FRANCIA, PRECARIETÀ
Rep ANAIS GINORI
Si chiama Simon, ha 24 anni,
ha preso una laurea e un master, parla tre lingue. Lavora in un call center,
dove ogni lunedì firma un contratto che dura fino al venerdì. È tra i leader del
movimento anti-Cpe e racconta: "Tutto è partito quando alla mia amica
Kathy hanno proposto il nono stage non retribuito…"
«Mi chiamo Simon, ho 24 anni, nel 2002 mi sono laureato
in scienze politiche, nel 2004 ho preso un master in storia europea, parlo tre
lingue. Lavoro in un call center. Passo le mie giornate a chiamare la gente
chiedendo cose come: "Siete soddisfatti della vostra nuova macchina? Avete
problemi con l´air bag?". Indagini di mercato. Il mio contratto è di
cinque giorni, rinnovabili. Lunedì firmo, venerdì sono licenziato. Lunedì firmo
di nuovo. Sono sei mesi che vado avanti, a casa ho una pila di contratti alta
così. A volte l´azienda mi comunica a metà giornata che ho finito i miei
compiti e devo andarmene: sono pagato a ore e non si può sgarrare di un
secondo. All´inizio mi dava fastidio essere cacciato in questo modo, poi ci ho
fatto l´abitudine. Dicono che siamo lavoratori-kleenex, usa e getta».
Montreuil, periferia est di Parigi. In una rosticceria araba, Simon ingurgita
rapidamente spiedino, riso, tè. «Ho un´ora, solo questa pausa per parlare.
Dopo? Al telefono è escluso, nell´orario di lavoro deve essere spento. Stasera
sono in riunione con i ragazzi del collettivo. Possiamo risentirci domani
durante la pausa?». Ha ancora la faccia da bambino, grandi occhi scuri, capelli
corti, pochissima barba. È vestito con scarpe nere lucide e indossa un paltò
marrone elegante. «Il nonno mi ha spedito qualche soldo per comprarmi i
vestiti. Spera che servirà. Piange spesso, mio nonno. Mi chiama in lacrime:
"Possibile che in Francia non ci sia posto per i giovani?". La mia
sorella gemella vorrebbe diventare maestra e sta tentando per la terza volta il
concorso pubblico. Questo è un paese che per tanti anni ci ha dimenticati. Ma
ho fiducia, credo che adesso, con questo nuovo movimento, qualcosa cambierà.
Davvero, lo credo».
Simon viene dalla campagna. Suo padre era allevatore di mucche, la madre
libraia a Privas, un piccolo villaggio nelle valli dell´Ardèche. «Quella di
mamma era l´unica libreria nel raggio di cento chilometri. Sono cresciuto
sognando la capitale, lo sbarco nella grande metropoli. E per uno come me, di
modeste origini, c´era solo una strada: studiare. Diploma ad Avignone, laurea a
Marne-la-Vallée, master alla Sorbona. Ho fatto tutto il percorso, sempre
massimo dei voti. Grazie alle borse di studio ho anche viaggiato, in Gran
Bretagna, in Spagna, è così che sono diventato poliglotta. A settembre i miei
professori mi hanno proposto di fare un dottorato. Ma senza borse di studio non
me lo posso permettere. Allora ho detto basta, tento il grande salto, è
arrivato il momento di entrare nella vita attiva».
Piove e c´è il sole, sono giornate incerte, anche per la Francia. Il
collettivo a cui appartiene Simon si chiama Génération précaire. Sono tutti
ragazzi che stanno finendo gli studi e si affacciano nel mondo del lavoro con
grandi speranze, scontrandosi contro porte chiuse, boulots alimentaires, i
piccoli lavoretti di sussistenza, contratti capestro. «Tutto è
cominciato il giorno che alla nostra amica Kathy è stato proposto di fare il
nono stage non retribuito. Per la prima esperienza si può capire ma se diventa
normale lavorare senza essere pagati significa che c´è qualcosa di sbagliato
nel sistema. A novembre, Kathy ha creato un sito per proporre uno sciopero
nazionale degli stagisti. In poche settimane è stata travolta da un´onda. Oltre
quattromila testimonianze di ragazzi come noi che si sentono sfruttati e
umiliati. Un editore ci ha contattati per fare un libro con le nostre storie,
ho scritto l´introduzione, uscirà tra venti giorni. Poi ci hanno cercato da
altri paesi, da Barcellona, Berlino, anche da Milano: in Italia i precari non
si sono ancora organizzati, vero? Ecco, stiamo pensando di fare una grande
rete europea di noi giovani lavoratori usa e getta».
Durante le manifestazioni contro il Cpe quelli di Génération Précaire vanno
in giro con il volto coperto da una mascherina. Invisibili, come i centomila
ragazzi che ogni anno entrano ed escono nelle aziende con gli stage. Un mese,
massimo sei mesi, poi «grazie, arrivederci». «Neanche grazie. Gli impiegati
garantiti spesso non sanno il nostro nome». Dal 16 gennaio, giorno di
approvazione del Cpe, Simon è in prima linea nelle proteste. «È un puro
ricatto: ci vogliono convincere che un contratto precario è meglio di niente.
Tra un po´ saremo noi che dovremo pagare per fare qualche esperienza
professionale».
