un crescendo di vittime tra i soldati tedeschi, fra alcuni mesi potrebbe essere troppo tardi per una virata pacifista.
– Il cancelliere Helmut Kohl si era attenuto al principio di non inseguire gli umori popolari, con i suo secondo mandato aprì la strada alla partecipazione tedesca alla guerra NATO in Kosovo;
– Schröder in una prima fase fu fedele a questo principio, partecipò alla guerra nei Balcani e a quella in Afghanistan, con la parola d’ordine della “solidarietà illimitata”;
– Un anno dopo inscenò una campagna elettorale anti-americana con il NO alla guerra irachena.
– La Merkel alla sua elezione spostò in modo evidente l’asse delle alleanze verso gli USA,
– È solo da pochi giorni che assieme al suo ministro della Difesa Jung ha espresso un NO deciso e veloce alle richieste americane.
Missione Afghanistan – Berlino respinge la richiesta degli americani
● Divisione nel governo tedesco sulle richieste Nato e USA per maggior impegno tedesco in Afghanistan;
o Dopo il sì di un sottosegretario CDU alla Difesa, Thomas Kossendy,
o i ministri della Difesa (CDU), Jung, e quello degli Esteri (SPD), Steinmeier, hanno respinto le richieste USA e di altri paesi Nato (Canada) di inviare altri 250 soldati, come forze d’intervento rapido in sostituzione dei 350 norvegesi, di allargando la missione militare tedesca in Afghanistan anche al Sud:
● Jung: Il centro dell’intervento tedesco deve rimanere il Nord, dove per il futuro è prevedibile aumentino le tensioni. «Nel quadro Nato abbiamo concordato una chiara ripartizione regionale», la Germania è responsabile del comando del Nord.
● «Se gli alleati ne avessero bisogno, daremo loro il nostro appoggio a tempo determinato, come previsto dal mandato del Bundestag».
● La Germania dispiega il terzo maggior contingente in Afghanistan.
● Steinmeier: la Germania ha già rafforzato ed ampliato il proprio impegno civile e militare.
Nello scorso ottobre il parlamento tedesco ha rinnovato il mandato per la missione militare, prevedendo che sono in casi eccezionali i soldati tedeschi forniranno un aiuto di emergenza agli alleati. Il numero massimo di soldati previsto è di 3500, in servizio ce ne sono ora 3200.
– «I tornado (tedeschi) fanno ricognizione non solo nel Nord, ma ovviamente anche nel Sud e nell’Ovest». Il trasporto aero tedesco, tramite aerei Transall, serve anche il Sud. La Germania precede anche triplicare l’addestramento delle forze afghane; intende anche ampliare il proprio impegno nella ricostruzione nel Nord.
– Il ministro Difesa americano Gates, in una lettera al governo tedesco chiede partecipi alle operazioni militari nel Sud Afghanistan e di prendere in considerazione un nuovo mandato per un maggior numero di soldati.
– Senatori americani democratici e repubblicani chiedono un maggior impegno per l’Afghanistan, anziché per l’Irak.
– Il Canada ha chiesto agli alleati Nato altri 1000 soldati, e nuovi elicotteri da guerra, minacciando in caso contrario il ritiro delle sue truppe; il Canada ha 2500 soldati nella provincia di Kandahar.
● la Germania approfitta dell’estendersi della ribellione nel N-O Pakistan, per affermare anche militarmente, con nuovi progetti di polizia, la propria presenza nell’area di confine tra Afghanistan e Pakistan,
dove i capi clan hanno il controllo de facto di parti della Provincia di Frontiera del N-O e soprattutto nelle Aree Tribali Federali, mentre il governo centrale è presente solo sulla carta;
– l’obiettivo dichiarato è quello di contenere i disordini che potrebbero far cadere il governo pakistano filo-occidentale.
– La regione continua ad essere contesa tra Pakistan ed Afghanistan, con quest’ultimo che non riconosce i confini stabiliti nel 1893 (negli anni 1950 ci fu il rischio di un conflitto armato).
– I progetti di polizia rientrano in un’iniziativa annunciata dalla Germania al G8 del 2007, comprendente anche la chiusura dei campi profughi in Pakistan e il rimpatrio dei profughi nelle aree afghane in guerra,
o su richiesta del Pakistan, secondo cui i ribelli riceverebbero un forte sostegno da parte degli oltre 2 mn. di profughi afghani.
o Nel 2006 ne sono stati già deportati centinaia di migliaia da Pakistan e Iran, in aree desertiche del S-E Afghanistan.
– L’escalation militare nel N-O Pakistan ha consentito ad un gruppo di 200 ribelli la scorsa settimana di conquistare per la prima volta una base militare pachistana nel Sud-Waziristan.
– Gli USA stanno considerando un intervento militare in territorio pachistano (senza renderlo ufficiale).
– Finora Berlino era presente nell’area di confine Afghanistan-Pakistan con progetti di “aiuti allo sviluppo”, avviati dopo l’11.9.2003 e in occasione del terremoto del 2005.
– Presenti anche le fondazioni vicine ai tre maggiori partiti tedeschi, che in Pakistan rappresentano importanti pilastri della politica estera tedesca:
o La Hanns-Seidel (CSU), la Friedrich-Ebert(SPD), la Heinrich-Böll (Verdi).
