FRANCO
VENTURINI
La RUSSIA: un’indipendenza del
Kosovo sarebbe un precedente per l’indipendenza delle enclavi russe della
GEORGIA.
L’ITALIA ha interesse a un Kosovo stabile e pacificato, ma
l’impazienza dei kosovari (spalleggiati da USA e GRAN BRETAGNA) per
un’indipendenza piena e i rigurgiti nazionalisti della SERBIA che rivendica la
sovranità sulla regione sono incompatibili.
La RUSSIA avvisa che l’indipendenza del Kosovo sarebbe un
precedente per l’indipendenza delle enclavi russe in GEORGIA.
Il mediatore ONU MARTII ATHISAARI ipotizza (ma senza molto
successo) una “indipendenza condizionata”: protezione militare ONU per le
minoranze serbe, nessuna adesione all’ONU o alla NATO.
L’ITALIA e l’EUROPA prospettano
giustamente ai Balcani un possibile ingresso nella UE, ma non prima che
l’EUROPA riesca a definire un proprio assetto stabile, pena la “balcanizzazione
dell’Europa, ben più dell’europeizzazione dei Balcani”.
Non sempre è facile
definire gli interessi nazionali italiani, ma sulla difesa della stabilità e
della pace in Kosovo esistono pochi dubbi. Perché il Kosovo è una tessera avvelenata di quel mosaico
post-jugoslavo che ci guarda dall’altra parte dell’Adriatico. Perché in Kosovo
e in Bosnia sono presenti alcune migliaia di militari italiani. E soprattutto
perché, attorno alle aspirazioni indipendentiste del Kosovo, si è ormai aperta
una partita che potrebbe sfociare in un esplosivo pasticcio
strategico-istituzionale.
Molti contribuiscono alla marcia verso il peggio. La Serbia ha voluto
riaffermare nella nuova Costituzione che il Kosovo è «parte integrante» del suo
territorio, come se dalla fine delle ostilità anti-Milosevic nel 1999 Pristina
non fosse amministrata dall’Onu e presidiata dalla Nato. Poco importa: i
politici di Belgrado vogliono cavalcare il nazionalismo interno in vista delle
prossime elezioni, e all’esterno puntano a rendere giuridicamente più ardua la
concessione dell’indipendenza al Kosovo.
Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna guidano il fronte contrapposto, quello
che vorrebbe riconoscere ai kosovari albanesi (oltre il 90 per cento della
popolazione) una indipendenza piena entro la fine dell’anno. Forse la
maggiore lontananza dai Balcani attenua le loro preoccupazioni, forse a prevalere
è la volontà di chiudere i conti della guerra contro Milosevic nel rispetto
dell’autodeterminazione, forse ancora gli USA non dimenticano la loro maxibase
militare di Bondsteel. Sta di fatto che gli inviti a far presto vengono da
Londra e soprattutto da Washington.
Non sorprenderà, a questo punto, che anche la Russia si sia impossessata del
dossier Kosovo. Vladimir Putin ha lanciato un avvertimento: se gli occidentali
creeranno un precedente con l’indipendenza del Kosovo rispetto alla Serbia, il
Cremlino non esclude che la stessa cosa possa accadere nelle enclaves filo-
russe della Georgia con il risultato di portare al calor bianco la crisi già
aperta tra Mosca e Tbilisi. Più del tradizionale legame tra ortodossi russi e
ortodossi serbi, sembra essere il peggioramento dei rapporti Russia-USA a
guidare le mosse di Putin: c’è disaccordo sull’Iran, c’è parziale disaccordo
sulla Corea del Nord, c’è tensione sulla Georgia che vuole entrare nella Nato,
e soprattutto c’è la forte volontà della Russia di riaffermare il suo primato
nel Caucaso e più in generale sulle rotte del petrolio e del gas. Si
aggiunga che Putin possiede il diritto di veto al Consiglio di sicurezza, e che
dovrà essere comunque l’Onu a decidere il futuro status del Kosovo. Diventa
chiaro, allora, come la sorte di Pristina e dintorni possa diventare per il
Cremlino moneta di tentato scambio (indipendenza contro mano libera nel
Caucaso?) o per lo meno leva tattica da far valere nei confronti di Washington.
Infine c’è lui, l’uomo della mission impossible, il finlandese Martii
Athisaari che per conto dell’Onu dovrebbe mediare tra parti che non hanno la
minima intenzione di giungere a un compromesso. Dopo nove mesi di vani
sforzi diplomatici volti a far uscire il Kosovo dal limbo legale nel quale vive
dal ’99, Athisaari pare aver sposato la formula dell’ «indipendenza
condizionata» . In pratica la nuova sovranità del Kosovo resterebbe sotto
monitoraggio internazionale, la minoranza serba continuerebbe ad essere
protetta militarmente, il governo di Pristina potrebbe sottoscrivere trattati e
aderire ad alcune organizzazioni multilaterali ma non all’Onu e alla Nato. Sul
terreno si disegnerebbe una mini- spartizione di fatto (ma non era proprio
questa della spartizione, la pista che con maggior profitto si sarebbe potuta
seguire?) mentre in linea di diritto l’indipendenza del Kosovo risulterebbe
singolarmente ma pragmaticamente monca.
Ed è proprio qui che potrebbe venire la svolta più rischiosa. Il premier
kosovaro Agim Ceku ha sempre detto che Pristina accetterà esclusivamente una
piena indipendenza. Se l’Onu non riuscisse a prendere una decisione, o se
la decisione dell’Onu non fosse tale da soddisfare pienamente gli
indipendentisti, il Kosovo, forte del probabile appoggio americano, potrebbe
dichiarare unilateralmente la sua sovranità. Assisteremmo allora a una scontata
lacerazione internazionale (e specificamente europea) tra chi sarebbe pronto a
riconoscere il nuovo Stato e chi no, i rapporti con Mosca registrerebbero un
ulteriore peggioramento suscettibile di farsi sentire in altre situazioni di
crisi, e falchi di Belgrado riceverebbero in dono nuove motivazioni.
Ammesso e non concesso che sul terreno fossero evitati nuovi spargimenti di
sangue.
La tanto decantata «bomba a orologeria» del Kosovo, insomma, è diventata
davvero tale. Per l’Italia che cerca un equilibrio tra diritti dei kosovari
albanesi, tutela delle minoranze e dialogo con Belgrado in funzione
anti-nazionalista, ma anche per l’intera Europa che ha alle porte una più
generale questione balcanica. L’interesse europeo (e italiano) consiste
indubbiamente nel tenere viva per gli Stati balcanici una prospettiva di
ingresso nella Ue che consigli moderazione e riforme. Anche il Kosovo e la
Serbia fanno parte di questa visione. Purché la retorica degli interessi
nazionali (esiste anche questa) non porti al matrimonio prima che la Ue veda la
luce in fondo al «suo» tunnel politico-istituzionale. Ne risulterebbe
incoraggiata la balcanizzazione dell’Europa, ben più dell’europeizzazione dei
Balcani.