Paolo De
Castro
A Ginevra l’ultima chance per salvare il negoziato sul commercio mondiale
Bonino e De Castro scelgono la linea liberista
Difficile negoziato al WTO sull’apertura dei mercati.
Mentre il governo BERLUSCONI era più schierato coi settori protezionisti
dell’economia italiana, i ministri italiani BONINO (Commercio Internazionale) e
DE CASTRO (Politiche agricole) si schierano col liberismo del negoziatore UE,
il britannico MANDELSON, e contro le rigidità della FRANCIA.
GINEVRA – Per salvare il
processo di liberalizzazione mondiale dei commerci avviato a Doha nel 2001
bisogna affidarsi a una formula magica: tre volte il numero 20. Basterebbe
che fosse approvata la proposta del G20 (il gruppo di Paesi emergenti guidato
da Brasile, India e Cina), secondo la quale le nazioni sviluppate dovrebbero
ridurre mediamente del 54% le barriere tariffarie all’import di prodotti
agricoli dal resto del mondo. Ci vorrebbe poi un limite massimo di 20
miliardi di dollari ai sussidi che tutti i Paesi concedono ogni anno ai propri
agricoltori. Infine, dovrebbe essere fissata al 20% la quota massima di
protezione tariffaria che le nazioni in via di sviluppo oppongono
all’importazione di beni industriali dal mondo ricco.
Così ha spiegato ieri Pascal Lamy, direttore generale della World Trade
Organization (Wto, l’organizzazione mondiale del commercio) alla vigilia
di un summit che lui stesso definisce «l’ultimo prima che il tempo a
disposizione scada». Perché quello che si apre oggi a Ginevra, dove stanno
confluendo i ministri di circa 60 Paesi della Wto, è un vertice che ha davvero
il sapore di un’estrema chance per non mandare definitivamente in fumo il round
di trattative faticosamente aperto cinque anni fa nella capitale del Qatar,
passato poi attraverso il clamoroso fallimento del 2003 a Cancun, in Messico, e
tenuto in vita grazie alla mini-intesa del dicembre 2005 a Hong Kong, quando le
149 nazioni dell’organizzazione approvarono una bozza che perlomeno fissa
l’azzeramento di tutti i sussidi all’export agricolo a partire dal 2013.
La partita sull’agricoltura resta, come sempre, quella fondamentale. Un
accordo su questo fronte aprirebbe di colpo le porte anche al capitolo sui beni
industriali e i servizi. Ma le posizioni restano ancora molto distanti, con
Usa, Ue e Paesi emergenti distanti anni luce l’uno dall’altro. Rispetto a
dicembre, però, qualche spiraglio sembra profilarsi. Innanzitutto sullo
scacchiere europeo, dove il cambio di squadra italiano sembra rafforzare le
posizioni "liberiste" del negoziatore Ue, il britannico Peter
Mandelson, e prendere le distanze dal rigido protezionismo francese. Rispetto
all’atteggiamento tenuto dagli uomini del governo Berlusconi (il ministro
dell’Agricoltura Gianni Alemanno e il viceministro per il Commercio Estero
Adolfo Urso), la coppia Emma Bonino, ministro per il Commercio
Internazionale, e Paolo De Castro, ministro per le Politiche Agricole, appare
meno disposta alla difesa dei singoli settori produttivi nazionali più esposti
agli effetti della liberalizzazione (dai tessili ai calzaturieri, per
esempio) e più propensa a intese globali, nella convinzione che l’apertura dei
mercati, su base di reciprocità, rappresenti un vantaggio anche per il nostro
Paese. L’Italia, insomma, sembra voler giocare un ruolo più dinamico
rispetto al passato.
Il sentiero verso un’intesa resta comunque molto stretto. La scorsa settimana
il presidente Usa, George W. Bush, ha definito il summit di Ginevra
«un’opportunità da non sprecare». Ma il negoziatore commerciale americano,
Susan Schwab, ha ribadito proprio ieri che «gli Usa non sono disposti a firmare
un accordo qualsiasi, solo per rispettare una data». Kamal Nath, ministro del
Commercio dell’India e influente esponente del G20, ha confermato le critiche
al protezionismo Usa e Ue, ma ha anche sottolineato che un fallimento qui a
Ginevra sarebbe «catastrofico». E la Francia, per bocca del ministro per il
Commercio Dominique Bussereau, ha ripetuto il suo aut aut: «Meglio un
fallimento che una cattiva intesa».