– Il centro di addestramento tedesco per le guardie di confine si trova in Afghanistan, dato che gli USA riservano per sé l’accesso agli organismi di repressione pachistani;
– Gli USA da due anni fanno però partecipare la Germania al progetto congiunto di addestramento di ufficiali afghani e pakistani nel Centro George Marshall, nel Sud Germania.
● È solo una questione di tempo: l’escalation del conflitto porterà sempre più vittime di cittadini tedeschi tra i soldati, i poliziotti e i collaboratori delle cosiddette ONG.
KABUL/BERLIN (Eigener Bericht) –
– Politische Machtkämpfe zwischen Berlin und Washington führen zu ersten Spekulationen hochrangiger Militärs über einen Rückzug der westlichen Besatzungstruppen aus Afghanistan. Die NATO müsse "auch darüber nachdenken, sich ganz aus Afghanistan zurückzuziehen", zitiert die deutsche Presse einen ehemaligen Leiter des Planungsstabes im Verteidigungsministerium, Vizeadmiral a.D. Ulrich Weisser.
– Anlass für die Forderung sind anhaltende Streitigkeiten zwischen den beiden wichtigsten Mächten des westlichen Kriegsbündnisses über Einsatzstrategien und die Stellung von Truppenkontingenten. In den kommenden Tagen werden die Auseinandersetzungen beim Treffen der NATO-Verteidigungsminister in Vilnius (7./8. Februar) und bei der Münchner Sicherheitskonferenz (9./10. Februar) fortgeführt.
– Während Berlin sich weiterhin weigert, deutsche Einheiten in Südafghanistan unter US-Kommando kämpfen zu lassen, steht die Entsendung einer Schnellen Eingreiftruppe in die deutsche Besatzungszone im Norden des Landes bevor. Die Bundesregierung hat die Voraussetzungen für eine verschärfte Kriegführung längst geschaffen: Der aktuelle Verteidigungsetat übersteigt den Vorjahreshaushalt um über eine Milliarde Euro. Die neuen Mittel kommen auch neuen Waffensystemen für künftige Kampfeinsätze zugute.
Anlass für die Rückzugsspekulationen von Vizeadmiral a.D. Ulrich Weisser sind anhaltende Streitigkeiten zwischen Berlin und Washington über Einsatzstrategien und über die Stellung von Truppenkontingenten für den Krieg in Afghanistan. Die Auseinandersetzungen haben sich vergangene Woche erneut zugespitzt, weil US-Verteidigungsminister Robert Gates in einem Brief offen die Entsendung deutscher Einheiten in den afghanischen Süden gefordert hat.
– Die Vereinigten Staaten, aber auch Kanada, dessen Armee am Hindukusch herbe Verluste erleidet, sind mit der militärischen Aufgabenverteilung nicht mehr einverstanden; diese bevorzugt die Bundeswehr, die in relativ kampfarmen Gebieten im Norden des Landes steht, während der Blutzoll des Krieges vor allem von angloamerikanischen Einheiten im Süden gezahlt wird.
– Berlin ist nach wie vor nicht bereit, deutsche Verbände in größerem Umfang nach Südafghanistan zu schicken, und entsendet stattdessen eine Schnelle Eingreiftruppe in die deutsche Besatzungszone. Die kanadische Regierung zieht nun wegen der ungleichen Lastenverteilung einen Abzug ihrer Truppen in Betracht.
"Wenn die Kanadier ihre Ankündigung wahrmachen und sich komplett aus Afghanistan zurückziehen, kann das das Ende der Nato-Operation bedeuten", zitiert die deutsche Presse Ulrich Weisser, der ausdrücklich über einen möglichen Rückzug spekuliert.[1] Zwar setzt die Äußerung des ehemaligen Chefs des Planungsstabes im Verteidigungsministerium (1992-1998) vor allem die Bundesregierung unter Druck, die eine Niederlage in Afghanistan um jeden Preis vermeiden will; ein Truppenabzug wäre ein schwerer Schlag für die deutsche Weltmachtpolitik und kommt für Berlin derzeit nicht in Betracht.
● Dennoch zieht jetzt zum ersten Mal ein Angehöriger der militärpolitischen Führungszirkel in der deutschen Hauptstadt öffentlich einen Rückzug als realistische Handlungsoption in Erwägung.
– Hintergrund der deutsch-amerikanischen Auseinandersetzungen sind nicht nur Differenzen über die angemessenen Einsatzstrategien. So hält Berlin durchaus umfangreichere nichtmilitärische Maßnahmen für notwendig und hat sich dies kürzlich vom afghanischen Präsidenten Hamid Karzai bestätigen lassen: "Mehr als alles andere brauchen wir Hilfe beim Aufbau unseres Humankapitals und unserer Institutionen", sagte Karzai der deutschen Presse.[2] Dieser Ansicht, die auch öffentlichen Bekundungen deutscher Politiker entspricht, trägt die Bundesregierung in der Praxis jedoch bislang nicht Rechnung.
– So übertreffen die deutschen Ausgaben für den Bundeswehreinsatz am Hindukusch die zivilen Hilfsgelder um ein Vielfaches. Der Aufbau der afghanischen Polizei verlief, solange Berlin die Führung innehatte, so schleppend, dass die Zuständigkeit schließlich der EU übertragen wurde.
