AMERICA LATINA, NUCLEARE, ENERGIA
CORRIERE LUN. 8/5/2006
Rocco Cotroneo
RIO DE JANEIRO – Anche il
grande e pacifico Brasile si prepara ad entrare nel ristretto club delle
potenze atomiche. Senza troppo clamore – né qui né all’estero – il governo
Lula ha annunciato venerdì l’inaugurazione di un centro per l’arricchimento
dell’uranio, non lontano da Rio de Janeiro. L’obiettivo è arrivare nel
giro di pochi anni al possesso del ciclo integrale di produzione di energia
atomica, a fini esclusivamente pacifici. Il Brasile ha oggi due centrali in
attività, ad Angra dos Reis, metà strada tra Rio e San Paolo, e si
prepara a costruirne una terza. L’energia dell’atomo è responsabile di una
piccola fetta dei consumi del Paese (1-2 per cento), ma concentrati nelle
regioni più popolose e industriali. Finora l’arricchimento dell’uranio è
avvenuto in Europa, a cura della Urenco, dove il minerale – di cui è ricco il
sottosuolo brasiliano – viene spedito per nave. Da tempo, però, il Brasile
ha dichiarato l’intenzione di far da solo, perché in possesso di una tecnologia
molto avanzata.Il programma nucleare ha provocato negli ultimi anni alcune frizioni tra il
Brasile e la Aiea, l’agenzia Onu per l’energia atomica. Il governo Lula
dichiara oggi risolta la questione, ma il parallelo con il delicato caso
dell’Iran è inevitabile, oltre che di stretta attualità. Pur essendo firmatario
dei trattati di non proliferazione, il Brasile ha opposto una notevole
resistenza alle ispezioni dei suoi impianti, trincerandosi dietro il segreto
industriale. I tecnici del programma brasiliano sostengono che le
centrifughe sviluppate in casa sono le più moderne del mondo, 25 volte più
efficienti di quelle in uso negli Stati Uniti e in Europa. Dopo un lungo tira e
molla, l’Aiea ha effettuato ispezioni lo scorso anno, accettando che i
brasiliani coprissero le macchine con schermi opachi e limitandosi a
controllare il processo.
Superati i dubbi tecnici sono rimasti quelli di opportunità politica,
proprio a causa della questione iraniana. Brasilia dichiara intenzioni non
dissimili da quelle di Teheran. Parla di fini pacifici, nega l’obiettivo di
arrivare alla bomba e sostiene che i propri impianti sono in grado di
arricchire l’uranio-235 a meno del 5%, ben lontano dal 95% necessario per
costruire una testata nucleare. Ovviamente la comunità internazionale guarda
ai due casi con occhi diversi. Nella sua storia il Brasile ha combattuto la sua
ultima (e unica) guerra nel 1866, contro il piccolo Paraguay e il Sudamerica
non è l’area più calda del pianeta. Il sogno della bomba venne accarezzato
negli anni Settanta, ma si era in pieno regime militare. Due anni fa gli Stati
Uniti, per bocca di Colin Powell, si sono detti «certi» sulle intenzioni
pacifiche del programma brasiliano.
L’obiettivo dell’autosufficienza atomica suscita dubbi residui in alcuni
osservatori perché il governo Lula ha appena annunciato trionfalmente la fine
delle importazioni di petrolio, un obiettivo inseguito per 43 anni. Una certa
idea di grandeur continentale è probabilmente parte della vicenda. Il Brasile
insegue caparbiamente un posto del consiglio di sicurezza dell’Onu. E il recente
smacco con la nazionalizzazione del gas boliviano ha dimostrato invece quanto
le pretese di leadership regionale restino fragili.