Davide Frattini
Rapporto di “Peace Now”: circa il 40% dei terreni degli
insediamenti israeliani in Cisgiordania verrebbe da confische a proprietari
arabi.
GERUSALEMME — Rabah Abdellatif fa l’esempio dei
pantaloni. «Se questi sono i miei pantaloni e questi sono i tuoi pantaloni, tu
non devi prendere i miei». I pantaloni sono la sua terra. Dal 1999 — racconta
il New York Times — questo palestinese di 65 anni sta lottando per riavere
indietro un campo di sua proprietà, dov’è stata costruita la sinagoga
dell’insediamento di Givat Zeet. Un giudice militare gli ha pure dato ragione e
il tempio avrebbe dovuto essere abbattuto.
I «pantaloni» di Rabah sono come quelli di molti altri palestinesi, almeno
secondo un rapporto dell’associazione Peace Now. Che è riuscita a disegnare
una mappa degli insediamenti in Cisgiordania, identificando le terre che
appartengono a privati e quelle pubbliche (in genere destinate
all’agricoltura). Il dossier rivela che 130 insediamenti sarebbero stati eretti
(tutti o in parte) su appezzamenti privati: 3.463 edifici o il 39% dell’area
totale. Maale Adumim, che dovrebbe rimanere israeliana anche nel piano, congelato,
di ritiro unilaterale, si sviluppa su terreni per l’86,4% privati. Come pure il
35,1% di Ariel, che ospita 20 mila abitanti e una prestigiosa università.
«Il 40% delle zone — calcola il New York Times — che il governo intende
mantenere in qualunque accordo con i palestinesi è privato. E questo rende
ancora più complicata e lontana qualsiasi possibilità di intesa».
Peace Now aveva tentato di ottenere i dati, utilizzati dall’autore del
rapporto, Dror Etkes, per elaborare le mappe, attraverso la Corte Suprema. Lo
Stato aveva replicato che «l’oggetto della petizione è delicato e complesso,
legato a questioni che toccano la sicurezza e le relazioni internazionali del
Paese» e aveva chiesto tempo. Così le informazioni sono state fatte filtrare
all’associazione pacifista e sarebbero le stesse utilizzate dal procuratore
Talya Sasson per il suo rapporto sugli avamposti illegali. «Il problema è
proprio che il dossier di Peace Now non riflette la realtà — rispondono
dall’Amministrazione Civile —, perché considera alcuni avamposti illegali come
se fossero insediamenti e questo stravolge le cifre».
La distinzione tra terreni privati e pubblici in Cisgiordania è difficile.
Durante l’impero Ottomano, poche aree venivano registrate a specifici
proprietari e spesso i contadini possedevano la terra in comune per ridurre le
tasse da pagare. Sotto il mandato britannico, cominciò un tentativo di
mantenere un catasto preciso e aggiornato, che andò avanti con i giordani. Dopo
la guerra del 1967, l’esercito israeliano ha confiscato terreni privati
palestinesi per ragioni di sicurezza, come è permesso dalle leggi
internazionali in zone occupate. «Queste espropriazioni dovrebbero essere
temporanee — spiega Etkes —. Ma con il sostegno di decisioni della Corte
Suprema l’esercito continua a rinnovare l’ordine di confisca perché su quei
terreni sono stati costruiti molti insediamenti».
Nel 1979, sono stati proprio i leader dei coloni a chiedere alla Corte
Suprema di non riconoscere la natura temporanea delle acquisizioni: «Questi
villaggi sono lì per rimanere, sono edificati per un ordine morale e divino». I
giudici furono costretti a ribaltare le precedenti decisioni e a ordinare allo
Stato di interrompere la pratica di espropriare terra dove poi venivano
sviluppate le colonie.
«Il rapporto mostrerebbe — commenta Nadav Shragai su Haaretz — che da allora
gli insediamenti hanno continuato a sorgere su aree private, senza neppure gli
ordini temporanei di confisca. Quando i confini permanenti dello Stato
israeliano verranno definiti, questo fatto potrà rappresentare un macigno sulle
trattative e sul tentativo di conservare alcuni insediamenti».