ITALIA, LAVORO, SINISTRA
CORRIERE Dom. 28/5/2006
Roberto Bagnoli
Il ministro: «Ma deve essere
contrattato a livello aziendale»
PORTOVENERE (La Spezia) – «Il cuneo fiscale dovrà essere
equamente diviso a metà tra azienda e lavoratori, riguarderà solo i contratti a
tempo indeterminato e, contestualmente, dovranno essere aumentati i contributi
per i co.co.pro, i collaboratori a progetto». Il ministro del Lavoro Cesare
Damiano anticipa i prossimi interventi del governo per i settori di sua
competenza precisando, da sabaudo meticoloso, «che si tratta di mie convinzioni
che sottoporrò a Prodi». E rilancia sul fronte dell’orario di lavoro sostenendo
che la flessibilità va realizzata contrattandola in azienda e non a livello
nazionale: «Ho sempre ritenuto sbagliata la regolamentazione legislativa sull’orario
mentre va sostenuta la mediazione tra le parti sociali».
IL LAVORO. Ma sui cinque punti del cuneo fiscale spartiti al 50% si
sente abbastanza sicuro che finirà così anche se Confindustria, come si è
capito dalle parole del presidente Luca di Montezemolo l’altro giorno
all’assemblea, la pensa molto diversamente. Altri provvedimenti sono la
reintroduzione del credito di imposta per il Mezzogiorno ma con una novità:
«Sarà selettivo, nel senso che varrà solo per le imprese che assumono a tempo
indeterminato o che trasformano in lavoratori stabili i precari». Per
quanto riguarda la legge 30 – ormai conosciuta come la "Biagi"
– il ministro si augura che le iniziative di cui sopra sposteranno i riflettori
su altre cose. «Comunque verrà modificata – dice – abolendo gli articoli
inutili che hanno fatto solo confusione come il lavoro a chiamata o lo staff
leasing». E cercando di porre un limite numerico al rinnovo dei contratti a
tempo.
L’ORARIO. La parola d’ordine – che Damiano pronuncia più volte nel suo
intervento all’ottavo convegno della Fondazione Rodolfo Debenedetti – è
«semplificazione». Anche sull’orario di lavoro dove, oltre a condannare
l’esperienza francese delle 35 ore, la «legislazione deve essere solo di
sostegno e non invasiva». Insomma, la flessibilità oraria va cercata e risolta
in azienda «per affrontare i saliscendi del mercato». «E’ incongruo – ha
aggiunto – fissare soglie basse e poi non vedere la realtà dei fatti: contratti
che stabiliscono 38 ore settimanali e poi lavoratori che ne fanno 40-45-50
effettive». L’ex ministro del Lavoro Tiziano Treu si è spinto oltre. «E’
necessario un decentramento della contrattazione collettiva, anche se non è
vero che il mercato del lavoro in Italia è rigido». Treu tuttavia rivela,
forse per non entrare in conflitto con la sinistra radicale (nel 1998 il
governo Prodi cadde proprio sulle 35 volute da Bertinotti), di non essere
riuscito a inserire riflessioni sull’orario nel programma dell’Unione. E sul
tema dell’orario si è concentrato il convegno che il direttore della
fondazione Tito Boeri non a caso ha intitolato «Gli europei sono pigri o sono
stakanovisti gli americani?». Gli statunitensi lavorano mediamente due ore in
più alla settimana rispetto agli europei. Una media, peraltro, che non vale
per le donne italiane che risultano essere – seguite dalle giapponesi – le più
attive perché si accollano anche i lavori domestici. Per spiegare la pigrizia
europea ieri gli economisti si sono divisi in due teorie. Quella di Oliver
Blanchard (Mit): gli europei amano più il tempo libero. Quella di Alberto
Alesina (Harvard): gli europei lavorano meno per colpa delle tasse elevate e
delle regole sindacali.
Dalle 40
ore bulgare alle 35 ore francesi
Ma com’è distribuita in Europa la mappa dell’orario di
lavoro. Secondo le ultime statistiche dell’Unione Europea il livello più alto
(40 ore settimanali) va dalla Bulgaria alla Grecia alla Slovenia. In Italia
siamo a quota 38 ore, poi Germania (37,6), Regno Unito (37,2). Ultima la
Francia, Paese che ha scelto il modello delle «35 ore». I nuovi Stati membri
dell’Europa viaggiano su una media di 39,5 ore