EUROPA, MEDIO ORIENTE, ISRAELE
ANDREA BONANNI
FORTE della capacità di
iniziativa dimostrata in Libano, l´Europa getta il proprio peso anche sul
fronte del conflitto israelo-palestinese. E prepara una svolta che potrebbe
portare a stabilire rapporti con Hamas, rafforzare in modo decisivo la
posizione del presidente palestinese Abu Mazen, ricondurre la Siria nel gioco
diplomatico e schiudere la via per un nuovo negoziato di pace con Israele.
Come sempre accade negli affari europei, anche in questo caso le grandi novità
sono espresse con piccoli, quasi impercettibili mutamenti di accento.
Ma le conseguenze di queste prudentissime evoluzioni possono essere di portata
storica.
Non è un caso che il nuovo clima che si respira tra i Venticinque sulla
questione mediorientale abbia preso forma ieri nel corso del consiglio
informale dei ministri degli Esteri, riuniti in una cittadina finlandese poco
lontana dal confine con la Russia. È proprio in queste occasioni, infatti,
quando non si devono prendere decisioni esecutive e le discussioni sono più
libere, che maturano le svolte strategicamente più significative.
E la svolta su cui il responsabile della politica estera europea Javier
Solana è riuscito a coagulare l´unanimità dei consensi consiste nell´annuncio
che l´Unione è pronta a stabilire rapporti politici con un governo di unità
nazionale palestinese che riunisca gli esponenti di Hamas e quelli di Fatah
fedeli al presidente Abu Mazen.
È da gennaio scorso, quando i radicali di Hamas hanno vinto le elezioni, che
l´Europa rifiuta di avere rapporti con il governo palestinese. Una posizione
condivisa con gli Stati Uniti e naturalmente con Israele. La condizione che la
comunità internazionale pone per il ristabilimento del dialogo è che Hamas
riconosca lo stato di Israele, che cessi le azioni violente e che rispetti gli
accordi precedentemente sottoscritti dall´Autorità palestinese. Nessuno di
questi punti, secondo l´Ue, è finora stato rispettato.
E dunque l´attività diplomatica per risolvere la crisi è rimasta congelata,
mentre il conflitto con Israele è andato sempre più aggravandosi e le
condizioni di vita a Gaza e in Cisgiordania sono ormai divenute
«intollerabili», come ha detto ieri il ministro degli Esteri D´Alema.
Apparentemente la disponibilità dimostrata ieri ad aprire il dialogo con un
nuovo governo palestinese di unità nazionale non modifica sostanzialmente la
posizione degli europei. La piattaforma negoziale sulla base della quale il
presidente Abu Mazen sta cercando di creare una coalizione con Hamas prevede
infatti che tutte e tre le condizioni dettate dalla comunità internazionale
vengano soddisfatte.
In realtà il cambio di enfasi ha conseguenze cruciali e di vasta portata. Un
conto infatti è chiedere ad Hamas di rinnegare pubblicamente e apertamente
tutti i principi in base ai quali ha vinto le elezioni: cosa che il movimento
radicale non vuole e non può fare. Un altro è considerare che questa evoluzione
sia di per sé compiuta con la creazione di un governo di coalizione con Fatah
che dia mandato ad Abu Mazen di negoziare con Israele. Il primo obiettivo
si è dimostrato irrealizzabile. Il secondo, in base ai contatti che la
diplomazia europea ha avuto con il presidente palestinese, con la Siria e con
Israele, appare invece una possibilità concreta. «Non vedo come si possa
partecipare ad un governo di unità nazionale con Fatah, che riconosce Israele,
senza riconoscere Israele», è il sillogismo utilizzato dal ministro degli
Esteri francese Philippe Douste-Blazy.
L´altra conseguenza importante di questa nuova posizione è un sostanziale
rafforzamento del ruolo di Abu Mazen. Di fatto, spostando l´accento sulla
creazione del nuovo governo di coalizione, l´Unione europea conferisce al
presidente palestinese il mandato per decidere se e come Hamas ottemperi alle
condizioni che gli sono state imposte. Si tratta, evidentemente, di questioni
che presentano ampie «zone grigie». Per alcuni europei, per esempio, la
dichiarazione congiunta tra il premier palestinese Haniyeh e il presidente Abu
Mazen che chiede il rispetto dei confini del ´67, costituisce un implicito
riconoscimento dello stato di Israele. Ma altri Paesi europei, come la Gran
Bretagna, finora avevano giudicato queste posizioni insufficienti. Il ruolo
di arbitro che ora viene implicitamente riconosciuto al successore di Arafat
elimina questo tipo di battaglie semantiche e permette agli europei di
ritrovare l´unità. Inoltre rafforza enormemente le capacità negoziali di Abu
Mazen nei confronti dei suoi interlocutori più radicali.
La terza conseguenza dell´evoluzione europea è il riconoscimento implicito
del ruolo che la Siria gioca non solo in Libano ma anche in Palestina. Di
fronte al negoziato per creare un governo di unità nazionale, Hamas risulta
infatti diviso anche al proprio interno. Una parte, che fa capo al primo
ministro Aniyeh, appare più disponibile. La frangia più radicale, quella che ha
cercato di far saltare il banco con il sequestro del caporale israeliano
Shalit, è contraria. E, come ha ricordato ieri D´Alema, l´ala dura del
movimento palestinese «ha il suo quartier generale a Damasco».
Da qui la necessità di aprire un dialogo con la Siria. Al leader siriano
Assad viene offerta la possibilità di decidere se cooperare con la comunità
internazionale per arrivare ad una soluzione della crisi in Libano e in
Palestina oppure se sanzionare in modo definitivo il proprio isolamento
assumendosene tutte le responsabilità.
Sulla necessità di ristabilire il dialogo con Damasco, la Francia nutre
ancora qualche perplessità. Chirac era un amico personale del premier
libanese Hariri ucciso da un complotto ordito dai servizi siriani. E il
presidente francese non è uomo che perdoni facilmente. Tuttavia, a poco a poco,
anche su questo punto le resistenze francesi stanno venendo meno. Come si
sono ammorbidite le posizioni britanniche pregiudizialmente ostili ad Hamas.
Un risultato che si può in larga misura ricondurre al nuovo ruolo che il
governo italiano, con Prodi e D´Alema, sta svolgendo non solo in Medio Oriente
ma anche e prima di tutto in seno al club europeo.
Iran, Siria, Palestina: uno dopo l´altro, l´Europa sta ammorbidendo i muri
che erano stati eretti dall´unilateralismo dell´amministrazione neocon
americana. Come ha ricordato ieri Massimo D´Alema, il nuovo approccio
multilaterale «made in Europe» sta facendo le sue prove. Che poi riesca a
superarle, è ancora un´altra storia.