Guido Olimpio
Hezbollah ha finanziamenti non solo dall’IRAN, ma anche
dalla comunità sciita sparsa per il mondo e da economiche gestite da suoi
militanti. Lo stesso fanno altre organizzazioni integraliste (Hamas, l’egiziana
Jaama…)
Gli Hezbollah, da buoni libanesi, hanno il senso
del commercio. E con l’obiettivo di aiutare la «resistenza armata» trafficano
in tutto. Partite di cocaina in Sudamerica, gemme in Africa, sigarette negli
Stati Uniti, false griffe in Europa. Ma il prodotto che non ti aspetteresti è
il Viagra: pillole taroccate, probabilmente pericolose per chi le assume. La
storia del Viagra non è una bugia per «sporcare» l’immagine dura e pura del
partito di Dio libanese. E’ vera ed è emersa nei mesi scorsi durante una
indagine federale negli Usa.
Un gruppo di libanesi, da tempo residenti tra
Carolina del Nord e Michigan, avevano messo in piedi una redditizia attività di
contrabbando destinata – in parte – ad alimentare il budget dell’Hezbollah.
Fonti diplomatiche stimano in 250 milioni di dollari il bilancio ufficiale del
movimento, un tesoro garantito da cospicui finanziamenti iraniani. Almeno 10
milioni di dollari al mese. In realtà c’è il sospetto che il giro d’affari
abbia dimensioni planetarie. Un piccolo impero economico su cui non
tramonta mai il sole.
Il primo pilastro dell’apparato è nella famosa Triplice frontiera, la zona
racchiusa dai confini di Paraguay, Brasile e Argentina. Nella cittadina
paraguayana di Ciudad del Este, l’Hezbollah gestisce scuole, centri islamici e
commerci. Un finanziere d’assalto brasiliano di origini libanesi ha inviato
almeno 50 milioni di dollari alla guerriglia ottenendo una lettera di
ringraziamento da parte del segretario Hassan Nasrallah. A Ciudad vendono
smerciati prodotti contraffatti – borse, profumi, elettronica, cd musicali -,
riciclano denaro, raccolgono soldi nella folta comunità araba (almeno 20 mila
persone). I negozi dai nomi arabi diventano una buona copertura e una base per
militanti in trasferta. Esiste – secondo gli 007 argentini – un sistema di
comunicazione via Internet che lega la colonia paraguayana al quartier generale
in Libano. Un accogliente santuario dove sciiti e sunniti vanno d’accordo in
nome del guadagno. Infatti elementi pro-iraniani convivono con
estremisti egiziani della Jamaa e della palestinese Hamas, anche loro impegnati
nella raccolta della zakat (l’offerta).
Il modello ha funzionato e l’Hezbollah lo ha riprodotto. Attivisti libanesi
hanno aperto imprese di import/export all’Isola Margaritas in Venezuela, in
Cile, in Ecuador, a Panama, in Guayana. I luoghi preferiti sono le cittadine a
cavallo delle frontiere, dove poliziotti distratti e un intenso passaggio
favoriscono gli imbrogli. Nei paesi della droga emissari Hezbollah trattano
droga con i cartelli locali. La polizia ecuadoriana ha smantellato di
recente una organizzazione che guadagnava un milione di dollari a spedizione e
destinava il 70% ai militanti.
Oltre il Rio Grande, negli stati centrali degli Usa, l’Hezbollah è più
discreto. Oltre al Viagra, traffica in latte in polvere e sigarette,
quest’ultime comprate in una riserva indiana. Una rete che operava tra Detroit
e Charlotte ha frodato il fisco per 20 milioni di dollari. Quanti ne sono
finiti all’Hezbollah? L’Fbi non ha una risposta, però ha accertato un legame
operativo con Imad Mugnyeh, a lungo responsabile dell’apparato clandestino e
oggi numero tre nella lista dei super-ricercati. Le cellule americane, oltre
a commerciare, hanno il compito di acquistare materiale paramilitare: visori
notturni, apparati radio, abbigliamento, telefoni satellitari, sistemi Gps.
I mediatori legati all’Hezbollah si sono fatti un nome in altri due settori.
Il recupero crediti e le pietre preziose. Una grande società del tabacco britannica
avrebbe chiesto aiuto ai militanti per recuperare un grosso credito in Iran.
Operazione pagata con un ricco assegno per la intermediazione. Non meno
aggressiva l’attività in Africa. Alcuni tra i più spregiudicati mercanti di
gemme sono di origine libanese e appartengono alla comunità sciita. C’è il
fondato sospetto che promuovono la raccolta di «tasse rivoluzionarie» in favore
dell’Hezbollah e versino loro stessi un obolo alla causa.
I libanesi finiti sotto accusa si difendono sostenendo che si tratta di normali
attività economi-che, perfettamente legali. E altri aggiungono che i fondi
inviati a Beirut sono spesi nel vasto apparato sociale composto da asili,
mense, scuole, ambulatori gestito dall’Hezbollah. Provare che i dollari
finiscono all’ala combattente non sempre è facile. Ma il sospetto è legittimo.