Nasrallah: «Nessuno ci disarmerà»

Giuliano Gallo

Sciiti in piazza a Beirut
«per celebrare la vittoria divina»: «Siamo pazienti, rispetteremo l’Onu»


Rispunta il capo di
Hezbollah: abbiamo migliaia di missili

BEIRUT — Le madri e le vedove degli shaid siedono
in prima fila, avvolte nei loro barracani neri, gli occhi bassi, in mano foto
di ragazzi giovani e sorridenti. Sembrano non ascoltare nemmeno l’uomo con la
barba e il turbante che lì davanti, protetto da un vetro a prova di proiettile,
infiamma la sua gente. E’ tornato Hassan Nasrallah, è tornato a festeggiare,
in questo immenso prato di periferia dove si accalcano centinaia di migliaia di
persone in un turbinare di bandiere gialle, palloncini e grida di entusiasmo,
la «vittoria divina» di Hezbollah nella guerra contro Israele. Ma è tornato
anche a presentare il conto ai politici libanesi, che ora sferza con parole
beffarde
: «Un governo forte è quello che protegge il suo popolo, non quello
che va in tv a piangere sui bambini morti», grida. E la folla fischia. Il
bersaglio è il primo ministro Fouad Siniora. Ma nel mirino del leader di
Hezbollah ci sono anche i «pavidi» leader arabi, che «non hanno voluto
combattere a fianco del Libano».

Ora però Hezbollah «ha vinto», e può dettare le sue condizioni: «Non
chiediamo di mutare l’equilibrio interno o di cancellare i meccanismi
democratici che garantiscono il pluralismo. Ma chiediamo la formazione di un
governo di unità nazionale, perché l’attuale non è in grado di mantenere unito
il Paese, di ricostruirlo»
.
Parla per più di un’ora, il leader di Hezbollah, dopo aver confessato che «fino
a mezz’ora fa non avevo ancora deciso se venire o no». E’ una prova di forza
senza mezzi termini, così come una prova di forza è tutta la manifestazione,
con l’incredibile macchina organizzativa che l’ha allestita: i camion carichi
di terra che fanno da barricate contro eventuali autobombe, i teloni stesi fra
i palazzi per impedire al nemico di scattare foto dal cielo, i controlli con i
metal detector, fino alle 250 mila sedie di plastica affittate da una ditta
libanese
.
In lontananza si sentono raffiche di kalashnikov: sono le uniche armi che
Hezbollah ha esibito dal giorno della tregua. Ma Nasrallah assicura che il
partito di Dio ha ancora gli arsenali intatti: «Durante la guerra abbiamo
utilizzato soltanto una piccola parte del nostro arsenale. Abbiamo ancora
decine di migliaia di missili e questo sia ben chiaro a chi pensa di mettere al
sicuro i confini con Israele, via terra o via mare». Armi che «nessun esercito
al mondo», nemmeno le truppe Unifil, riuscirà a togliere agli uomini in nero.
«E’ un arsenale di tutto il Libano e non sarà utilizzato al suo interno. È un
arsenale maronita, druso, sunnita, sciita
. Non manterremo le nostre armi
all’infinito, ma le terremo fino a quando il Libano non avrà riconquistato le
terre occupate da Israele, quando le nostre acque non saranno minacciate da
Israele, quando i prigionieri nelle carceri israeliane torneranno in patria».
Oggi, dice ancora il leader sciita, «al Sud lo Stato è presente, l’esercito
si trova nel territorio. La resistenza per il momento non opera e infatti il
nemico entra nel nostro territorio quando vuole. Ma noi manteniamo la pazienza
perché vogliamo rispettare la risoluzione 1701. Speriamo che il nostro esercito
non si sieda sul confine e rimanga a guardare
. Per quanto ci riguarda, noi
rimarremo dietro l’esercito e lo proteggeremo, come continueremo a difendere il
nostro Paese».

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