Maurizio Caprara
ROMA — Nessun dirigente politico finora lo ammette in
pubblico, ma il senso dello scambio che c’è stato ieri alla Camera con il voto
concorde sulla missione in Libano è questo: il centrosinistra si è assicurato
che, se nel nostro contingente ci saranno caduti, condividerà con l’opposizione
la responsabilità dell’aver fatto partire le truppe; il centrodestra ha potuto
evitare di votare contro un’operazione dei nostri soldati risparmiandosi di far
mancare la sua tradizionale solidarietà agli italiani in divisa.
È stata un’intesa tra Massimo D’Alema, Fini e Arturo Parisi a far sì che i
voti di An non mancassero. Distanti negli anni ’70, quando erano il
segretario della Federazione giovanile comunista e il segretario del Fronte
della gioventù, il ministro degli Esteri in carica e il predecessore hanno
delineato l’accordo a margine del dibattito del 13 settembre scorso alla Festa
dell’Unità di Pesaro, moderato da Gianni Riotta. In cambio del «sì» al
decreto, il presidente di An chiedeva che anche le missioni decise dal
centrodestra fossero dichiarate «di pace».
Ne aveva parlato già con il
ministro della Difesa Parisi, il 7 settembre, dietro le quinte della Festa della
Margherita a Caorle. Dopo l’accordo con D’Alema, Fini ha preparato un ordine
del giorno. Lo ha discusso con Dario Franceschini, Margherita, e Vannino Chiti,
ds, ministro dei Rapporti con il Parlamento.
Ieri, Fini ha portato il suo foglietto a D’Alema, il quale ha «recepito» quel documento
che definisce compatibili con l’articolo 11 della Costituzione tutte le
missioni italiane svolte finora. Ma quando Fini è intervenuto in aula, vari
deputati di Margherita e Ds avrebbero avuto voglia di bocciarne il testo, un
avallo alla missione in Iraq.
«Avevo preso l’impegno a rinunciare a metterlo ai voti se recepito dal governo,
la maggioranza si sarebbe spaccata. Però avevo pieno diritto a dare la mia
spiegazione sul perché di questa scelta», dice Fini al Corriere. Contento di
ricordare che nell’Unione c’è chi aveva giudicato l’operazione in Iraq in
contrasto con l’articolo 11.