CHIESA, CINA
REPUBBLICA Lun.
1/5/2006 Fabio Cavalera
L’ordinazione di Ma
Yinglin è un freno al dialogo e un avvertimento per il porporato dell’ex
colonia, sostenitore del movimento democratico
La Chiesa patriottica ignora la Santa Sede. Il cardinale
di Hong Kong: la nomina? Un sabotaggio
PECHINO – «Questo è
sabotaggio». Monsignor Joseph Zen non ha usato mezzi termini. Pur essendo
raffinato tessitore di relazioni diplomatiche il cardinale di Hong Kong (ma è
nato a Shanghai) ha usato un’espressione forte per commentare l’ultimo ostacolo
che all’improvviso è stato piazzato sulla intricata strada del disgelo fra
Vaticano e Cina.
La Chiesa Cattolica Patriottica, che risponde al governo di Pechino, ha
deciso di ordinare vescovo di Kunming, capitale della provincia meridionale
dello Yunnan, il prelato quarantenne Ma Yinglin, senza avere consultato e avere
ottenuto il consenso della Santa Sede. Formalmente si tratta di un atto
corretto: i rapporti bilaterali sono infatti rotti dal 1951 e la Repubblica
Popolare da quando ha avocato a sé il diritto di regolare il culto delle
religioni si è pure appropriata della facoltà di promuovere a sua discrezione i
responsabili delle diocesi. Rientrando, secondo Pechino, questa attività
nella sfera degli «affari interni» dello Stato.
Il gesto ha però una valenza politica per diverse ragioni. Da un paio d’anni
Vaticano e Cina, nel tentativo di riannodare il discorso di un reciproco
riconoscimento, avevano trovato un punto di equilibrio nella prassi di lasciare
alla Santa Sede il diritto di indicare un nome o una rosa di nomi di candidati
vescovi e di attribuire a Pechino il diritto di scelta. Così è avvenuto per
le cariche ausiliarie di Shanghai e di Xian, nonché per quella ordinaria di
Suzhou. Ciò nell’attesa di un accordo complessivo sullo scambio delle
rappresentanze diplomatiche fra Vaticano e Cina, percorso che spalancherebbe le
porte della Grande Muraglia al viaggio storico del Papa. Confermavano un simile
scenario sia le parole del 25 marzo del «ministro degli Esteri» della Santa
Sede, monsignor Lajolo, che ribadiva la volontà di indicare in Pechino l’unico
governo legittimo del popolo cinese e la disponibilità a rompere le relazioni
con Taiwan, sia le parole di Ye Xiaowen presidente della Chiesa Patriottica il
quale affermava che «la normalizzazione potrebbe avvenire presto».
Alla luce di questa situazione il «sabotaggio» trova due letture
complementari. Non vi è dubbio che all’interno del regime lo scontro fra
innovatori riformisti e conservatori abbia acquistato nelle ultime settimane
maggiore consistenza. Ciò si verifica sulle scelte generali di politica
economica ma anche su questioni delicate come lo è il negoziato con il
Vaticano. L’ordinazione episcopale unilaterale si spiegherebbe con una
forzatura compiuta proprio dai settori meno inclini all’apertura e determinati
a frenare le possibilità di dialogo. Vi è però una interpretazione aggiuntiva
in chiave interna. La scelta di Pechino starebbe a indicare un ammonimento
al cardinale di Hong Kong, uomo impegnato nella difesa del movimento
democratico e animatore della lotta per il suffragio universale nella ex
colonia inglese. Appuntamento attorno al quale si sta disputando una
controversia importantissima. Nel 2008 a Hong Kong si dovrebbero svolgere
elezioni libere ma Pechino le ha unilateralmente congelate nel timore che si
apra una breccia «separatista» al fianco di quella già esistente a Taiwan.
Il movimento democratico chiede di trattare una nuova scadenza (per ora senza
risultato) e minaccia di ritornare in piazza. L’ordinazione avrebbe dunque il
valore di un invito alla prudenza rivolto a uno degli ispiratori della
battaglia democratica.
La risposta del cardinale di Hong Kong è stata un fax alla Chiesa
Patriottica, il braccio del regime che si occupa degli affari religiosi.
«Chiunque esercita pressioni sul clero al fine di condurre alle ordinazioni
senza l’approvazione della Santa Sede sabota il negoziato Sino-Vaticano». In
aggiunta Zen ha chiesto la sospensione della nomina di Ma Yinglin, ritenuto
troppo allineato alla posizioni del governo, al fine di valutare congiuntamente
la situazione.
Trarre conclusioni è prematuro e affrettato. I canali della trattativa non si
sono interrotti. La storia della diplomazia cinese degli ultimi 35 anni insegna
che Pechino pur con le sue contraddittorie dinamiche conosce alla perfezione
l’arte di tramutare i peggiori nemici in buoni amici.