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CORRIERE Sab. 1/4/2006
Danilo Taino
La «Guerra fredda» della Wto sta prendendo forma. La
spettacolare alleanza tra Stati Uniti e Unione europea che, assieme, hanno
deferito la Cina all’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto), è una
mossa contro una potenza emergente che di rado si è vista. Ma c’è molto di più:
l’istituzione di Ginevra sta diventando terreno di scontro non più solo
commerciale ma sempre più geopolitico. La Russia, in particolare, in questi
giorni è al centro di un braccio di ferro nel quale si parla di energia,
aerolinee,
proprietà intellettuale ma si pensa ai futuri equilibri sul pianeta.
È dal 1993 che Mosca sta discutendo la sua entrata nella Wto e un paio d’anni
fa pareva che la questione potesse essere risolta in breve tempo. Dopo una
serie di rinvii, una data informale era stata fissata per la fine del 2005.
Passata quella senza risultati, il presidente Vladimir Putin pensava di poterci
riuscire prima del prossimo G8, fissato per luglio a San Pietroburgo. Ora,
però, si dà per certo che anche quella data salterà e non è nemmeno detto che
l’ingresso possa avvenire per la fine del 2006. Addirittura, comincia a
circolare l’ipotesi che il Cremlino possa ritirare la candidatura: pur di non
aprire l’economia, in particolare il settore energetico, Putin rinuncerebbe
così a sedersi al fianco delle altre potenze economiche e spingerebbe la Russia
in una posizione di «fuorilegge» del libero mercato.
Lo scontro è forte innanzitutto con Washington e, tre giorni fa, Putin ha
accusato gli Stati Uniti di rallentare «artificialmente» le trattative
sull’ingresso russo nella Wto. E ha aggiunto che la Russia è ancora interessata
a entrare nell’Organizzazione del commercio «ma solo a condizioni
economicamente vantaggiose». Il fatto è che, per essere accettato tra i
quasi 150 membri della Wto, ogni Paese deve trattare con gli altri, o con
gruppi di essi, e raggiungere accordi di liberalizzazione. Con gli Stati Uniti,
l’Australia e la Colombia, Mosca non ci è ancora riuscita. Con la Ue ha
raggiunto un accordo ma a Bruxelles l’irritazione sta crescendo e l’Europa
potrebbe riconsiderarlo.
Pochi giorni fa, il commissario ai Trasporti Jacques Barrot ha detto a Mosca di
annullare le tariffe che impone sui voli sopra la Siberia perché sono contrarie
agli accordi Wto: se la questione si ingigantisse, notano gli esperti, potrebbe
diventare una scusa per alzare il livello dello scontro. In realtà, l’irritazione
europea riguarda la politica energetica: a inizio marzo, il presidente della
Commissione, José Manuel Barroso, è andato a Mosca per chiedere a Putin di
aprire il mercato russo del petrolio, del gas e del trasporto di energia ma è
tornato a mani vuote. Dal momento che la sicurezza degli approvvigionamenti
energetici è cruciale per la Ue, la questione è probabilmente destinata a
diventare sempre più seria. Ed è improbabile che Putin sia disposto a
perdere anche solo una parte del suo controllo sulle risorse russe pur di
accedere alla Wto.
Il negoziatore commerciale americano Bob Portman ha detto ieri che la
ragione del ritardo delle trattative con la Russia riguarda in buona misura il
suo rispetto dei diritti di proprietà. In realtà, è ormai chiaro che i
rapporti tra Cremlino e Casa Bianca sono in peggioramento costante e il
nuovo ruolo internazionale che Putin intende avere usando l’arma energetica è
la vera questione. Così, la Wto diventa il terreno di scontro.
Il tutto in un clima internazionale in cui l’accusa di protezionismo non
intimidisce più nessuno. In Europa, si bloccano scalate lanciate da aziende
della Ue in Francia, Spagna, Polonia e ci si oppone all’arrivo di un indiano
nell’acciaio. In America, si bloccano acquisizioni cinesi nel petrolio e degli
Emirati Arabi nella gestione dei porti. E, ora, Bruxelles e Washington portano
Pechino davanti alla Wto per le sue eccessive barriere all’import di componenti
automobilistici. L’arrivo sulla scena di nuovi giganti, insomma, invita tutti a
mostrare i muscoli.