"Untergehende US-Administration"
– Tatsächlich spielen machtpolitische Erwägungen eine wichtige Rolle bei der deutschen Weigerung, Truppen in größerem Umfang nach Südafghanistan zu verlegen. Der aktuelle Zeitpunkt gilt als günstig, die eigene Position gegenüber Washington auszubauen. Ursache ist nicht nur der nahende Regierungswechsel im Weißen Haus.
o Die Bundesrepublik dürfe sich "nicht von einer untergehenden US-Administration unter Druck setzen lassen", verlangt Winfried Nachtwei, Verteidigungsexperte von Bündnis 90/Die Grünen.[3]
– Auf der Münchner Sicherheitskonferenz am kommenden Wochenende werden deutsche Regierungspolitiker womöglich weniger mit US-Verteidigungsminister Robert Gates verhandeln als vielmehr mit dem aussichtsreichen republikanischen Präsidentschaftskandidaten John McCain, dessen Teilnahme jetzt offiziell bestätigt wurde. Nicht nur die personellen Umbrüche in Washington bieten eine günstige Gelegenheit, die deutsche Stellung gegenüber der künftigen US-Regierung zu stärken.
– Auch die Aussicht auf eine US-Niederlage im Irak stärkt Berlin in der transatlantischen Konkurrenz. Zwar habe sich die "Sicherheitslage im Irak (…) seit Beginn der jüngsten amerikanischen Offensive im Januar 2007 erheblich verbessert", erkennen Berliner Regierungsberater an: "Gleichwohl ist eine nachhaltige Stabilisierung des Irak nicht abzusehen".[4] Gelinge es den USA nicht, die notwendigen Kurskorrekturen einzuleiten, dann "könnten sich die Stabilisierungserfolge des Jahres 2007 als flüchtig erweisen und in eine neue Phase des irakischen Bürgerkriegs überleiten".
Kein Technisches Hilfswerk
– Vor diesem Hintergrund zieht die Bundesregierung die Verlegung einer Schnellen Eingreiftruppe nach Nordafghanistan der Entsendung von Kampfverbänden in den Süden vor – nicht nur wegen der geringeren zu erwartenden Blutopfer, sondern auch aus machtstrategischen Erwägungen: Im Süden stünden die deutschen Soldaten unter unmittelbarem US-Kommando, während sie im Norden die deutsche Besatzungsmacht stärken.
– Die dortige Aufstellung einer deutschen "Quick Reaction Force" ist inzwischen praktisch unter Dach und Fach. Die Bundeswehr sei kein "Technisches Hilfswerk im Fleckentarnanzug" [5], lässt sich ein hochrangiger Bundeswehr-General in der deutschen Presse zitieren. Eine nötige Voraussetzung für künftige Kampfeinsätze, zunächst im Norden Afghanistans, hat der Deutsche Bundestag im vergangenen November mit der Verabschiedung des Verteidigungshaushalts 2008 geschaffen. Die Truppe erhält in diesem Jahr rund 29,5 Milliarden Euro – über eine Milliarde mehr als noch 2007. Die Mittel kommen insbesondere der "Stärkung der Einsatzfähigkeit der Bundeswehr" zugute.
– So hat Berlin Ende 2007 nicht nur den Verteidigungsetat erhöht, sondern auch die Anschaffung von mehr als 400 neuen Schützenpanzern des Typs Puma genehmigt – für fast drei Milliarden Euro. Der Puma bietet Schutz gegen Minen und Panzerfäuste, wie sie insbesondere von Aufständischen in Afghanistan verwendet werden. Schutz gegen Minen bietet auch das gepanzerte Mehrzweckfahrzeug Dingo 2, das ebenfalls auf der Lieferliste der Bundeswehr für den Afghanistan-Einsatz steht. Puma und Dingo 2 werden von der Münchner Waffenschmiede Krauss-Maffei Wegmann hergestellt und bringen dem Konzern hohe Gewinne.
– Die Rheinmetall AG (Düsseldorf) hat soeben erst für den Krieg am Hindukusch spezielle Sanitätsfahrzeuge geliefert und entwickelt derzeit für rund 50 Millionen Euro ein Flugabwehrsystem, mit dem die Feldlager der Bundeswehr in Zukunft vor feindlichen Angriffen mit Raketen, Artilleriegeschossen und Mörsern geschützt werden sollen. Die Geräte stärken die Truppe in eskalierenden Auseinandersetzungen und schaffen damit die Voraussetzung für blutige deutsche Kampfeinsätze in Afghanistan. Ob diese im Norden oder im Süden des Landes stattfinden werden, das ist vor allem eine Frage der machtpolitischen Opportunität.
Weitere Berichte über die deutsche Afghanistan-Politik finden Sie hier: Das Echo der Tornados, Keine Chance, Den Auftrag erfüllen, Rückzugsgefechte, Zu allen Zeiten, Perspektivlos, Dilemmata der Besatzung, Leerer Raum, Fünfte Kolonne, Der Kontrolle entzogen, Todesurteil, Hoffnungslos, Der nächste Verlust, Durch den Tunnel, Stimme der Freiheit, Folterkomplizen, Koloniales Modell, Ohne Tabu, Aufstandsbekämpfung und Eine Frage der Zeit.
