Mentre in Occidente spesso la Democrazia ha
permesso l’insediamento di una dittatura, nel mondo islamico le elezioni hanno
rafforzato dei dispotismi.
ALGERIA ‘92: grazie ai generali
“antidemocratici” che non hanno rispettato le elezioni possiamo avere il metano
senza ricatto islamico.
Le elezioni non sono di per sé la Democrazia,
ma solo un metodo di scelta dei capi. Per la Democrazia servono strutture
democratiche e partiti che ne professano i valori. Non è il caso né di Hamas né
del khomeinismo.La clamorosa vittoria di Hamas
nelle elezioni palestinesi del 25 gennaio scorso ha risollevato un problema che
veniva già dibattuto negli anni Quaranta: se la democrazia possa uccidere la
democrazia. Perché Hamas non è soltanto una organizzazione terroristica; è
anche espressione di un fondamentalismo islamico che rifiuta in toto l’idea
stessa di democrazia. Negli anni Quaranta il caso emblematico fu quello
di Hitler, che indubbiamente conquistò il potere e travolse la repubblica di
Weimar, nel 1933, insediato dalla volontà popolare. Allora la dottrina si
divise e per alcuni (ma non per tutti) la democrazia non doveva consentire la
propria auto-distruzione. Poi il dibattito si spense, anche perché l’Occidente
divenne tutto democratico. Proprio tutto, in verità, no. L’America Latina ebbe
Peron (e non solo lui); ma sull’America Latina abbiamo sempre voluto e dovuto
chiudere un occhio benevolo.
Ma l’occhio sull’Islam non lo possiamo chiudere. Il problema è troppo grosso,
ed è anche un problema nuovo e diverso. In Occidente la dittatura fu
preceduta da sistemi democratici e fu insediata da uno strumento, l’elezione,
della democrazia preesistente. Quindi allora era esatto chiedersi se una
democrazia deve consentire il proprio suicidio. Ma nel mondo islamico il
caso emblematico è quello dell’Iran e (all’incontrario) quello dell’Algeria, e
in nessuno dei due casi l’elezione che ha segnato il destino dei due Paesi si
situava in un contesto democratico.
Nel 1979 gli americani – da sempre afflitti da «falsa coscienza» – mollarono
in Iran lo Scià e consigliarono ai suoi generali di arrendersi. Quei poveri
generali furono subito fucilati; e se il deposto Scià era un despota, era pur
sempre un despota «illuminato» che cercava di modernizzare il suo Paese,
mentre il suo successore, l’ayatollah Khomeini, era (e lo si sapeva) un despota
oscurantista che prometteva una durissima «Repubblica islamica» (si chiama
ufficialmente proprio così).
Poi c’è stato il caso dell’Algeria nel 1992. Le anime belle del «purismo
democratico» deplorano da sempre che i generali non abbiano rispettato il
responso delle urne. Ma è grazie a quei generali «antidemocratici» che oggi
l’Italia riceve il metano senza ricatto islamico, e che l’Occidente si è
risparmiato un’altra minacciosa teocrazia alla Khomeini.
È importante, allora, chiarirsi le idee. In Germania nel 1933 una elezione
uccise una democrazia. In Iran il voto ha istituzionalizzato un dispotismo
rinforzato. Pertanto non è vero che se c’è elezione c’è democrazia, o che le
elezioni producano democrazia. Di per sé una elezione è soltanto un metodo di
scelta dei capi. Il Papa è eletto dal collegio dei cardinali, ma resta un
sovrano assoluto. Le tribù germaniche (e altre) eleggevano i propri capi, ma
non ne seguiva nessuna democrazia.
Dunque le elezioni sono strumento di democrazia se, e soltanto se, avvengono
nel contesto di un sistema di strutture democratiche, e soltanto se sono
gestite da partiti che professano valori democratici. Il che non è il caso di
Hamas né del khomeinismo. Le elezioni non sono un toccasana che sana tutto.
Teniamolo anche presente, a futura memoria, per i Fratelli Musulmani in Egitto.