ANDREA BONANNI
Il mercato UE vede protezionismi e invadenze della
politica; il principio di reciprocità va chiesto alla Commissione UE, non in
trattative fra governi nazionali; vanno aperti i mercati esteri, non chiuso
quello italiano.
De Villepin telefona a Berlusconi per minacciare
che una scalata di Enel sul gruppo Suez «sarebbe un attacco alla Francia».
Berlusconi telefona a Chirac esigendo «reciprocità» da Parigi per
l´autorizzazione data dall´Italia all´ingresso di EdF in Edison. Zapatero
dichiara che una acquisizione di Endesa da parte della tedesca Eon sarebbe
contro l´interesse nazionale spagnolo. Blair critica i protezionismi, ma
intanto affila le armi per prevenire un´opa della russa Gazprom sulla
britannica Centrica.
Con buona pace dell´Europa, del mercato, degli azionisti e soprattutto dei
consumatori, il settore europeo dell´energia si è trasformato in una grottesca
scacchiera a metà tra il Risiko e il Congresso di Vienna. Ministri e
diplomatici prendono il posto che spetterebbe ad amministratori delegati e
consigli di amministrazione. I parlamenti sono mobilitati per modificare leggi
«ad hoc» in modo da impedire o facilitare determinate scalate azionarie. La
sorte di operazioni finanziarie il cui unico giudice dovrebbe essere il mercato
vengono affidate a conciliaboli bilaterali tra capi di governo.
L´Europa perdente è percorsa da incontenibili pruriti protezionisti che spingono
la politica ad invadere il terreno che spetterebbe al mercato. E non solo nel
settore dell´energia. La Polonia vorrebbe bloccare la fusione tra due
banche possedute da Unicredito. Il governo italiano accusa i magistrati «di
aver fatto finire la Bpi, una nostra banca, in mani straniere». E il ministro
Tremonti si lamenta che la direttiva comunitaria sulle Opa lasci spazio alle
manovre difensive di altri governi nazionali, dimenticando che venne approvata
dal Parlamento europeo grazie ai voti determinanti di Forza Italia.
Diciamo subito che, nel caso Enel, le preoccupazioni italiane sono
legittime. Non esiste giustificazione alcuna per far entrare in gioco un
supposto «interesse nazionale» francese a difesa dell´assetto azionario di Suez.
La Francia, sull´onda di una involuzione profonda che la bocciatura del
referendum ha reso solo più visibile, è oggi uno dei grandi malati d´Europa. E
le barricate sempre più alte erette a difesa del proprio sistema economico ne
sono un sintomo evidente. Fa bene dunque l´Italia a difendere il buon
diritto delle sue imprese a giocare fuori casa con le stesse regole che da noi
si offrono alle imprese e ai capitali stranieri.
Tuttavia oggi in Europa c´è modo e modo per condurre certe battaglie. Anche
perché nell´Unione, per comune consenso dei governi, esiste un arbitro
sovrannazionale che tutela la libertà del mercato. E questo arbitro è la
Commissione. Invocare il principio di «reciprocità» è giusto, se lo si fa al
tavolo europeo reclamando maggiore apertura da parte della Francia in nome
delle norme comuni. E´ sbagliato, se diventa una scusa per reintrodurre sul
mercato italiano quelle chiusure di cui proprio l´Europa ci ha aiutato a
liberarci. Se non è ricondotta al tavolo europeo, la reciprocità rimanda ad
una logica bilaterale che è la negazione del mercato interno: una delle poche
vere conquiste a tutela dei consumatori e dei risparmiatori.
Dietro il principio della reciprocità, apparentemente ineccepibile, si può
nascondere infatti una logica colbertiana di protezionismo strisciante. E´
la logica francese di chi vorrebbe richiudere le frontiere sul mercato per poi
negoziare possibili aperture bilateralmente, caso per caso, facendo
naturalmente valere il peso politico del proprio paese. Per l´Italia questo
rappresenta un doppio rischio. Da una parte quello di soccombere di fronte a
sistemi-paese più forti e più integrati. Dall´altro quello di riconsegnare la
propria economia e le proprie imprese in ostaggio alla politica.
Vale forse la pena di ricordare che, proprio in Italia, solo l´azione
normatrice e liberalizzatrice dell´Europa ha consentito negli ultimi decenni
del secolo scorso di affrancare le imprese e il mercato dalla tutela soffocante
del potere politico. Oggi stiamo assistendo, in Francia, come in Italia,
come in Spagna, agli ultimi sussultori tentativi della politica per
riconquistare la gallina dalle uova d´oro con il pretesto di proteggerla. Se ci
riesce, la gallina fa una brutta fine.
In un mercato unico e aperto, la risposta corretta per tutelare l´interesse
delle imprese, degli azionisti e dei consumatori non deve dunque venire dalle
capitali nazionali ma dall´Europa. E´ in quella sede, e non nei negoziati
bilaterali tra governi, che l´Italia può e deve far valere i propri diritti
pretendendo il rispetto delle regole comuni.