[1] Afghanistan-Einsatz droht Nato zu spalten; Der Tagesspiegel 03.02.2007
[2], [3] Jung sagt Nein; taz 02.02.2008
[4] Guido Steinberg: Trägt die neue Strategie im Irak?; SWP-Aktuell Nr. 9, Januar 2008
[5] Ein Nein mit Fußnote; Kölner Stadt-Anzeiger 01.02.2008
Afghanistan-Einsatz – Berlin weist Anfrage der Amerikaner ab
Das Mandat sieht derzeit im Süden nur Nothilfe vor
– Verteidigungsminister Franz Josef Jung (CDU) hat die vom amerikanischen Verteidigungsminister Robert Gates verlangte Ausweitung des deutschen Truppeneinsatzes in Afghanistan abgelehnt. „Ich bleibe bei der Auffassung, dass wir unser Mandat in Afghanistan fortsetzen und erfüllen sollten“, sagte Jung am Freitag in Berlin. Auch eine Ausweitung des Bundeswehreinsatzes im besonders umkämpften Süden Afghanistans lehnte der Minister ab. „Wenn Freunde in Not geraten, werden wir, so wie es das Bundestagsmandat vorsieht, zeitlich befristet Unterstützung leisten. Ich denke aber, dass es weiterhin bei unserem Schwerpunkt im Norden bleiben muss.“
– Zu Begründung führte Jung an, dass auch im verhältnismäßig ruhigen Norden künftig mit einer größeren Bedrohung zu rechnen sei.
– Zudem sei Deutschland schon jetzt drittstärkster Truppensteller in Afghanistan. „Wir haben innerhalb der Nato eine klare regionale Aufteilung vereinbart“, sagte Jung. Deutschland trage die Verantwortung für das Regionalkommando Nord. Dabei müsse es bleiben.
Jung: Wir tun schon viel für Afghanistan
– Erst im Herbst hatte der Bundestag das Mandat für den Bundeswehreinsatz erneuert. Es lässt im Süden des Landes lediglich in Ausnahmefällen Nothilfe für Verbündete durch deutsche Soldaten zu. Jung reagierte mit seiner kurzfristig anberaumten Pressekonferenz auf Briefe, in denen Gates Deutschland und andere Nato-Staaten dazu auffordert, mehr Truppen nach Afghanistan zu schicken und sie auch im Süden des Landes einzusetzen.
Nato bittet Bundeswehr um 250 Soldaten für Kampfeinsatz
Jung: Deutsche müssen Soldaten im Ausland mehr unterstützen
– Jung wies am Freitag nochmals auf den im Mandat eingeschlossenen Einsatz deutscher Tornados bei der Luftaufklärung hin. „Die Tornados klären nicht nur im Norden auf, sondern selbstverständlich auch im Süden und im Osten“, sagte der Minister. Die Bundeswehr habe auch den Lufttransport verstärkt, der ebenfalls bis in den Süden reiche. Zurzeit seien acht Transall-Maschinen im Einsatz. Deutschland wolle zudem die Ausbildung der afghanischen Streitkräfte verdreifachen. „Wir haben ebenfalls vor, uns beim Wiederaufbau noch weiter in die Provinzen des Nordens auszudehnen“, sagte Jung.
Steinmeier: Position mit Rice abgesprochen
– Auch Außenminister Frank-Walter Steinmeier (SPD) verteidigte das deutsche Engagement in Afghanistan in seiner bisherigen Form. In Berlin sagte Steinmeier am Freitag über Gates’ Forderung, Deutschland habe sein Engagement im zivilen und militärischen Bereich schon „akzentuiert und ausgeweitet“. Die deutsche Position in dieser Frage habe er in der vergangenen Woche mit der amerikanischen Außenministerin Condoleezza Rice besprochen.
Jung sieht den Schwerpunkt des Einsatzes nach wie vor im Norden
Regierungssprecher Ulrich Wilhelm sagte, der Brief von Gates „kam für uns überraschend“. Bislang sei das Engagement der Bundeswehr in Afghanistan ausdrücklich gewürdigt worden. Es sei anerkannt, dass die Bundeswehr dort wertvolle Arbeit leiste. Das Bundestagsmandat als Grundlage für den Afghanistan-Einsatz stehe gleichwohl „nicht zur Diskussion“.
– In seinem Brief an Berlin fordert Gates die Bundeswehr dazu auf, sich an Kampfeinsätzen im besonders gefährlichen Süden Afghanistans zu beteiligen. Zudem bittet er darum, ein neues Mandat des Bundestags in Erwägung zu ziehen, um zusätzliche Soldaten nach Afghanistan schicken zu können. Das derzeitige Mandat erlaubt 3500 Soldaten und begrenzt den Einsatz auf den Norden des Landes. Tatsächlich tun derzeit 3200 Bundeswehrsoldaten ihren Dienst in Afghanistan. (Siehe auch: Gates fordert Einsatz der Bundeswehr in Südafghanistan)
– Unterdessen haben amerikanische Senatoren beider politischen Lager die Afghanistan-Politik der Regierung Bush scharf kritisiert. Bei einer Befragung des für Afghanistan zuständigen Vize-Außenministers Richard Boucher kritisierten Mitglieder des Senatsausschusses für Außenpolitik, das Land sei wegen des Kriegs im Irak vernachlässigt worden. „Wenn wir überhaupt irgendwo Truppen verstärken sollten, dann in Afghanistan und nicht im Irak“, sagte der demokratische Ausschussvorsitzende Joseph Biden.
Auch republikanische Senatoren stellten die von der Regierung behaupteten Fortschritte in dem Land infrage und bemängelten, es fehle eine klare Strategie. „Wenn wir so viele Fortschritte machen, warum müssen wir dann 3200 zusätzliche Soldaten in das Land entsenden?“ fragte Senator Chuck Hagel bei der Anhörung am Donnerstag.
