Spreco Nassiriya

ITALIA, IRAQ, DIFESA

ESPRESSO 4/5/2006   
Gianluca Di Feo

Cento milioni di spese militari per ogni milione di
aiuti. Fondi record al Sismi e alla Croce rossa. Risultato: la missione in Iraq
ha inghiottito oltre un miliardo e mezzo di euro


Nella
missione “Antica Babilonia” le spese militari e di intelligence sono quasi il
doppio delle spese umanitarie, spesso molto elevate in rapporto al beneficio
apportato.


Abbiamo speso più per gli 007 che per gli aiuti. È il
paradosso più grande della missione italiana in Iraq, una spedizione nata per
favorire la ricostruzione del Paese dopo gli anni della dittatura di Saddam
Hussein e soprattutto per dare sollievo alla popolazione stremata da embargo e
combattimenti. Doveva essere una missione umanitaria: invece a Nassiriya
l’Italia ha investito più negli agenti segreti che nel sostegno agli iracheni. Nei
primi sei mesi del 2006 il bilancio approvato dal governo per l’operazione
Antica Babilonia prevede 4 milioni di euro di aiuti e ben 7 milioni "per
le attività di informazioni e sicurezza della presidenza del Consiglio dei
ministri", ossia per gli inviati del Sismi. E la stessa cosa è avvenuta
sin dall’inizio: in tre anni l’intelligence ha ottenuto circa 30 milioni di
euro mentre per "le esigenze di prima necessità della popolazione locale"
ne sono stati stanziati 16
. Un divario inspiegabile, che sembra mostrare
l’Italia più interessata allo spionaggio che al soccorso di quei bambini per i
quali era stata decisa la partenza di un contingente senza precedenti: oltre
3.500 militari con mille veicoli.

Ma a leggere i dati contenuti nella monumentale relazione pubblicata sul sito
dello Stato maggiore della Difesa, tutta l’operazione Antica Babilonia
appare come una voragine, che inghiotte finanziamenti record distribuendo
pochissimi aiuti. O meglio, i conti mettono a nudo la realtà che si vive a
Nassiriya: non è una missione di pace, ma una spedizione in zona di guerra.
Finora infatti sono stati stanziati 1.534 milioni di euro, poco meno di 3 mila
miliardi di vecchie lire, per consegnare alla popolazione della provincia di
Dhi-Qar poco più 16 milioni di materiale finanziato dal governo
: un
rapporto di cento a uno tra il costo del dispositivo militare e i beni
distribuiti. In realtà, però, la spesa totale per le forze armate italiane a
Nassiriya è addirittura superiore a questa cifra
: tra stipendi, mezzi
distrutti ed equipaggiamenti logorati dal deserto la cifra globale calcolata da
‘L’espresso’, consultando alcuni esperti del settore, si avvicina ai 1.900
milioni di euro
.

Intelligence a go-go Su tutte le pagine del rapporto dello
Stato maggiore Difesa, disponibile sul sito web, è stampata la dicitura: ‘Il
presente documento può circolare senza restrizioni’. Solo nelle ultime 20
pagine questo timbro non compare. Ed è proprio nella nota finale sugli aspetti
finanziari di Antica Babilonia che compaiono le notizie più delicate. A partire
dalla voce: ‘Attività di informazioni e sicurezza della PCM’, ossia della
Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tratta dei fondi extra consegnati
agli agenti del Sismi che operano in Iraq: non si sa se lo Stato maggiore li
abbia indicati per voto di trasparenza, per errore o per una piccola mossa
perfida. Di fatto, finora le disponibilità degli 007 erano un mistero,
oggetto di grandi illazioni soprattutto per quanto riguarda la gestione dei
sequestri di persona. Da anni si discute delle riserve usate dalla nostra
intelligence per comprare informatori o per eventuali riscatti pagati durante i
rapimenti. Adesso queste cifre permettono di farsi qualche idea del costo dei
nostri 007 in azione
. Per i primi sei mesi del 2003, purtroppo, lo Stato
maggiore non è illuminante: la provvista è mescolata assieme alle spese di
telecomunicazioni, quelle dei materiali per la guerra chimica e quella per il
trasloco delle truppe. In totale poco meno di 35 milioni. Facendo il confronto
con i bilanci dei semestri successivi, si potrebbe ipotizzare che al Sismi
siano andati circa 4 milioni di euro. In ogni caso, gli stanziamenti diventano
poi espliciti: 9 milioni nel 2004, 10 milioni nel 2005, 7 milioni già
disponibili per i primi sei mesi di quest’anno
. Una somma compresa tra i 50
e i 60 miliardi di vecchie lire, destinata soltanto a coprire i sovrapprezzi
delle missioni top secret in territorio iracheno, a ricompensare gli
informatori e, verosimilmente, alla gestione dei sequestri di persona. Quelle
operazioni che hanno determinato il ritorno a casa di sei ostaggi, grazie anche
al sacrificio del dirigente del Sismi Nicola Calipari. Un ultimo dato: dalla
stessa relazione dello Stato maggiore apprendiamo che il Sismi ha avuto altri
23 milioni e mezzo per la missione in Afghanistan. Anche in questo caso, la
dote degli 007 supera di gran lunga il valore dei beni distribuiti alla
popolazione
.

