Italia, armamenti, Irak, Usa
L’Espresso 06-03-01
Pistole della nostra polizia.
Rivendute all’Iraq. E trovate anche in mano alla guerriglia. E ora una legge
rischia di bloccare l’inchiesta di Peter Gomez e Marco Lillo
Ci voleva un premier come Silvio Berlusconi
per mettere in mano al tedoforo, al posto della fiaccola, una bella pistola
fumante. Una Beretta calibro nove, per l’esattezza. È accaduto l’8 febbraio, quando nel decreto per le Olimpiadi, approvato
dalla maggioranza a colpi di fiducia, è spuntato un articolo che non riguarda le gare di sci, quelle di bob o la
sicurezza dei Giochi, ma la
compravendita delle armi da guerra.
Due righe in tutto con cui il
governo permette ai fabbricanti di mitragliatrici e fucili anche "la
riparazione delle armi prodotte" e "le attività commerciali
connesse". Nove parole dietro le quali si nasconde l’ennesima legge ad
personam, anzi ad armam.
Una legge che salva le pistole di un caro amico e
sostenitore del leader di Forza Italia, Ugo Gussalli Beretta, patron
dell’omonima industria di Gardone Val Trompia, e soprattutto tenta di mettere
la sordina a uno scandalo con pochi precedenti: la svendita da parte del
Viminale di migliaia di pistole della Polizia che oggi sparano in Iraq non solo
in mano alle forze dell’ordine locali, ma anche in quelle degli amici di Al
Zarqawi.
Per capire che cosa è successo
bisogna andare a Brescia, in Procura,
dove da più di un anno lo storico stabilimento è sotto inchiesta per una storia
nera, fatta di armi rubate o senza numero di matricola, di società
probabilmente vicine ai servizi segreti e di triangolazioni con la Gran
Bretagna. Una storia che preoccupa la Beretta (in caso di condanna
potrebbero essere messe in discussione le licenze di fabbricazione) e
provoca molti imbarazzi anche a Roma, al ministero dell’Interno. Al centro di
tutto, come ‘L’Espresso’ è in grado di rivelare, ci sono più di 40 mila Beretta della Polizia italiana, metà delle quali già
approdate attraverso un giro tortuoso e, secondo i magistrati, illegale in
Iraq, in parte anche nelle mani degli insorti. Le Beretta in questione
erano quelle in dotazione alla Polizia
dal 1978. Quando avevano ormai compiuto la loro gloriosa carriera invece di
finire dal robivecchi sono state riacquistate dalla società lombarda. Dopo
la caduta di Baghdad, in Iraq si erano aperte ricche prospettive di mercato.
Bisognava riarmare le nuove forze
dell’ordine e le pistole dei nostri poliziotti, rimesse a nuovo in fretta e
furia, erano state spedite sul teatro di guerra attraverso una triangolazione
con una società britannica. Il tutto, secondo i pm di Brescia, in
violazione delle norme sul commercio di armi.Il diavolo però fa le pentole, ma
non i coperchi. Così l’affare comincia a
venire alla luce il 6 dicembre del 2004. Quel giorno viene arrestata una
dipendente della Beretta mentre tenta di portare una calibro nove fuori dalla
fabbrica. È un’impiegata addetta al magazzino. Ha accesso ai registri
informatici della società e i carabinieri, che le trovano in casa altri due
revolver, ipotizzano un suo legame con la malavita organizzata calabrese.
Inizialmente la donna viene accusata di aver asportato tra marzo e dicembre ben
152 pistole. Ma agli investigatori basta poco per rendersi conto che
all’interno del magazzino si sono verificate numerose irregolarità che non
dipendono da lei. Come si legge nell’ordinanza del tribunale del riesame, con
cui è stato confermato il sequestro della seconda tranche di 15.478 pistole
semi-automatiche dirette in Iraq, la
Beretta custodiva "armi prive di matricola o con matricola abrasa o
ripunzonata, armi prive di punzoni del Banco Nazionale Prove", mentre
dal magazzino erano spuntate fuori anche alcune delle 152 pistole che secondo
il registro risultavano rubate. In un caso poi viene anche sfiorata la
spy-story. Tra le armi conservate in azienda ce ne è una il cui furto risulta denunciato
dai nostri servizi segreti nel 1980. È la stessa pistola o sono due armi
diverse? Una sola cosa è certa. In fabbrica le regole non sono rispettate. Durante una perquisizione vengono scoperte
addirittura centinaia di Beretta 92S "sprovviste di numeri di matricola ed
altre che non risultano prese in carico sul registro informatico di Pubblica
sicurezza della ditta (che al contrario di quanto accade normalmente viene
firmato non dalla questura ma dal sindaco di Gardone ndr)". Un’armeria
fantasma in piena regola.
La vicenda probabilmente si
sarebbe chiusa qui se, il 14 febbraio
del 2005, i carabinieri di stanza in Iraq non avessero comunicato che
"alcune pistole Beretta 92S" erano state "rinvenute in possesso
di forze ‘ostili’". A quel punto l’intera storia comincia a scottare.
E minaccia di diventare un caso internazionale. Molte delle armi sequestrate
agli insorti risultano "vendute tra il 1978 e il 1980 dalla Beretta al
ministero dell’Interno" italiano. Perché? Bastano poche settimane per
svelare l’arcano: tra il febbraio del
2003 e l’aprile del 2004, 44.926 pezzi dichiarati "fuori uso" dal
ministero erano stati ceduti alla Beretta nell’ambito di due contratti per
una nuova fornitura. La società di Brescia le aveva poi ‘rigenerate’ e tra il giugno e il luglio del 2004
ne aveva rivendute 20.318 a una società inglese, la Super Vision International
Ltd, insieme a 20 mila carrelli di ricambio "per un controvalore di un
milione e 398 mila e 826 euro".