Zwei unabhängige Studien waren zuvor zu dem Schluss gekommen, dass Afghanistan derzeit wieder zum Rückzugsort für Terroristen werde. Der Westen drohe dort zu scheitern, sollten die internationalen Bemühungen, den Krieg zu gewinnen und die Wirtschaft des Landes anzukurbeln, nicht intensiviert werden. Das Atlantic Council bezeichnete Afghanistan als Konflikt, der „auf gefährliche Weise vernachlässigt“ werde.
– Boucher verteidigte Washingtons Politik. So gebe es in Afghanistan Fortschritte bei der Terrorismusbekämpfung, beim Wirtschaftswachstum, bei der Bildung und bei Regierungsreformen. Er gestand jedoch ein, dass in dem Land noch viel erreicht werden müsse.
29. Januar 2008, 11:03 Uhr
Kommt es doch zum Kampfeinsatz der Bundeswehr in Afghanistan? Die Nato hat Deutschland um die Entsendung einer Schnellen Eingreiftruppe gebeten. Eine entsprechende Anfrage aus Brüssel sei eingegangen, teilte ein Sprecher des Verteidigungsministeriums mit.
– Nach Angaben aus Nato-Kreisen in Brüssel dürfte Deutschland 240 bis 250 Soldaten entsenden. Bislang stellt Norwegen mit 350 Soldaten die Schnelle Eingreiftruppe, die im Norden Afghanistans stationiert ist.
– Der Parlamentarische Staatssekretär im Verteidigungsministerium, Thomas Kossendey (CDU), hatte in der vergangenen Woche erklärt, er rechne damit, dass die Bundeswehr der Anforderung nachkommen werde. Er wies zugleich darauf hin, dass auch für einen zusätzlichen Kampfverband der Bundeswehr in Afghanistan das Mandat gelte, das im Bundestag bereits beschlossen worden sei.
– Die bisher von Norwegen gestellte "Quick Reaction Force" unterstützt die im Norden Afghanistans eingesetzten Nato-Truppen, die die Bundeswehr führt. Deutschland soll die Eingreiftruppe im Sommer übernehmen. Sie wird bei Unruhen, Zugriffen und zum Schutz von Konvois eingesetzt.
Verteidigungsminister Franz Josef Jung traf am Dienstag zu einem Überraschungsbesuch in Afghanistan ein. In der Hauptstadt Kabul kam er unter strengen Sicherheitsvorkehrungen mit dem afghanischen Präsidenten Hamid Karsai zu Gesprächen zusammen.
Kanada droht mit Truppenabzug aus Afghanistan
– Der kanadische Premierminister Stephen Harper drohte unterdessen mit einem Truppenabzug aus Afghanistan gedroht, sollten andere Nato-Verbündete keine Soldaten zur Verstärkung schicken. Der konservative Regierungschef unterstützte damit in Ottawa einen in der vergangenen Woche veröffentlichten Bericht der sogenannten Manley-Kommission.
Das vom früheren Außenminister John Manley geleitete Gremium hatte eine Ausweitung der militärischen Mission in Afghanistan empfohlen, das kanadische Engagement aber von einer besseren Unterstützung durch die Nato-Verbündeten abhängig gemacht.
"Diese Empfehlungen (der Kommission) müssen erfüllt werden, sonst wird Kanada seine Mission in Afghanistan nicht weiterführen", sagte Harper nach einem Bericht des kanadischen Fernsehsenders CTV. Die Manley-Kommission hatte eine Verstärkung der derzeit 2500 in der Provinz Kandahar stationierten Kanadier durch 1000 Soldaten aus anderen NATO-Staaten sowie die Ausstattung mit Kampfhubschraubern gefordert.
"Kanada hat mehr getan als es versprochen hat. Jetzt brauchen wir Hilfe. Wenn die Nato nicht helfen kann, dann muss ich sagen, dass der Ruf und die Zukunft der Nato auf dem Spiel stehen", so Harper.
Seine Regierung wirbt um Unterstützung für eine Verlängerung des Afghanistan-Einsatzes. Das derzeitige Mandat der kanadischen Truppen läuft im Februar nächsten Jahres aus.
Afghanistan – Die Augen links!
Kanzlerin Merkel konzentriert alle Kräfte auf die eigene Wiederwahl
Ließe man die Deutschen über die Außenpolitik, vor allem über deren militärische Aspekte entscheiden, läge das Ergebnis vermutlich ziemlich dicht bei den Forderungen der Linkspartei. Ist die von Amerika beherrschte Nato nicht letztlich schuld daran, dass deutsche Soldaten ihr Leben in Afghanistan riskieren und verlieren?
– Wären die Steuermillionen, die für den Versuch deutscher Marine-Soldaten ausgegeben werden, die Wege des Terrorismus am Horn von Afrika zu durchkreuzen, nicht besser in einer Erhöhung der Hartz-IV-Sätze investiert?
– Liefern die Gemetzel in Kenia nicht den Beleg dafür, dass noch so gut gemeinte Einsätze deutscher Soldaten im Herzen der Finsternis (wie kürzlich im Kongo) ein unnötiges Risiko bedeuten, weil die Afrikaner sich ohnehin gegenseitig abschlachten? Da wahrscheinlich eine solide Mehrheit diese Fragen mit einem „So ist es!“ beantworten würde, ist es einer der wichtigsten Mechanismen der Demokratie, dass die für eine bestimmte Zeit gewählte Regierung über die Außenpolitik entscheidet, ohne dabei ständig dem Volk aufs Maul zu schauen.