La lontananza è cara Le voci trasporti e telecomunicazioni
della spedizione hanno importi choc. Per i viaggi avanti e indietro dei
reparti, dei rifornimenti e degli equipaggiamenti, sono stati spesi finora 125
milioni di euro. Ogni quattro mesi infatti le brigate impegnate a Nassiriya
vengono sostituite: devono tornare in Italia con le loro dotazioni di materiali
e armi leggere
. Veicoli e scorte invece restano sempre in Iraq, salvo
quando il logoramento impone di rimpiazzarli. Sorprendente anche la
‘bolletta del telefono’: 11 milioni in 18 mesi. Non si tratta delle chiamate a
casa dei soldati o dei carabinieri, ma del flusso di telecomunicazioni via
satellite per l’attività dei militari
: i contatti con l’Italia, quelli con
i comandi alleati e molte delle trasmissioni radio sul campo. Pesante pure
il capitolo ‘Croce rossa italiana’: si tratta di oltre 32 milioni di euro. E
riguardano il solo ospedale di Nassiriya, quello che fornisce assistenza medica
ai nostri militari. Questa struttura ha soltanto come scopo secondario
l’attività in favore della popolazione locale: 450 ricoveri in tre anni
.
Nel 2003 la Croce rossa aveva a Nassiriya 85 persone, poi scese a 70:
dall’inizio della missione si tratta di una spesa media per ogni operatore
sanitario di oltre 400 mila euro
. Perché? La risposta ufficiale chiama in causa
le indennità straordinarie e le difficoltà di trasferire medicinali e
apparecchiature. L’ospedale da campo creato a Baghdad nel 2003, invece, era
finanziato con i fondi del ministero degli Esteri: il costo era ancora più
alto, ma i pazienti erano tutti iracheni
.

Farnesina tecnologica La quota più consistente dei fondi
destinati alla rinascita dell’Iraq viene gestita dalla Farnesina: 103 milioni
di euro. La fetta maggiore è stata inghiottita dall’ospedale di Baghdad e dalla
difesa dell’ambasciata. Ci sono poi numerose iniziative ad alta tecnologia,
tutte realizzate in Italia e alcune di discutibile utilità: 5 milioni per la
rete telematica Govnet che dovrebbe connettere i ministeri di Bagdad; 800 mila
euro per la ricostruzione virtuale in 3D del museo di Bagdad. I programmi di
formazione invece prevedono che il personale iracheno frequenti dei corsi in
Italia
: una procedura sensata quando si tratta di lezioni per dirigenti o
tecnici di alto livello, forse meno quando comporta il trasferimento a Roma di 30
orfani destinati a imparare il mestiere di falegname, barbiere o sarto. Più
concreti gli interventi gestiti dal Ministero attraverso la Cooperazione per la
ricostruzione dell’agricoltura, del sistema scolastico e di quello ospedaliero
:
ma nei primi 18 mesi nella regione di Nassiriya erano stati realizzati progetti
per soli 3,7 milioni.

