CORRIERE Sab. 3/2/2006 Fiorenza
Sarzanini
La battaglia dei ponti nell’agosto 2004. La versione dei militari: abbiamo
fermato un’autobomba. Almeno 5 le vittime
Soldato sotto inchiesta: eseguii un
ordine. L’esercito lo premiò per l’operazione
ROMA – «Sparai contro il mezzo
perché così mi fu ordinato dal maresciallo Stival. Se mi fossi accorto che si
trattava di un’ambulanza mai e poi mai avrei sparato e avrei chiesto
spiegazioni al superiore». È il 25 gennaio scorso. Davanti ai magistrati della
procura militare il caporalmaggiore Raffaele Allocca ammette che a Nassiriya,
durante la battaglia dei Ponti della notte tra il 5 e il 6 agosto del 2004, i
soldati italiani fecero fuoco contro i civili. Conferma la versione sempre
negata dalle Forze Armate e dall’allora ministro degli Esteri Franco Frattini
che in Parlamento dichiarò: «Non è vero che si trattava di un mezzo di
soccorso, era un’autobomba».
L’ENCOMIO – Il sottufficiale, in Iraq con il reggimento Lagunari
«Serenissima» di Venezia, è accusato dalla procura di «uso aggravato delle
armi contro ambulanze e contro il personale addetto». Ma l’Esercito lo ha di
fatto già assolto e premiato. Il 28 agosto 2004 il generale Corrado Dalzini gli
ha consegnato un encomio per aver «contribuito in maniera determinante al
successo dell’operazione». I suoi avvocati Mario De Caprio e Barbara Da
Ronch hanno consegnato il documento al pubblico ministero. La versione dei
militari è stata ribadita più volte: «Si trattava di un’autobomba. Abbiamo
lanciato segnali luminosi e cercato di fermarla ma non ci siamo riusciti e
abbiamo sparato. Se non l’avessimo bloccata, ci sarebbe stata una strage».
Le vittime furono almeno quattro persone. Tra loro una donna incinta e un
signore anziano. Non furono gli unici civili uccisi dai soldati italiani
durante quella battaglia. È lo stesso Allocca ad ammetterlo. «Ricordo che
dopo l’episodio dell’autovettura colpita ed esplosa – ha fatto mettere a
verbale – un autobus passeggeri effettuò la stessa manovra venendo verso di noi
e non fermandosi alle nostre intimazioni. I commilitoni del dispositivo
spararono davanti al mezzo che si fermò davanti ai nostri carri. Un carro si
avvicinò e fece scendere dall’autobus due persone, un signore con un bambino.
Successivamente il maresciallo Stival seppe che a bordo del mezzo era morto
il conducente. Anche io sentii questa comunicazione».
IL RAPIMENTO – Il 22 agosto 2004, dieci giorni dopo averlo
sequestrato nella zona a sud di Nassiriya, i miliziani dell’Esercito del Mahdi
rilasciarono il giornalista statunitense Micah Garen. E pubblicamente
affermarono: «È un messaggio di pace. Lo abbiamo liberato anche perché ha
fatto chiarezza sull’operato dei militari italiani». Era stato proprio Garen,
dopo la battaglia dei Ponti, ad accusare i soldati impegnati nella missione
«Antica Babilonia» di aver fatto esplodere non un’autobomba, ma un’ambulanza. E
aveva filmato il mezzo. Qualche settimana fa la Procura militare ha
ottenuto una proroga delle indagini. I magistrati devono infatti accertare
non soltanto il rispetto delle regole d’ingaggio visto che i soldati italiani
sono in Iraq in missione di pace, ma soprattutto ricostruire la catena di
comando. Come hanno sottolineato i difensori del caporalmaggiore e ha
ribadito lui stesso durante l’interrogatorio, l’ordine di sparare arrivò dai
superiori. E dunque è presumibile che dovranno essere convocati non soltanto il
maresciallo Stival, ma anche il capitano Guaschino. «Fu lui – ha spiegato
Allocca – a farci assumere la posizione sul terreno. Ci fu assegnata la parte
sinistra del ponte, dovevamo osservarlo e avvisare se qualcuno provava ad
attraversarlo».