Dopo 4 anni in cui ad
avvantaggiarsi sono state le rendite e i redditi più alti, è giusto
riequilibrare
EPIFANI: la Finanziaria rispetta 2
nostre condizioni: una politica sociale per giovani, precari e salari bassi e
una politica per lo sviluppo.
Il
governo BERLUSCONI decideva senza consultare il sindacato, questo ne cerca il
consenso.
È un giorno di festa per Guglielmo Epifani. La sua
Cgil compie 100 anni. E a festeggiarla, al Teatro degli Arcimboldi, a Milano,
ci sono tutti: dal premier, Romano Prodi, al presidente della Camera, Fausto
Bertinotti (ex Cgil). Una celebrazione che il governo non ha rovinato con la
Finanziaria. Anzi, forse l’ha onorata, visto che il giudizio del leader
della Cgil sulla manovra da 33,4 miliardi è positivo. «È quello che avevamo
chiesto noi», dirà a un certo punto.
Perché le piace questa Finanziaria?
«Premesso che daremo un giudizio con Cisl e Uil nella segreteria unitaria, mi
pare che siano state soddisfatte le due richieste che avevo avanzato. La
prima era quella di una politica sociale e anche fiscale che aiutasse quella
parte del Paese rimasta indietro, giovani, precari, anziani e quella fascia di
lavoratori dipendenti che non supera 1.200-1.400 euro al mese, che poi è la
stragrande maggioranza. Da questo punto di vista c’è un giudizio positivo».
La seconda richiesta accolta?
«Una politica d’investimenti che non deprimesse lo sviluppo, cioè che le
risorse per questa voce fossero la parte prevalente della manovra. E anche qui
mi pare che ci siamo».
Ma voi avevate chiesto una manovra inferiore a 30 miliardi e invece è di
33,4. Questo non rischia di frenare la ripresa?
«Purtroppo si è dovuto tener conto del forte impatto della sentenza della
Corte di giustizia europea sull’Iva. Certo avrei preferito una Finanziaria
che avesse più investimenti sul cuore dei ritardi del nostro Paese: ricerca,
innovazione, scuola e università».
Insomma, questa di Prodi, dice lei, è la miglior Finanziaria da molti
anni a questa parte.
«L’unica possibile».
Secondo il centrodestra si poteva fare diversamente, senza tutti questi
aumenti di imposte centrali e locali.
«Dovevamo dare un segno nei confronti dei ceti popolari. E il centrodestra non
può dimenticare che aveva lasciato senza finanziamenti tutti i capitoli per lo
sviluppo, dalle infrastrutture alle politiche industriali».
Ma il centrosinistra aveva promesso che non avrebbe aumentato le tasse.
«Dunque, il governo ha rimodulato l’Irpef redistribuendo verso il basso le
risorse e in più ha aggiunto il taglio del cuneo fiscale a vantaggio di
lavoratori dipendenti e pensionati. Le nostre rilevazioni ci dicono che i
redditi da lavoro e pensione sono in media pari a 1.200-1.400 euro netti al
mese. Queste persone, specialmente se hanno carichi familiari, riceveranno
molto. Ma c’è una parte cui sarà tolto qualcosa».
Quelli con redditi superiori a 40 mila euro. Le sembra giusto punire chi
guadagna poco più di 2.000 euro netti al mese? Sono questi i ricchi che devono
piangere, secondo il ben noto manifesto stampato da Rifondazione?
«No. Sono contro logiche punitive. Bisogna stare attenti a questi ceti
che sono una parte importante del Paese. Però, in queste condizioni, cioè dopo
che per quattro anni l’economia non è cresciuta e ad avvantaggiarsi sono state
le rendite, i profitti e i redditi più alti, se si aggiusta questo gap con chi
ha di meno, lo trovo giusto».
Insisto. Guardi che anche nella Cgil c’è chi ha criticato l’aumento delle
tasse sui ceti medi, per esempio il leader della Federconsumatori Rosario
Trefiletti. Per lei chi guadagna più di 40 mila euro è un ricco?
«No. Ma è un fatto che coloro che stanno sopra questi redditi sono pochi».
Stando alle dichiarazioni dei redditi. Quindi pagherà di più chi già
paga.
«Ecco perché adesso bisogna fare quello che ho appena chiesto a Romano Prodi:
proseguire sulla lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Deve essere una
politica permanente, così potranno pagare di meno anche quelli che oggi stanno
in cima alla scala dei redditi. E comunque non dimentichiamo che gli studi di
settore verranno adeguati».
Il leader di An, Gianfranco Fini, invoca una manifestazione contro la
Finanziaria. Non teme che in piazza scenderanno anche molti lavoratori
dipendenti?
«Non mi spaventa la manifestazione che vuole Fini. In democrazia è un fatto
normale. Bisogna vedere chi ci andrà, magari le persone dei settori colpiti
dalle liberalizzazioni. Non certo la stragrande maggioranza dei dipendenti e
dei pensionati. E anche se tra chi rappresentiamo c’è qualcuno che guadagna
2.500 euro o più al mese, credo che potrà comprendere che si toglie a lui
qualcosa per darlo a chi sta più in basso».
Il sindacato è riuscito a bloccare i tagli di spesa, a cominciare dalle
pensioni. L’eventuale aumento dell’età pensionabile è rinviato a una
trattativa.
«Siamo riusciti a evitare che si facesse cassa con le pensioni. A gennaio
affronteremo il negoziato col governo sulla base di una proposta comune con
Cisl e Uil».
La Cisl ha già riconosciuto che, essendo aumentata la speranza di vita,
bisognerà anche andare in pensione più tardi. Lei?
«Riconosco che esiste il problema. Come affrontarlo si vedrà nella trattativa
che dovrà riguardare tutti gli aspetti della previdenza e del mercato del
lavoro».
Intanto tornano i prepensionamenti, sotto forma di mobilità lunga. Li
aveva chiesti la Fiat, col sostegno del sindacato.
«È qualcosa che contraddice tutti i ragionamenti fatti finora. Ma perché si
arriva a questo? Perché ci sono imprese in crisi o che hanno troppi impiegati e
invece hanno bisogno di tecnici o operai. Certo a me i prepensionamenti non
piacciono, ma di certe situazioni non può farsi carico solo il sindacato».
Sulla sanità arrivano i ticket sulla diagnostica e sul pronto soccorso e
le Regioni potranno aumentare le addizionali fiscali. Insomma, quello che il
governo dice essere un taglio delle spese è in realtà un aumento delle entrate.
«Non ci piacciono i ticket, ma constato che una parte delle Regioni già li
applica. C’è anche il rischio dell’aumento delle addizionali locali, è
vero. Il sindacato deve lavorare perché questo non avvenga, dichiarando la sua
contrarietà».
Le giro una domanda del tassista che mi ha portato da lei: perché
qualunque cosa faceva il governo Berlusconi il sindacato portava la gente in
piazza mentre adesso approvate tutte le decisioni del governo Prodi?
«Intanto noi stiamo facendo scioperi territoriali sull’occupazione e scioperi
nazionali di categoria. Il problema è che il governo di prima non si
confrontava con noi, decideva e basta, e aveva diviso il sindacato. Questo
governo, invece, cerca il consenso del sindacato. Se farà qualcosa che non
va bene, noi siamo autonomi e ci mobiliteremo. Ma non ha senso farlo se fa una
cosa che abbiamo chiesto noi».