Bankitalia avverte: meno occupazione, più debito

ITALIA, BANKITALIA, ECONOMIA

CORRIERE Ven. 17/3/2006  
Stefania Tamburello

Il Bollettino economico:
Italia ferma, indebitamento pubblico in salita dopo undici anni

ROMA – L’economia si è fermata. E la priorità
non è più contrastare il rallentamento della crescita ma addirittura uscire dal
ristagno. È un quadro tutto in ombra, senza luci, quello abbozzato dalla Banca d’Italia
nel consueto bollettino di primavera
. Un quadro che fa giustizia anche
dell’ultimo, il più resistente elemento positivo della situazione, motivo
d’orgoglio del governo Berlusconi, e cioè l’aumento dei posti di lavoro.
L’occupazione a tempo pieno, per la prima volta dopo dieci anni, diminuisce. In
realtà il numero dei lavoratori sale lievemente ma solo grazie all’espansione
del part time
Tanto che
l’indice misurato sulle unità standard (quelle a tempo pieno) di lavoro è
diminuito dello 0,4%
. E poi ci sono i giovani: per i nuovi assunti la
metà dei lavori disponibili sono a termine e comunque tra i 15 e i 29 anni uno
su quattro è precario
. Sulla finanza pubblica le cifre sono ancora più
amare: il debito pubblico nel 2005 è salito di 2,6 punti rispetto al Pil, più
di quanto aveva previsto il ministero dell’Economia, al 106,4%
. Un
incremento del rapporto non si vedeva dal 1994. L’economia «è in affanno»,
aveva detto due settimane fa al congresso del Forex il governatore della Banca
d’Italia Mario Draghi. Ieri l’analisi congiunturale dell’Ufficio studi di
Palazzo Koch ha fornito i dati e le spiegazioni di tale difficoltà. Che parte
da lontano ma che è peggiorata negli ultimi anni. Il bollettino non fa
riferimenti specifici all’azione di governo. Anzi cerca di evitarli e utilizza
quasi sempre, con poche eccezioni, come parametro temporale della sua analisi
il decennio. Ma certo i grafici e le cifre indicano come negli ultimi anni si
sia riusciti a fare ben poco per contrastare o frenare la tendenza negativa.
Pur in un quadro congiunturale favorevole
. Tanto per fare un esempio il
male strutturale principale dell’economia italiana, la progressiva caduta
della competitività, causata dal ristagno della produttività, ha subito un
crollo verticale del 30% dal 2001 al 2004 contro deterioramenti più ridotti di
Germania (6%) e Francia (13%)
. Ma non basta: il rallentamento
dell’interscambio si è riversato sulla bilancia dei pagamenti annullando
praticamente l’avanzo commerciale
.
I conti pubblici preoccupano non poco gli economisti della Banca d’Italia che
temono il rischio di un insuccesso delle misure di contenimento della spesa,
necessarie per rispettare gli impegni presi il 14 marzo scorso con l’Unione
europea. Il fatto è che per realizzare l’obiettivo bisognerebbe porre un
tetto dell’1% all’aumento della spesa primaria corrente
(nel 2005 è salita
del 4%). E ciò vuol dire che in termini reali «essa dovrebbe segnare una
flessione intorno ad un punto percentuale»
. Impresa quasi impossibile se si
guarda all’esperienza del passato nonché ai dati storici custoditi nell’Ufficio
studi di via Nazionale. Non è mai successo infatti che il governo riuscisse
a tagliare così tanto la spesa complessiva
: il massimo sforzo fu fatto
negli anni dal ’93 al ’97 quando la spesa nella media salì dello 0,5% l’anno.
Senza contare la necessità di «incidere in maniera permanente sui
comportamenti degli enti pubblici»
. In particolare «occorrono regole di
bilancio e meccanismi di finanziamento che rendano le amministrazioni
decentrate pienamente partecipi dell’azione di riequilibrio dei conti
pubblici».
È essenziale «ricondurre rapidamente i conti pubblici su un sentiero coerente
con la stabile riduzione del rapporto tra debito e Pil anche in vista del fine
più generale di trarre l’economia italiana dal ristagno». Lo sviluppo
economico del paese nel corso dell’ultimo decennio «ha rallentato sino ad
arrestarsi indipendentemente dallo svolgersi del ciclo mondiale». A fermarlo
ripete la Banca d’Italia «sono stati i nodi strutturali che bloccano il sistema
produttivo»
.
E la ripresa? Per il 2006 le previsioni indicano, conferma il bollettino, un
incremento di poco superiore all’1%. Un risultato che presuppone un ritorno,
già nel trimestre in corso, a ritmi di sviluppo vicini all’1,5% in ragione
d’anno. In ogni caso tali segnali, dicono gli economisti di Palazzo Koch,
«non delineano ancora un superamento del divario di crescita» di cui l’economia
italiana soffre non solo rispetto agli Usa o alle economie emergenti dell’Asia,
ma anche rispetto agli stessi paesi dell’area dell’euro pure attardati nel
confronto internazionale
. Per questo, insiste la Banca d’Italia, «occorrono
azioni di lunga lena» volte a modificare incisivamente la struttura produttiva
e l’ambiente regolamentare e di mercato in cui essa opera.

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