Demonstrativ freundliche Begegnungen mit Bush
– Helmut Kohl handelte nach diesem Prinzip. Schon unter seiner letzten Regierung wurde der Weg geebnet für eine deutsche Beteiligung am Kosovo-Krieg der Nato. Das war nicht geeignet, dem damaligen Bundeskanzler die Wähler in die Arme zu treiben.
– Sein sozialdemokratischer Nachfolger Gerhard Schröder blieb – zum Erstaunen mancher – diesem Grundsatz zunächst treu. Die rot-grüne Bundesregierung kämpfte auf dem Balkan mit und beteiligte sich unter der Überschrift „uneingeschränkte Solidarität“ am Afghanistan-Krieg der Amerikaner.
Private Vertrautheit zwischen Merkel und Bush
– Doch derselbe Schröder ließ sich nur ein Jahr später verleiten, anstelle eines einfachen Neins zur deutschen Teilnahme am Irak-Krieg einen bewusst antiamerikanischen Wahlkampf zu inszenieren, der das transatlantische Miteinander in seinen Grundfesten erschütterte. Damit war das Prinzip, Außenpolitik nicht vom unterstellten Willen des Wahlvolkes abhängig zu machen, außer Kraft gesetzt.
– Bundeskanzlerin Angela Merkel trat auf der außenpolitischen Bühne mit dem Anspruch an, zum alten Verfahren zurückzukehren. Als Zeichen dessen inszenierte sie demonstrativ freundliche und bald den Anstrich privater Vertrautheit bekommende Begegnungen mit dem in Deutschland so ungeliebten amerikanischen Präsidenten George W. Bush. Doch seit ein paar Tagen, seit der amerikanische Verteidigungsminister Robert Gates in schroffem Ton von Berlin Truppen für den gefährlichen Einsatz im afghanischen Süden gefordert hat, müssen Frau Merkels transatlantische Bekenntnisse endgültig mit einem Fragezeichen versehen werden.
Wettstreit, wer die linkere Position zu bieten hat
– Der Brief aus Washington war keine Überraschung, solche Vorstöße kommen mit einer gewissen Regelmäßigkeit, allemal vor Nato-Treffen wie dem jetzt anstehenden in Vilnius. Bemerkenswert an dem Vorgang ist allerdings die Geschwindigkeit, mit der nicht nur Verteidigungsminister Franz Josef Jung sich ablehnend zu Wort meldete, sondern mit der auch die Kanzlerin ihren Sprecher sofort ein hartes Nein verkünden ließ. In anderen Fällen lässt Angela Merkel Tage, gar Wochen vergehen, bevor sie sich in eine Debatte einschaltet. Eine Prüfung des nicht nur amerikanischen, sondern von Briten, Niederländern und Kanadiern mitgetragenen und durchaus nachvollziehbaren Wunsches nach mehr deutscher Risikobereitschaft in Afghanistan war in dieser kurzen Zeit unmöglich.
– Das alles hat viel mit der hessischen Landtagswahl zu tun. Dort hat eine blasse SPD-Kandidatin überraschend gut abgeschnitten, die nicht viel anderes zu bieten hat als äußerst linke Positionen. Mit dem Wahlsonntag ist der Wettstreit, wer die linkeren Positionen zu bieten habe, auf alle Politikfelder und damit auch auf die Außenpolitik übergeschwappt. Das sofortige Nein der Kanzlerin hatte vor allem einen Grund: die Angst, der SPD-Vorsitzende Kurt Beck hätte schneller sein können.
Wird Merkel zur Friedenskanzlerin?
Im nächsten Jahr wird ein neuer Bundestag gewählt. Wenn kein Wunder geschieht, wird der Einsatz der Bundeswehr in Afghanistan bis dahin nicht weniger riskant werden, ganz im Gegenteil. Das gilt auch dann, wenn die deutschen Truppen im Norden bleiben sollten. Möge es nicht so weit kommen:
● Aber was würde wohl passieren, wenn im Frühsommer 2009 eine große Zahl deutscher Opfer in Afghanistan zu beklagen wären und gleichzeitig immer deutlicher würde, dass Afghanistan noch Jahrzehnte braucht, um ein auch nur annähernd stabiles Staatswesen zu werden?
Die SPD, gehetzt von der den Einsatz am Hindukusch bekämpfenden Linkspartei, hätte dann alle Not, noch ja zum Afghanistan-Engagement zu sagen. Doch es wachsen die Zweifel, ob eine schon jetzt alle Kräfte auf die eigene Wiederwahl konzentrierende Angela Merkel der Versuchung widerstehen könnte, mit einem Abzug der deutschen Truppen zur Friedenskanzlerin zu werden. Wie einst Gerhard Schröder.
ISLAMABAD/KABUL/BERLIN (Eigener Bericht) – Angesichts der Ausweitung der afghanischen Aufstände auf den Nordwesten Pakistans kündigt die Bundesregierung neue Polizeiprojekte in dem scharf umkämpften Grenzgebiet zwischen den beiden Ländern an.