Simon guadagna, quando va bene, 800 euro al mese. Sopravvive con la
debrouille, l´arte di arrangiarsi, in cui si è specializzato. Vive in un
monolocale di diciotto metri quadri con l´amico Eric, quartiere Oberkampf. «Mi
è andata bene, stare in banlieue ti fa spendere molti più soldi per i mezzi».
Centoquaranta euro di affitto ciascuno, in nero, grazie a un amico di un´amica.
«Scordati di trovare un proprietario che fa un contratto a quelli come noi. E
se hai bisogno di soldi nessuna banca ti farà mai credito. Te l´ho detto, siamo
invisibili».
Al mattino Simon è andato da Manpower, l´agenzia interinale con cui ha trovato
il lavoro. Lo fa ogni settimana. «Per essere selezionato ho dovuto soltanto
passare un test di ortografia. La ragazza accanto a me non è stata presa perché
aveva scritto male Washington. So che attualmente occupo il posto che
dovrebbe essere di una persona meno qualificata ma cosa posso farci?
L´ascensore sociale si è rotto e invece di salire ormai va solo giù».
L´ascensore sociale è un concetto fondante della République, la teoria secondo
cui grazie all´educazione tutti, anche i figli delle classi più povere, possono
staccare un biglietto per un futuro migliore.
Per Simon è già tanto sapere cosa farà tra una settimana. «A volte mi
lasciano a casa per tre giorni senza dirmi nulla poi mi telefonano: "Tra
due ore devi stare qui, abbiamo bisogno". Questa è la flessibilità».
Prima del call center, ha fatto l´imbianchino, il fattorino, il raccoglitore di
mele in Provenza. Definisce il suo curriculum professionale «orribile» ma lo
dice senza risentimento. «Non ci sto più male. All´inizio passavo notti
d´insonnia. È stato grazie al collettivo che sono guarito». Dice proprio così,
come fosse una malattia. «C´è un grande conforto psicologico nell´incontrare
persone come me, con le stesse paure, il dubbio di non essere buono a niente,
con gli stessi banali problemi: cosa raccontare ai genitori? Come comportarsi
all´ennesimo colloquio in cui ti propongono di fare un altro stage?».
Il rito quotidiano del precario è la visita al sito dell´Anpe, l´agenzia
nazionale per l´impiego, in cui sono inserite tutte le offerte di lavoro. Simon
non ha linea telefonica né computer («Sto mettendo da parte i soldi per
comprarlo dopo l´estate») e quindi va a collegarsi negli Internet café.
«Giovani di meno di 26 anni scoprite qual è il vostro spazio» c´è scritto nella
prima pagina che rimanda a una guida ai contratti. È dal 1994 che i governi
francesi tentano di scovare qualche soluzione per porre fine alla
disoccupazione giovanile, il primo fu Edouard Balladur con lo Smic-Jeunes
(salario d´ingresso). Il Cpe è il settimo della serie di contratti speciali,
sempre rivolto a chi è sotto la fatidica soglia dei 26 anni. «Ci trattano
come una categoria a parte, impedendoci di diventare adulti. Finiremo tutti
come Tanguy» scherza Simon. Tanguy è il famoso film che deride il trentenne
ancora a carico di mamma e papà, situazione piuttosto anomala in Francia.
Con il suo collettivo, Simon ha organizzando molte azioni di protesta. I
militanti di Génération Précaire sono stati ricevuti dal primo ministro
all´Hotel Matignon, poi anche dai sindacati, dall´Ump (il partito neogollista)
e dai socialisti, dal Medef, la confederazione delle imprese. Simon è rimasto
sempre deluso. «Quando mi dicono che stiamo facendo un nuovo Sessantotto mi
arrabbio. Siamo messi molto peggio dei nostri genitori, a noi è proibito
sognare. Però una cosa in comune con quegli anni la vedo: la classe dirigente è
completamente staccata dalla realtà e ci disprezza. Mi dispiace quando dicono
che siamo dei conservatori, che vogliamo difendere vecchi privilegi: abbiamo
invece molte proposte da fare e chiediamo ascolto. Il primo ministro per
esempio non ha ritenuto di consultarci quando ha fatto la nuova legge sugli
stage, l´abbiamo saputo dalla televisione».
Martedì Simon sarà di nuovo in piazza. «Sono contro la violenza ma vedendo il
muro che hanno alzato contro di noi ammetto che sono tentato di spaccare tutto
come hanno fatto alcuni ragazzi a place des Invalides». Una casa normale, una
famiglia normale: sono speranza lontane. «So che ci vorrà del tempo. Mi
piacerebbe lavorare nella cooperazione internazionale». Quanto tempo? «Aspetto
ancora quattro, cinque anni poi se sto ancora in questo pantano vado
all´estero». Le manifestazioni, le proteste, andrete avanti? «Lo spero.
Comunque ormai siamo sulla scena e l´anno prossimo si vota: dovranno fare i
conti con noi». Simon, hai l´impressione che qualcuno abbia tradito una
promessa? «Non sono uno stupido, lo vedo che il mondo è cambiato. Ma quelli più
grandi di me, gli adulti, lo hanno capito?». Simon non può aspettare la
risposta. Tempo scaduto. Guarda l´ora sul suo telefonino, saluta e si alza. «La
pausa di un´ora è finita, e se arrivo in ritardo perdo anche il mio
contratto-kleenex».