Italia, Economia, Politica
CORRIERE Mar. 7/3/2006
ROMANO PRODI Leader
dell’Unione
PRODI: uno stato regolatore e non proprietario:
- 5 punti in meno di cuneo fiscale nel 1° anno di
governo - meno finanziamenti e meno prelievi fiscali alle
imprese - liberalizzazioni (ma senza esporsi a
"conquiste" europee) - controllo prezzi al consumo (liberalizzazione
farmaci, servizi) - supporto alla ricerca
- favorire aggregazioni imprese
- trasparenza conti pubblici (nuovo organismo
extragovernativo controllo e previsioni conti pubblici)
Il Governatore della Banca d’Italia e il presidente
della Confindustria ci hanno offerto in questi giorni la loro visione sullo
stato dell’economia italiana. Essi confermano quelle diagnosi per cui, quando
lanciavo ripetuti allarmi sulla situazione economica del Paese, una nutrita
schiera di esponenti della destra si impegnava nel definirmi come una
Cassandra. Dimenticavano che Cassandra aveva la caratteristica di dire sempre
il vero, anche se era condannata dagli dei a non essere ascoltata.
Ebbene, grazie all’Istat, grazie a Moody’s e Standard & Poor’s e, oggi,
grazie a Draghi e Montezemolo, Cassandra, per una volta, vede riconoscere la
ragionevolezza delle sue previsioni.
Non me ne faccio certamente un merito e certamente preferirei confrontarmi con
dati e previsioni meno drammatici. Tuttavia la situazione è tale da richiedere
una presa d’atto coraggiosa che non trovo nell’attuale governo e nell’attuale
maggioranza, concentrata sulla produzione di effetti speciali di tipo
elettorale piuttosto che sulla produzione di proposte e ricette credibili.
Ma è proprio l’emergenza economica ad imporci di non indugiare nelle polemiche
sulle responsabilità gravissime del governo della destra che ha prodotto il
primo quinquennio a crescita zero nella storia della Repubblica italiana.
Preferisco perciò illustrare i provvedimenti e le iniziative che, una volta
al governo, metteremo in atto per fare riemergere il Paese dalla situazione in
cui si dibatte.
Alcuni di essi – come gli interventi a favore della famiglia – sono
già noti. Voglio invece concentrarmi sulle misure necessarie a innescare
l’effetto combinato di ripresa economica e risanamento delle finanze
pubbliche. Questa è infatti la strada che vogliamo e dobbiamo percorrere.
Questa politica si concretizza in primo luogo nella riduzione dei contributi
sul lavoro, il cosiddetto cuneo fiscale. Essa, infatti, da un lato
riduce i costi di impresa, contribuendo ad aumentarne la competitività sul
mercato, dall’altro incrementa il reddito disponibile dei lavoratori e delle
loro famiglie, aumentando la loro capacità di spesa. Abbiamo preso
l’impegno di una riduzione di cinque punti nel primo anno di governo
perché questo è quello che ci è consentito dallo stato attuale della finanza
pubblica in base alle approfondite valutazioni che abbiamo effettuato. Non ho
mai nascosto che questa è una "partenza veloce" che non esclude –
anzi ci fa guardare con ottimismo al futuro – ulteriori interventi nei quattro
anni successivi.
Inoltre proporremo al sistema delle imprese un "grande scambio"
finalizzato a generare trasparenza e ad eliminare distorsioni. Trasformeremo
l’ingente massa di trasferimenti (circa due punti di Pil), che a vario titolo
vengono erogati in favore delle imprese, in un’equivalente riduzione di oneri
fiscali e contributivi. Questo rappresenterà il punto di partenza di un
processo che noi riteniamo essenziale e decisivo: portare lo Stato al ruolo
che gli compete in una economia moderna e aperta, quello del regolatore e non
del proprietario.
In questa direzione, quindi, diciamo no al progetto, tanto caro al ministro
dell’Economia di conferire una consistente fetta del patrimonio pubblico in una
enorme nuova entità. Siamo contrari a questo progetto non solo perché è
palesemente contro i principi appena esposti, ma anche perché non è questa la
strada per ridurre il debito pubblico che può essere diminuito solo
attraverso la via maestra della ricostituzione dell’avanzo primario.
Stato non proprietario vuol dire anche chiudere una serie di enti e società
pubbliche nate con l’obiettivo di promuovere investimenti nel Paese, per
trasformarsi successivamente in anacronistiche holding di partecipazioni, come
Sviluppo Italia.
Non basta tuttavia recitare la giaculatoria delle liberalizzazioni e delle
privatizzazioni. Non è soltanto adottando la forma di Spa che si trasformano
le municipalizzate in vere imprese se esse rimangono interamente all’interno di
mercati non contendibili e non affrontano la concorrenza a viso aperto. Mezze
liberalizzazioni hanno finito per produrre costi aggiuntivi e tariffe (da
quelle elettriche, a quelle del gas e delle autostrade) più onerose per i
consumatori e per le imprese.
