EUROPA, BIELORUSSIA
CORRIERE Mer. 22/3/2006 Giuseppe
Sarcina
L’unica misura concreta è la chiusura delle frontiere al
presidente Lukashenko, accusato di aver truccato le elezioni
Il «fronte della prudenza», Italia
inclusa, frena le spinte dei Paesi dell’Est Europa
BRUXELLES – Il minimo indispensabile. La Ue si
prepara a chiudere le frontiere per il leader della Bielorussia, Alexander
Lukashenko, formalmente accusato dai 500 ispettori dell’Osce di aver truccato
le elezioni di domenica scorsa. Niente sanzioni economiche, nessuna pressione
politica per imporre al regime di richiamare i cittadini alle urne.
C’è un fronte interno «della prudenza» che frena la reazione dell’Europa.
Dai governi di Germania, Francia, Italia, Portogallo, Belgio e Austria (cui
fa capo la presidenza di turno della Ue) arrivano dichiarazioni «ferme» e
«severe» (parole usate dal ministro degli Esteri francese Philippe
Douste-Blazy), ma nessuna iniziativa diplomatica concreta.
Ben diverso l’atteggiamento degli ex Stati sovietici ora nel club dei 25
(Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, la Slovacchia, Lettonia, Estonia,
Lituania).
Il blocco dell’Est avrebbe voluto una risposta immediata, simile a quella
degli americani che, fin da lunedì sera avevano dichiarato che le consultazioni
in Bielorussa erano certamente da invalidare. Ma l’altro giorno i
ministri della Ue hanno lasciato cadere persino la proposta più simbolica
possibile, avanzata dal rappresentante della Repubblica Ceca: invitare
il leader dell’opposizione Alexandre Milinkevitch al Consiglio europeo dei capi
di stato e di governo che inizia domani sera a Bruxelles.
La spiegazione ufficiale fornita dalle diplomazie è che si voleva aspettare il
rapporto completo dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione
in Europa), diffuso poi nel pome-riggio di lunedì. E pazienza se Alcee
Hastings, presidente dell’Assemblea parlamentare dell’ Osce, nei giorni scorsi
al lavoro nei seggi di Minsk aveva subito rimarcato: «L’elezione presi-denziale
non è conforme alle norme internazionali richieste per consultazioni libere e
giuste».
In teoria i 25 ministri della Ue avrebbero fatto ancora in tempo a prendere
qualche decisione, ma, nella serata di martedì, si sono limitati a inserire un
paragrafo di «condanna» nel documento finale del vertice e riaggiornarsi al 10
aprile.
Della crisi bielorussa si discuterà anche nel vertice dei leader europei e si
incrocerà con il tema delle relazioni Europa-Russia. Il presidente francese
Jacques Chirac e la cancelliera tedesca Angela Merkel cercheranno di contenere
le spinte dei nuovi dell’Est, in attesa di capire se ci sia qualche margine di
intervento senza entrare in rotta di collisione diretta con Vladimir Putin che
ostenta appoggio pieno al regime di Lukashenko.
Negli ambienti diplomatici di Bruxelles, comunque, si considera che sarà
molto difficile ripetere lo schema «Ucraina 2004». A prima vista ci sono
molti elementi comuni: i brogli, le tende dell’opposizione in piazza, un
candidato riconoscibile da appoggiare. Ma questa volta la Ue non sembra
avere la forza o la volontà politica per condizionare il corso degli eventi.
Ci sarà spazio, al massimo, per interventi, non ancora precisati, di «sostegno
alle popolazione». Come dire: l’Europa respinge il leader della Bielorussia, ma
non il suo Paese.
Il fronte della fermezza
Risposta
immediata come gli Usa
Il blocco dell’Est (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, la
Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, ossia gli ex satelliti sovietici ora
nel club dei 25) avrebbe voluto una risposta immediata, simile a quella degli
americani che, fin da lunedì sera avevano dichiarato che le consultazioni in
Bielorussia erano certamente da invalidare.
Il fronte della prudenza
Evitare
lo scontro con Putin
Dai governi di Germania, Francia, Italia, Portogallo, Belgio
e Austria (cui fa capo la presidenza di turno della Ue) sono arrivate
dichiarazioni «ferme» e «severe» ma nessuna iniziativa diplomatica concreta, in
attesa di capire se ci sia qualche margine di intervento senza entrare in rotta
di collisione diretta con Vladimir Putin che ostenta appoggio pieno al regime
di Lukashenko.