USA, CANADA, IRAQ
Cds Ennio Caretto
Molti soldati hanno già chiesto asilo politico E
raccontano le atrocità cui hanno assistito
I disertori USA che chiedono asilo politico in CANADA
sono solo una ventina ma hanno guastato i rapporti fra i due paesi
WASHINGTON – Josh Key, 27 anni, moglie e due figlie, è un
disertore. Alla fine del 2004, dopo otto mesi in Iraq, scappò in Canada,
dove la famiglia lo raggiunse agli inizi del 2005. Negli Stati uniti è un
ricercato, deferito alla Corte marziale. Ma il soldato Josh Key spera di
evitarla: ha chiesto asilo politico alla Commissione dei rifugiati canadese,
e se glielo daranno cambierà cittadinanza. Venerdì alla prima udienza ha
spiegato i motivi della diserzione. «In Iraq assistetti ad atrocità
inenarrabili anche da parte nostra. Commilitoni che giocavano al calcio con
la testa di un iracheno decapitato, un ufficiale che sparava al piede a un
civile, e botte feroci agli arrestati», ha raccontato. «A un certo punto non
resistetti più: il nostro motto era prima spara poi interroga, ne andavano di
mezzo solo gli innocenti tra noi soldati e tra gli iracheni». Alla prima
licenza, Key, un artificiere che aveva ricevuto alcuni encomi, disse al
Pentagono che non intendeva ritornare al fronte, ma fu ammonito che sarebbe
stato incarcerato. «Mi avevano insegnato come fuggire se catturato dai
terroristi», ha concluso amaramente «e non mi fu difficile imboscarmi. Passai
qualche mese a Filadelfia, poi venni segretamente in Canada».
Non è chiaro se la Commissione concederà asilo politico all’artificiere, forse
no, ha già respinto le richieste di altri due soldati americani, Jeremy
Hinzman e Branden Hughes, che sono ricorsi subito in appello. Ma Jeffrey House,
l’avvocato di Toronto che rappresenta i disertori, è fiducioso. House, un
americano naturalizzato canadese, visse in prima persona il loro dramma quasi
quaranta anni fa. «Mi rifugiai in Canada per non andare a combattere in
Vietnam», ricorda. «Le autorità esitarono ad accogliermi, ma poi mi
aprirono le braccia. Non tornai più indietro». L’avvocato sottolinea che le
diserzioni non sono un fenomeno di massa, «i rifugiati qui ammontano a poco più
di una ventina». Ma ammette che causano un grave imbarazzo e tensione nei
rapporti tra gli Stati Uniti e il Canada. «Negli ultimi anni migliaia di
americani, contrari al bushismo, si sono trasferiti qui. In grande maggioranza
i canadesi sono inoltre contrari alla guerra in Iraq. La nostra ospitalità ai disertori
è perciò considerata un tradimento da molti a Washington», dice.
Lo è al punto tale che i conservatori Usa, già critici del «socialismo
canadese» (il welfare state), definiscono il Canada «il Canadukistan
sovietico» e reclamano sanzioni contro di esso. A loro giudizio, il vicino
sarebbe passato dalla parte del nemico nella lotta globale al terrorismo e
potrebbe divenire un covo islamico. «È un’assurdità», lamenta House, ma le
loro pressioni hanno costretto l’amministrazione a irrigidire i controlli alle
frontiere e a limitare l’immigrazione. Dopo la sconfitta del premier
«liberal» Paul Martin alle elezioni canadesi, un avversario dichiarato del
presidente Bush, i rapporti tra i due Paesi sono tuttavia molto migliorati.