Armata ad alto costo Tra aiuti diretti consegnati dai
militari e progetti, concreti o virtuali, della Farnesina in tutto sono stati
stanziati 119 milioni di euro
. Secondo lo Stato maggiore, per il
contingente armato finora sono stati messi a disposizione 1.418 milioni di
euro. Ma è un stima parziale: non tiene conto del costo degli stipendi, del
logoramento dei mezzi, di molte delle parti di ricambio
. Non tiene conto
dell’elicottero distrutto in missione, dei dieci veicoli Vm90 annientati negli
attacchi, delle munizioni esplose, della base dei carabinieri cancellata
dall’attentato del 2003. Non tiene conto del terribile bilancio di vite
umane: 22 tra carabinieri e soldati caduti e 61 feriti in azione, altri sette
morti e sette feriti in incidenti. In più un civile ammazzato nella strage del
12 novembre 2003 e un altro ferito. Un sacrificio giustificato dai risultati?
Di sicuro, non si può chiamarla una missione di pace. Nei quattro mesi ‘più
tranquilli’ i parà della Folgore hanno distribuito beni o avviato progetti pari
a 4 milioni di euro, finanziati dal governo o da istituzioni e aziende
italiane: in più hanno vigilato sulla nascita di iniziative internazionali per
altri 6 milioni di dollari
. Nella fase di crisi della battaglia dei ponti,
invece la brigata Pozzuolo del Friuli si è fermata a meno di 4 milioni di
dollari tra attività portate a termine o soltanto avviate. Ormai è difficile
anche controllare a che punto sono i lavori nei cantieri: ogni sortita è
pericolosa
. Per questo il comando di Nassiriya ha ipotizzato di usare gli
aerei-spia senza pilota, i Predator, che con le telecamere all’infrarosso
possono verificare se i macchinari sono accesi o se i manovali ingaggiati dalla
Cooperazione stanno perdendo tempo. Certo, si potrebbe affidare la sorveglianza
alle autorità irachene: grazie a un programma della Nato abbiamo addestrato
2.600 soldati e 12 mila poliziotti locali. Eppure tanti uomini in divisa non
sono bastati a impedire che un’imboscata venisse messa a segno a pochi metri
dal commissariato più importante.

Aiuti oltre i limiti Soldati e carabinieri escono ancora
dalla loro base per sostenere la popolazione. Prima della strage del 2003 lo
facevano molto di più
: fino a quel momento la brigata Sassari aveva
percorso un milione e 900 mila chilometri; dopo di loro i bersaglieri della
Pozzuolo del Friuli ne hanno macinati solo 460 mila. C’è un dato che fotografa
la situazione meglio di ogni altra analisi: poco meno di 2 milioni di
chilometri totalizzati dalle colonne dell’Esercito in quattro mesi prima
dell’attentato, altrettanti percorsi nei 24 mesi successivi. Eppure,
nonostante i rischi altissimi testimoniati dall’attacco costato la vita a due
carabinieri e un capitano dell’Esercito, i nostri militari non rinunciano a
condurre le attività umanitarie. Cercano di costruire scuole e ambulatori,
forniscono macchine ai laboratori artigianali e all’unica raffineria. Per
evitare imboscate, lo fanno di sorpresa
: arrivano nei villaggi
all’improvviso, scaricano doni e materiali, poi ripartono. Se invece c’è
qualche cerimonia ufficiale, tutta l’area viene presidiata in anticipo con
cecchini e blindati. Insomma: una situazione di guerra. Ma nessuno si sottrae
ai pericoli. Anzi, tutti i reparti fanno più del necessario
. Prima di
partire per l’Iraq, c’è una sorta di questua tra istituzioni locali e aziende
della zona dove ha sede la brigata per raccogliere aiuti da distribuire: spesso
i reparti mettono insieme una quantità di merci superiore ai fondi governativi.
Inoltre in occasioni particolari, ci sono collette tra i soldati per acquistare
riso o medicinali. O iniziative straordinarie, come quella della famiglia del
maresciallo Coletta, una delle vittime del la strage del novembre 2003, che ha
mandato un container di farmaci per un ospedale pediatrico. Ma a tre anni dalla
caduta di Saddam ha ancora senso rischiare la vita di 20 militari per
consegnare un camion di riso e medicine?

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