EUROPA, ENERGIA, BIELORUSSIA
CORRIERE Dom. 26/3/2006
FRANCO VENTURINI
Occorreva essere campioni di ottimismo, o piuttosto
campioni di ingenuità, per credere che le restrizioni di viaggio decise
dall’Europa avrebbero spaventato Aleksandr Lukashenko. Il presidente
bielorusso non muore dalla voglia di vedere il Colosseo o la Tour Eiffel.
Gli occhi preferisce tenerli puntati sulla sua poltrona di Minsk. Ed è contro i
coraggiosi oppositori decisi a non accettare il risultato delle elezioni-truffa
di domenica scorsa, infatti, che Lukashenko ha sfogato le propensioni che gli
appartengono: manganelli, lacrimogeni, botte, carcere, maltrattamenti sistematici
secondo quanto denunciato dal candidato rivale (o piuttosto virtuale) Aleksandr
Milinkevich. Nessuna sorpresa, ripetiamo.
Ma anche così il promemoria è
utile, soprattutto se alla repressione in Bielorussia accostiamo le elezioni
che si tengono oggi in Ucraina. A Kiev è forte il clima di disillusione nei
confronti della «rivoluzione arancione» del 2004. Il presidente Viktor
Yushchenko viene accusato da molti di non aver saputo esercitare il mandato
libertario ricevuto, la sua super-telegenica alleata Julia Timoshenko ha scelto
di fare da sé, dopo una storia ancora tenebrosa di favori e corruzione,
l’economia non va bene e Putin ci ha messo del suo alzando a Capodanno i prezzi
del gas destinato al consumo interno dell’Ucraina. Il risultato è che secondo i
sondaggi a vincere le elezioni parlamentari dovrebbe essere il filo-russo
Viktor Yanukovich, quello stesso rappresentante delle industrializzate
province orientali contro la cui elezione fraudolenta a presidente (così si
disse) scoppiò la protesta «arancione». E questa volta non sono previsti
brogli.
A Kiev il gioco delle alleanze potrebbe durare a lungo, e non è sicuro che
Yanukovich vada a coabitare con Yushchenko facendogli da primo ministro. Quel
che è certo, se il partito di Yanukovich arriverà in testa, è invece che dietro
le mura del Cremlino qualche tappo celebrativo salterà.
La Bielorussia rimasta fedele, condannata dall’Occidente ma sanzionata non
troppo severamente perché dietro Minsk tutti vedono Mosca e i suoi preziosi
rifornimenti energetici. L’Ucraina tornata all’ovile addirittura secondo le
regole, senza che nessuno stavolta possa accusare Mosca di interferenza (che
invece c’è stata, via prezzi del gas): per Vladimir Putin sembrerebbe un sogno
realizzato. O piuttosto una bella rivincita.
Aspettiamo con serenità il responso delle urne ucraine. Ma nel frattempo
dovremmo chiederci se in appoggio ai coraggiosi oppositori di Minsk stiamo
facendo tutto quanto possiamo. Dovremmo domandarci se il gas e il petrolio
russo non ci stanno soavemente «finlandizzando», come si usava dire in
altri tempi, inducendoci a non reclamare da Putin una comunanza di valori e di
comportamenti che pure il leader russo dovrebbe difendere in quanto presidente
di turno del G-8. Come è accaduto a Bruxelles e sta accadendo anche altrove,
quando ci daremo una risposta sarà troppo tardi. Ma almeno le nostre case
saranno riscaldate.