Beretta aveva richiesto alla prefettura di Brescia l’autorizzazione
all’esportazione. Aveva ricevuto l’ok, ma
sui documenti non risultava il nome della ditta acquirente (la sconosciuta
Super Vision), ma quello di una seconda azienda con una sede prestigiosa e una
storia ventennale: la Heltston Gunsmith. Secondo gli investigatori non è
una semplice casualità. Se fosse emerso
il nome della Super Vision la licenza all’esportazione sarebbe stata negata o
ritardata. Il prefetto, come spiegano i giudici, deve infatti poter
assumere informazioni sull’affidabilità dell’acquirente e in questo caso non ha
potuto "sapere in anticipo la reale destinazione finale della merce,
ovvero l’Iraq, ed eventualmente sospendere l’esportazione".
Il commercio delle armi è regolamentato in maniera severa.
A partire dal 2001 i controlli sono diventati ancora più stringenti. Da tre
anni a questa parte poi il ministero dell’Interno richiede sempre il
certificato ‘end user’ (utilizzatore finale) e soprattutto lo valuta,
incrociandolo con le relazioni del Sismi sulla situazione politica del paese
realmente destinatario delle armi. Proprio per questo il ministero ha bloccato grosse forniture Beretta in Centramerica,
Medio Oriente e Asia. La cosa, ovviamente, ha infastidito molto l’azienda. Ugo
Gussalli Beretta, un uomo talmente legato da rapporti di amicizia a Berlusconi
e alla famiglia del presidente americano Bush da essere stato proposto come
ambasciatore italiano a Washington (vedi scheda in questa pagina), ha
attivato i suoi canali politici per lamentarsi della burocrazia divenuta, a suo
dire, troppo rigida. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni
Letta si è così rivolto al ministro Giuseppe Pisanu che ha fatto pressioni sul
proprio apparato. Ma le procedure non sono cambiate.
Un bel problema per la Beretta che a partire dal 2003, con la caduta
di Saddam Hussein, vuole finalmente rientrare in un mercato precluso da anni.
Grazie all’accordo con il ministero
dell’Interno vengono ritirate a un prezzo bassissimo, pare inferiore ai dieci
euro, le vecchie pistole (qualificate come ‘fuori uso’ anche se spesso sono
perfettamente funzionanti) e già in questo caso ci si muove con disinvoltura. I
quasi 45 mila pezzi arrivano a Brescia senza che il ministero della Difesa
(come previsto da una legge del 2000) ne abbia deliberato la dismissione. Da
questo punto di vista, secondo i giudici, "la stessa cessione delle armi
da parte del ministero (dell’Interno, ndr) appare illegale". Non solo:
Beretta non ha più dal 2002 la licenza per riparare le armi. Quindi non può
nemmeno rimetterle in funzione per rivenderle. L’azienda non se preoccupa.
Comincia le spedizioni e solo quando la merce è già partita chiede per via
ufficiale di esportare in Iraq armi destinate alla Cpa (Coalition Provisional Authority),
il governo provvisorio di Baghdad. Ma, di fronte alle domande di chiarimenti,
rinuncia. E, proprio in quel periodo, conclude la triangolazione con il Regno
Unito.
Poi iniziano i problemi. Prima
l’arresto della dipendente infedele. Quindi il ritrovamento da parte dei
carabinieri delle nostre vecchie armi impugnate dagli insorti. Evidentemente
qualcosa in Iraq è andato storto. Alcune Beretta 92S sono passate di mano. Nel
caos del dopo Saddam la polizia locale le ha cedute alla cosiddetta resistenza.
L’11 febbraio del 2005 Pietro Beretta, il figlio di Ugo, annuncia che l’azienda
"è vicina" ad aggiudicarsi dei contratti di fornitura per la polizia
e il nuovo esercito iracheno, ma spiega che "le procedure di acquisizione,
attraverso i contractor, non sono proprio semplici". In realtà, come
dimostra l’informativa dei carabinieri redatta solo tre giorni dopo, molte
Beretta già sparano a Baghdad.
A quel punto l’azienda di Brescia
si trova di fronte a un mare di guai. Il 20 aprile la magistratura dispone il
sequestro delle restanti 15.478 vecchie 92S ancora in magazzino ma già vendute
e pagate dall’inglese Super Vision International ltd. Una settimana dopo Ugo
Gussalli Beretta presenta ricorso al tribunale del riesame. In ballo non c’è
solo un affare valutato complessivamente più di due milioni e mezzo di euro.
C’è molto di più. Un eventuale processo e un’eventuale condanna potrebbe
portare al ritiro della licenza di fabbricazione. E se la licenza dovesse
essere ritirata la Beretta dovrebbe essere venduta a un’altra società in regola.
Davanti ai giudici della prima sezione penale del tribunale l’azienda si
difende così con le unghie e con i denti. Sostiene che avendo già in mano una
licenza che gli permette di fabbricare armi, detenerle e poi venderle, non era
necessario richiederne una seconda per ripararle e commercializzarle. Aggiunge
che le Beretta 92S non vanno considerate armi da guerra (e quindi soggette a
particolari restrizioni). Afferma di "aver notiziato il capo della Polizia
della destinazione finale delle pistole". I giudici del riesame le danno
però torto su tutta la linea. Anche per loro sono state violate "le norme
in materia di acquisto, riparazione ed esportazione". Il sequestro delle
pistole è confermato.
Si cominciano così a battere altre strade. Tutte politiche. La Beretta
insiste col ministero nel chiedere la semplificazione delle procedure e Pisanu
preme sull’apparato. Poi si apre uno spiraglio: il decreto sulle Olimpiadi.
All’improvviso il governo cam