– Hintergrund sind Bemühungen, die Unruhen einzudämmen, sowie Befürchtungen, sie könnten auch Islamabad erfassen und die prowestliche Regierung stürzen. Dies käme einer beschleunigten westlichen Kriegsniederlage gleich. Die Berliner Polizeiprojekte sind Teil einer umfassenden G8-Initiative, die die Bundesregierung im vergangenen Jahr während ihrer G8-Präsidentschaft vorangetrieben hat. Sie beinhaltet zahlreiche Vorhaben zur Kontrolle des Grenzgebiets, darunter auch die Auflösung von Flüchtlingslagern in Pakistan sowie die Abschiebung der Flüchtlinge in die afghanischen Kriegszonen. Mit den neuen Polizeiprojekten entsendet die Bundesregierung weitere deutsche Kräfte in eine Region, in der die bewaffneten Auseinandersetzungen gerade zum offenen Krieg eskalieren: Am vergangenen Mittwoch nahmen Milizen zum ersten Mal einen pakistanischen Militärstützpunkt ein.
– Das noch aus britischer Kolonialzeit stammende Armeefort in der bergigen Grenzregion Süd-Waziristan war bereits am späten Dienstag Abend von rund 200 Aufständischen angegriffen worden und konnte zunächst vom Militär noch verteidigt werden. Am Mittwoch wurde es mit Raketen sturmreif geschossen und eingenommen. Zahlreiche Menschen kamen dabei zu Tode. Mit der Eroberung des Militärstützpunkts erreichen die Unruhen im Nordwesten Pakistans einen erneuten Höhepunkt. Bereits seit Jahren verschärfen sich die dortigen Spannungen kontinuierlich: Aufständische aus Afghanistan ziehen sich über die Grenze in den Nachbarstaat zurück, aber auch unter den Einwohnern des Gebiets brechen in zunehmendem Maße Unruhen aus und führen immer öfter zu kriegsähnlichen Auseinandersetzungen. Das pakistanische Militär ist schon lange im Einsatz. Seit dem letzten Jahr nehmen auch illegale Angriffe westlicher Truppen zu, darunter NATO-Operationen.[1] Die Vereinigten Staaten ziehen jetzt auch offiziell verdeckte Interventionen auf pakistanischem Territorium in Betracht.
Die Region entlang der Grenze zu Afghanistan gilt seit je als kaum von außen kontrollierbares Gebiet. In Teilen der pakistanischen North-West Frontier Province (NWFP) sowie vor allem in den "Stammesgebieten" (Federally Administered Tribal Areas, FATA) existiert die Herrschaft Islamabads nur auf dem Papier.
– De facto üben lokale Clanchefs die Kontrolle aus. Zudem ist die Region Gegenstand heftiger Streitigkeiten zwischen Pakistan und Afghanistan: Kabul erkennt die völkerrechtlich gültige Grenzziehung aus dem Jahr 1893 nicht an. Die NWFP sowie die "Stammesgebiete" werden in der afghanischen Hauptstadt gelegentlich auch "Ost-Afghanistan" genannt. Bereits in den 1950er Jahren standen Pakistan und Afghanistan wegen des Kabuler Grenzrevisionismus kurz vor einem Krieg. Die diesbezüglichen Spannungen halten bis heute an.
– Berlin bemüht sich schon seit Jahren, in der höchst sensiblen Grenzregion zu Afghanistan Fuß zu fassen. Dies geschieht bislang vor allem mit niedrigschwelligen Projekten sogenannter Entwicklungshilfe: durch Ausbildungsprogramme und Unterstützung in der medizinischen Grundversorgung. "Nach den Ereignissen des 11. September 2001 ist Pakistan als Schwerpunktland der deutschen Entwicklungszusammenarbeit eingestuft worden", schreibt die bundeseigene Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit (GTZ).[2] Die Kooperation konzentriert sich auf die NWFP und unmittelbar angrenzende Gebiete. Auch nach dem schweren Erdbeben des Jahres 2005 hatte Berlin ein Auge auf die Region; die GTZ unterstützte dort den Wiederaufbau zerstörter Dörfer.
– Die parteinahen Stiftungen – in Pakistan eine wichtige Stütze der deutschen Außenpolitik – sind ebenfalls nahe der Grenze zu Afghanistan aktiv. Die Hanns-Seidel-Stiftung (CSU) hat partnerschaftliche Kontakte zur Universität der NWFP-Hauptstadt Peshawar. Die Friedrich-Ebert-Stiftung (SPD) knüpft seit dem Sommer 2004 an einem Netzwerk in die NWFP. Die Grünen-nahe Heinrich-Böll-Stiftung unterhält ein Projekt, das auf Netzwerkbildung in den "Stammesgebieten" (FATA) zielt.
In Reaktion auf die zunehmenden Unruhen in dem Gebiet baut die Bundesregierung ihre dortigen Aktivitäten systematisch aus. Im Zentrum steht die Abschottung der afghanisch-pakistanischen Grenze; auf diese Weise sollen der Spielraum der Aufständischen eingeschränkt und eine grenzübergreifende Kooperation verhindert werden.
– Im Dezember 2006 verlangte die EU von Islamabad, die mehrere Tausend Kilometer lange Grenze nach Afghanistan zuverlässig zu kontrollieren. Wenig später bot die deutsche EU-Ratspräsidentschaft Pakistan "Unterstützung" für die Repression im Grenzgebiet an.[3]
– Ende Mai 2007 suchte Außenminister Frank-Walter Steinmeier die NWFP-Hauptstadt Peshawar auf und verhandelte mit dem dortigen Gouverneur. Nur wenige Tage später, am 30. Mai 2007, unterzeichnete er gemeinsam mit den Außenministern der übrigen G8-Staaten sowie Afghanistans und Pakistans eine "G8-Afghanistan-Pakistan-Initiative".[4] Darin kündigten die G8-Staaten "zielgerichtete Hilfeleistung" für afghanisch-pakistanische Kooperationen an. An erster Stelle rangieren ausdrücklich "Sicherheit" und "Flüchtlingsfragen". Die "Initiative" wurde beim G8-Gipfel in Heiligendamm bekräftigt und anschließend von der deutschen G8-Präsidentschaft konkretisiert.
