Sergio Romano
Una manovra che merita
qualche ritocco
La finanziaria non poteva accontentare tutti, ma è
spiaciuta soprattutto nel nord e nord-est, le regioni più dinamiche e
produttive. Per questo va ritoccata.
Un esponente della maggioranza ha detto negli
scorsi giorni, con un sorriso rassegnato, che questa legge Finanziaria non
poteva accontentare tutti gli italiani. E’ vero. Non accade in tempi normali e
non sarebbe potuto accadere, a maggior ragione, in un momento in cui il
governo deve soddisfare contemporaneamente le esigenze dei suoi guardiani
esterni (Bruxelles e Francoforte) e dare retta alle richieste della sua estrema
sinistra. Una certa dose di malumore, quindi, era scontata e per molti aspetti
inevitabile. Chi ha votato per il centrosinistra doveva sapere che una
coalizione così composita (una delle più contraddittorie e potenzialmente
litigiose della storia parlamentare italiana) non avrebbe potuto produrre, in
occasione della sua prima Finanziaria, un programma coerente. Se ha dato il suo
voto al centrosinistra nella convinzione che l’alternanza sia una virtù della
democrazia, ha fatto bene. Se ha votato nella speranza che questo governo
sarebbe stato subito, sin dall’inizio, coraggiosamente riformatore, si è
probabilmente sbagliato.
E’ più preoccupante per la maggioranza, tuttavia, che il malumore, benché
diffuso in altre zone, sia particolarmente concentrato nel Nord e soprattutto
nel Nord-Est. Le ragioni sono molte. La riduzione del cuneo fiscale è piaciuta
alla Confindustria, ma è considerata da molti insufficiente. Gli aumenti delle
tasse per i redditi più elevati sono parsi inutilmente punitivi. Il passaggio
all’Inps di 65 miliardi sottratti al Tfr (trattamento di fine rapporto) è stato
accolto come un esproprio. E le nuove tasse, che gli enti locali finiranno
probabilmente per introdurre, danno la sensazione che il governo preferisca
lasciare ad altri la responsabilità di imporre nuove gabelle.
Ma dietro queste specifiche ragioni di malcontento, vi è un fattore che il
governo ha mal calcolato e di cui dovrebbe tenere conto. Esiste un’Italia
del Nord e al suo interno un Lombardo Veneto che ha una storia, una cultura
economica e una tradizione civile diverse da quelle del resto del Paese. La sua
capacità di stare al passo con i ritmi europei a nord delle Alpi, i grandi
progressi economici del Veneto negli ultimi trent’anni, l’elezione diretta dei
«governatori» e la loro capacità di sintonizzarsi con gli umori della società,
hanno rafforzato nei suoi abitanti il sentimento della loro originalità. La
Lega ha cercato di interpretare questo fenomeno, ma ne ha dato una versione
estrema e per certi aspetti caricaturale. Anche se il partito di Bossi si
riducesse a una forza politica marginale, il Nord, ma soprattutto il Lombardo
Veneto, continuerebbe a rappresentare un problema italiano.
Questa Finanziaria gli è spiaciuta perché ha avuto la sensazione che le sue
esigenze fossero state trascurate, che la sua operosità fosse stata ignorata e
che i suoi professionisti fossero stati considerati come altrettanti evasori
fiscali. Può darsi che in questa reazione vi sia un po’ di qualunquismo. Ma la
modernizzazione del Paese e la sua capacità di restare in Europa dipendono in
ultima analisi, anche se i centri politici e le istituzioni romane hanno
qualche tendenza a dimenticarlo, dalle regioni che hanno saputo dare prova di
maggiore dinamismo e che più contribuiscono alla ricchezza nazionale. Una
Finanziaria che rischia di aprire una nuova «questione settentrionale» merita
qualche ritocco.