Non penso certo di dovere aprire i mercati delle public utilities a cuor
leggero, senza creare le condizioni per avere imprese italiane in grado di
reggere la concorrenza europea. Ma comunque dovremo rendere più
contendibile e più aperto questo mercato per avere imprese efficienti e tariffe
meno care. Penso ad esempio alla strada seguita in Germania, dove singoli
pezzi del sistema delle imprese energetiche locali hanno dato vita a un grande
gruppo di livello europeo. Anche noi lo dovremo fare in fretta.
Più crescita e più equità passano anche per la difesa della capacità d’acquisto
delle famiglie.
Ciò vuol dire utilizzare tutte le leve disponibili per bloccare la deriva,
unica in Europa, di aumenti indiscriminati e ingiustificati dei prezzi al
consumo. In questa direzione, oltre al ripristino di una doverosa attività
di controllo contro le speculazioni, andranno le politiche in favore del
mercato. Ad esempio, perché non si dovrebbe potere liberalizzare il mercato
di quei farmaci che vengono così assiduamente pubblicizzati in televisione?
E ancora, perché non studiare con i Comuni, che ne hanno la responsabilità di
regolamentazione, una decisa liberalizzazione nel comparto dei servizi?
Tornando all’obiettivo di ridare competitività al sistema delle imprese non
basterà solo ridurre i costi impropri che gravano su di esse. Come abbiamo
detto più volte, si interverrà anche in maniera sistematica e coordinata a supportare
le attività di ricerca e sviluppo pubbliche e private.
Si provvederà ad esempio ad abolire l’Irap sulle spese di ricerca e si
introdurranno sulle stesse nuove formule di credito di imposta.
La competitività del sistema passa inevitabilmente anche per lo sviluppo
delle infrastrutture, ma non certamente con la logica demagogica e
finanziariamente insostenibile che ha caratterizzato gli investimenti in opere
pubbliche del governo di destra. Ci muoveremo in una logica di sistema e non di
singole opere. Che senso ha infatti investire sui porti e gli aeroporti se
questi non vengono integrati nella rete ferroviaria primaria? Il nostro governo
agirà in questa direzione.
Ma, per stare sul mercato e affrontare la competizione, oggi è più che mai
necessario avere una adeguata massa critica. Il nostro governo lavorerà per favorire
la crescita dimensionale delle imprese, agevolando gli accorpamenti e rendendo
meno traumatici i passaggi generazionali.
Da ultimo, voglio affrontare un tema di ordine generale, decisivo per la tenuta
e lo sviluppo della nostra economia. Sto parlando della trasparenza dei
conti dello Stato.
Al pari della moneta, affidata alle cure della Banca d’Italia e del sistema
europeo delle banche centrali, la trasparenza dei conti dello Stato è un bene
pubblico e come tale deve essere tutelato.
Su di esso vigilano oggi, con responsabilità diverse, la Commissione Europea,
l’Eurostat e l’Istat, la Ragioneria Generale dello Stato, la Corte dei conti.
Ma la loro azione non è chiaramente sufficiente. Si tratta, infatti, di un
sistema che lascia al governo in carica un margine di discrezionalità eccessivo
e che lo espone a tentazioni pericolose.
Troppe volte negli ultimi anni il governo ha dovuto smentire se stesso, spesso
clamorosamente e nel giro di poche settimane come è successo nel 2005, quando
l’obiettivo di disavanzo per lo stesso anno è passato dal 2,9 della Relazione
Trimestrale di Cassa, resa pubblica a fine aprile, al 4,3 per cento del Dpef
presentato meno di tre mesi dopo.
Questo non deve più succedere, chiunque sia al governo.
All’Istat, alla Ragioneria e alla Corte dei conti, a cui debbono restare
le attuali competenze e che noi vogliamo rafforzare tanto nelle loro capacità
operative quanto nella loro indipendenza, intendiamo affiancare un organismo
pienamente indipendente dall’esecutivo, responsabile di fronte al Parlamento e
presieduto da una personalità del più alto prestigio e nominata con procedure
che coinvolgano e garantiscano l’opposizione.
Ad esso conferiremo il compito di elaborare le previsioni macroeconomiche e
di finanza pubblica che costituiscono il quadro entro il quale si deve
muovere l’esecutivo e la valutazione dell’impatto a breve, medio e lungo
termine sui conti dello Stato dei principali provvedimenti presentati in Parlamento.
A questo organismo affideremo anche il mandato di agire come guardiano del
patto di stabilità interno che deve legare le Regioni e gli Enti locali ad una
gestione responsabile ed equilibrata delle loro finanze.
Ho delineato un quadro che si può sintetizzare con la formula «uno Stato
regolatore e non proprietario».
Questo vuol dire uno Stato che sappia proteggere i deboli e nel contempo
garantire le condizioni per una economia aperta.
Per questo è necessario il ritorno a una grande politica che sappia
costruire quadri di riferimento e obiettivi condivisi per la finanza, l’impresa
e il lavoro; che sia aperta al dialogo con le forze sociali e le comunità
locali; che sia consapevole del momento storico: il momento delle decisioni
coraggiose, forti e tempestive.