– Die Ergebnisse hat das Auswärtige Amt vor wenigen Tagen bekannt gegeben. Demnach sind rund 70 Projekte in Vorbereitung, die vor allem "in das afghanisch-pakistanische Grenzgebiet fließen". "Die Unterstützung der lokalen Sicherheitsbehörden und die Grenzsicherung erfahren besondere Aufmerksamkeit" [5], teilt das Außenministerium mit. Berlin wird demnach die hochsensible Grenze mit Grenzposten befestigen und Geräte zur Dokumentenüberprüfung liefern. Außerdem sollen deutsche Organisationen eine "Training Facility" für die Grenzpolizei errichten und die Ausbildung des Personals übernehmen.
– Der Schwerpunkt liegt dabei auf der afghanischen Seite, da die Vereinigten Staaten sich den Zugang zum pakistanischen Repressionssektor weitgehend selbst vorbehalten. Allerdings beteiligt Washington die Bundesrepublik schon seit zwei Jahren an seinen Einflussmaßnahmen: Seit dem Frühjahr 2006 werden Offiziere aus Afghanistan und aus Pakistan in "Grenzsicherung" geschult – im "George C. Marshall Center" im süddeutschen Garmisch-Partenkirchen, einem gemeinsam betriebenen deutsch-amerikanischen Projekt.[6]
Ergänzend sieht die unter Berliner Vorsitz erarbeitete G8-Initiative die Auflösung von pakistanischen Flüchtlingslagern und die Deportation der Flüchtlinge in das afghanische Kriegsgebiet vor.
– Wie es in der Außenminister-Erklärung vom 30. Mai 2007 heißt, werden alle G8-Staaten die "Regierungen Afghanistans und Pakistans bei der Rückführung afghanischer Flüchtlinge aus Pakistan" unterstützen.[7]
– Außenminister Steinmeier hatte kurz vor der Unterzeichnung des Papiers ein "Rückkehr"-Büro des UN-Flüchtlingshilfwerks nahe der Grenze zu Afghanistan in Augenschein genommen. Hintergrund der Abschiebepläne ist die Auskunft Islamabads, dass die Aufständischen unter den mehr als zwei Millionen afghanischen Flüchtlingen starken Rückhalt genießen.[8]
– Bereits im vergangenen Jahr wurden Hunderttausende Afghanen aus Pakistan und dem Iran in ihr Herkunftsland deportiert [9] – in katastrophale Verhältnisse.
o "Kein Baum und kein Strauch – die Flüchtlinge leben in der Wüste", heißt es in einem Bericht über die Camps der nach Südostafghanistan Abgeschobenen: "Arbeit gibt es nicht, Schulen und Krankenhäuser auch nicht." Das UN-Flüchtlingshilfswerk darf laut Mandat nur den "am meisten Verletzlichen" unter ihnen helfen – Alten, Kranken und Kindern.[10]
Mit den neuen Polizeiprojekten erweitert die Bundesregierung ihre Maßnahmen zur Aufstandsbekämpfung in der afghanisch-pakistanischen Grenzregion, die sich bisher weitgehend auf die Spionage der Bundeswehr-Tornados beschränken. Damit wird Deutschland ein weiteres Stück in den eskalierenden Krieg gezogen: Das vor Ort mit der Grenzabschottung befasste deutsche oder in deutschem Auftrag tätige – auch zivile – Personal gerät unweigerlich ins Visier der Aufständischen. Neue Opfer nicht nur unter deutschen Soldaten und Polizisten, sondern auch unter den Mitarbeitern sogenannter Entwicklungsorganisationen, die für die Zuarbeit zur Berliner Repressionspolitik genutzt werden, sind damit nur eine Frage der Zeit.
[1] s. dazu Rückzugsgefechte
[2] Die GTZ in Pakistan; gtz.de/de/aktuell/1176.htm
[3] EU-Troika vereinbart weitere Vertiefung der Beziehungen zu Pakistan; Pressemitteilung der deutschen EU-Ratspräsidentschaft 08.02.2007. S. dazu Den Rückzug abschneiden
[4] Gemeinsame Erklärung der Außenminister der G8 und der Außenminister Afghanistans und Pakistans zur "G8-Afghanistan-Pakistan-Initiative"; Potsdam, 30. Mai 2007
[5] 70 Projekte zur Verbesserung der afghanisch-pakistanischen Zusammenarbeit; Pressemitteilung des Auswärtigen Amts 26.12.2007
[6] s. dazu Den Rückzug abschneiden
[7] Gemeinsame Erklärung der Außenminister der G8 und der Außenminister Afghanistans und Pakistans zur "G8-Afghanistan-Pakistan-Initiative"; Potsdam, 30. Mai 2007
[8] Abschiebung ins Nichts; taz 10.01.2008
[9] s. dazu Todesurteil
[10] Abschiebung ins Nichts; taz 10.01.2008